Mentre gli ambientalisti cominciano a preoccuparsi e a occuparsi delle conseguenze ambientali e climatiche della coltivazione della marijuana negli Usa, sempre più Stati spingono per legalizzarla nei prossimi anni

Consumo di Marijuana, quale impatto sul cambiamento climatico?

Fumare marijuana contribuisce al cambiamento climatico? Dopo la legalizzazione in California, occorre affrontare il problema dell’alto consumo energetico.

Ambiente
Cilento giovedì 11 gennaio 2018
di La Redazione
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Marijuana © n.c.

Con il primo gennaio in California è entrata in vigore la legge che legalizza la marijuana ricreativa in uno Stato dove il consumo di spinelli non era certamente basso. Finora la California consentiva il consumo di marijuana solo per il suo uso medico, ma la California rappresenta uno dei più grandi mercati Usa di droghe leggere e l’opposizione era stata forte quando negli anni ’70 il governo federale aveva vietato la marijuana in tutti gli Usa.

Su HS Insider del Los Angeles Times, Omar Rashad ricorda che gli effetti della marijuana sono stati indagati per innumerevoli aspetti della salute umana, comprese le conseguenze per la gravidanza, il cancro, la depressione e anche la salute mentale, ma, anche se esistono studi ormai da anni, ci si preoccupa poco dell’impatto ambientale e climatico della marijuana della droga sui cambiamenti climatici.

Già nel 2011, Evan Mills, uno scienziato dell’università della California – Berkeley, aveva condotto e pubblicato uno studio nel quale analizzava l’impronta di carbonio della coltivazione della cannabis e si tratta di un impatto non trascurabile. Dato che negli Usa la stragrande maggioranza delle coltivazioni di marijuana vengono effettuate in impianti privati indoor, i coltivatori devono creare un ambiente artificiale che sia in grado di imitare la luce, la ventilazione e le condizioni idriche che la cannabis potrebbe sperimentare naturalmente se venisse coltivata all’aperto. Quindi, queste serre hanno bisogno di molta energia.

Come ha scritto Mills nel 2016 per Future Cannabis Project, «I legislatori e le agenzie per l’energia hanno in gran parte chiuso gli occhi sull’impronta di carbonio della coltivazione indoor».

Secondo Rashad, «Quando si esamina il lungo e complesso processo di coltivazione della marijuana, non si può che guardare al Colorado. Approfittando da tre anni dell’industria della cannabis, con 675 rivenditori dislocati in tutto lo stato, i coloradans sono stati i primi americani a gettarsi nel mercato della marijuana legale. All’interno di innumerevoli impianti di ogni dimensione, vengono coltivate stanze piene di centinaia di piante di cannabis. Ancora una volta, dal momento che questi lavori di coltivazione avvengono indoor, la produzione richiede tutto: dall’aria condizionata e ventilazione all’illuminazione e alla gestione dell’acqua».

Lo studio del Mills del 2011 concluse che per ogni chilogrammo di cannabis coltivato in ambienti chiusi, vengono emesse nell’atmosfera 4,6 tonnellate di CO2, che equivalgono alle emissioni medie di 3 milioni di auto statunitensi. I conti totali dell’impronta di carbonio si calcolano conteggiando l’energia consumata da ventilatori, illuminazione, lampade, deumidificatori, generatori di ozono, depuratori dell’acqua e altro ancora.

Complessivamente, i coltivatori statunitensi di marijuana producono un ambiente sintetico nel quale mantengono temperature tropicali e forniscono un’illuminazione e un’idratazione eccessive alle piante. Nel 2011, l’industria della cannabis pagava una bolletta energetica di 6 miliardi di dollari all’anno, che, secondo Mills, «Equivale al doppio della bolletta energetica di tutta la produzione farmaceutica nazionale, Un joint [fumato] crea 10 libbre (più di 4,5 Kg, ndr) di inquinamento da anidride carbonica. Questo è tanto quanto guidare un Prius per 22 miglia o lasciare accesa una lampadina da 100 watt per 75 ore».

I dati dello studio di Mills si riferiscono a prima della legalizzazione della marijuana ricreativa in diversi Stati Usa (democratici e repubblicani) e della recente depenalizzazione della marijuana come farmaco in Alaska, California, Maine, Massachusetts, Nevada, Oregon e Washington.

Rashad sottolinea che «Mancando di un sistema di auditing serio, le implicazioni ambientali della produzione di massa di marijuana non vengono affrontate». Ad esempio, visto che all’interno degli impianti di produzione le luci restano sempre accese, regolamentare i metodi di illuminazione porterebbe a un potenziale di risparmio energetico. L’illuminazione a LED, a basso consumo energetico rispetto ad altre alternative, è già stata sperimentata e utilizzata, ma sfortunatamente i coltivatori dicono che i LED si sono , rivelati meno efficaci delle altre lampade più energivore, dato che le piante di marijuana impiegano più tempo a crescere sotto le lampade a LED e che il vantaggio energetico scompare perché con il LED ci vuole più tempo per far crescere la stessa quantità di piante.

Mentre gli ambientalisti cominciano a preoccuparsi e a occuparsi delle conseguenze ambientali e climatiche della coltivazione della marijuana negli Usa, sempre più Stati spingono per legalizzarla nei prossimi anni.

Rashad conclude: «Poiché il possesso e la vendita di marijuana sono diventati gradualmente un reato meno punibile nel corso degli anni, la depenalizzazione e la legalizzazione diffusa sono inevitabili. Il metodo con cui i coltivatori e i consumatori troveranno il modo per ridurre il processo energeticamente intensivo della coltivazione della marijuana sarà la soluzione necessaria per un problema invitante».

Fonte: Green Report (www.greenreport.it)

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