Da paese di conciatori a città di servizi

Vallo della Lucania, punto di riferimento del Cilento

Vallo, partecipe di questa storia, deve fare memoria e consegnarla a chi nel nuovo secolo può continuare a sperare in un futuro di progresso.

Attualità
Cilento venerdì 15 dicembre 2017
di Grazie De Vita
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Palazzo Mainenti © unico

In un recente lavoro la storia di Vallo, scritta da alcuni ricercatori, è stata significativamente riassunta nella frase “da paese di conciatori a città di servizi”. Probabilmente è ancora la sintesi più efficace per delineare la vicenda secolare della cittadina e individuare i processi più significativi attivi fino alla fine della seconda guerra mondiale.

Negli ultimi due secoli, Vallo ha partecipato al grande processo di modernizzazione europeo, pur rimanendone ai margini e superando a stento alcuni tradizionali ostacoli per i condizionamenti interni ed internazionali del mercato di beni e di servizi e per la povertà dei prerequisiti di base: bassa produttività agricola, scarsità di capitali e investimenti, blocco della mobilità sociale.

Un ruolo particolare in tale processo è quello svolto dalla classe dirigente, che ha sempre avuto una primaria importanza nella gestione dei fattori propulsivi. Negli ultimi decenni, il maturare di una maggiore partecipazione democratica ha posto in termini nuovi il ruolo di tale ceto, sollecitando più di prima gli amministratori locali riguardo alla crescita politica e civile, da perseguire grazie all’efficacia e all’efficienza di nuovi comportamenti istituzionali e di stili capaci di assicurare l’effettiva partecipazione dei cittadini all’autogoverno e alla produttività sociale del potere pubblico.

Il sistema democratico, la dinamica delle elite, le tipologie amministrative, in età repubblicana, si sono legate alle trasformazioni economiche. Le esperienze della democrazia di massa, adattandosi ai radicati processi socio-economici, hanno agevolato l’emergere di un nuovo ceto politico, il riassetto dei poteri locali, la trasformazione del galantuomo in burocrate. Il regime fascista, infatti, non aveva realizzato le sue promesse di modificare struttura e formazione delle elite, confermandone ruoli e poteri a fronte di una continua crescita demografica che aggravava i problemi socio-economici. Così, tali problemi dovettero essere affrontati nel dopoguerra, quando terminò davvero l’Ottocento, il “secolo borghese”, e si fecero le prime esperienze della società di massa con chiare ripercussioni elettorali.

S’impone un’economia sempre più statica, parzialmente stimolata dalla spesa pubblica, unica occasione per rendere più dinamico il ruolo e la composizione dei gruppi sociali. Uffici ed enti statali sono al centro di tale processo: le scuole, il tribunale e, soprattutto, l’ospedale civile diventano sempre più importanti, determinando l’evoluzione con la quale oggi si deve fare i conti.

Lo studio della struttura produttiva aiuta a comprendere queste dinamiche ed il processo di formazione del nuovo gruppo dirigente. Sulla base del possesso fondiario e della relativa rendita, perno del persistente primato dei notabili, chi emerge nella cittadina, soprattutto durante il “lungo Ottocento”, acquisisce non solo potere economico, ma anche amministrativo, consolidandosi come referente dei politici nazionali, i quali beneficiano del processo di accentramento che lega la capitale e i ministeri alla rete periferica dell’amministrazione.

Gli spaccati di vita quotidiana consentono di conoscere dimensione e portata del paese, che fino agli anni Settanta del ‘900 si concentra ancora nella piazza principale per poi estendersi alla “Variante”, dove sorgono edifici e si anima una più attiva catena di esercizi commerciali e di servizi. Intanto, i problemi dell’agricoltura si aggravano per un rapporto sempre più sproporzionato tra abitanti e capacità produttiva, elemento da tener presente per valutare vicende che si concludono col fallimento delle istanze contadine. Il progressivo benessere è determinato soprattutto dagli effetti dell’emigrazione che fa sorgere nei terreni e negli orti, una volta coltivati, case e palazzi. La dinamica occupazionale segna anche un progressivo calo delle attività artigianali per le opportunità rappresentate dall’impiego nella burocrazia e nei servizi. La crisi del settore fa assistere all’impoverimento dei ceti medi inferiori che con i contadini vanno ad ingrossare le fila di chi è costretto ad emigrare.

Negli stessi decenni, persiste e si aggrava la crisi agricola per l’incapacità d’impiantare una produzione più moderna; lentamente si radica il fenomeno del contadino part-time con un progressivo invecchiamento medio. La situazione non si percepisce con chiarezza al centro, ma appare evidente nelle tre frazioni maggiormente condizionate dalla persistenza di dinamiche ottocentesche. Massa, Angellara e Pattano beneficiano molto meno dell’evoluzione socio-economica che disegna il nuovo volto di Vallo come cittadina di servizi dal prevalente animus borghese, conservato fino a qualche anno fa.

Questa caratteristica emerge se si analizza con attenzione il significato della piazza maggiore con i suoi palazzi, proiezione dei rapporti di forza tra gruppi familiari egemoni, analisi da cui si evidenzia l’incontro tra grande e piccola storia perché testimonia in concreto l’operato delle forze economiche e sociali. Esse sono espressione di valori e comportamenti che hanno animato un’esperienza bisecolare fatta di baroni marginali, contadini legati a tradizioni economiche e cultura sapienziale, possidenti-imprenditori impegnati a custodire il binomio “roba e dio” e preservare una prassi imponendosi come galantuomini. In definitiva, la trama di questa storia è che i gruppi dirigenti locali egemonizzano la società, gestiscono il consenso e controllano i centri del potere. Da qui la persistenza, alla fine, di caratteristiche responsabili di una progressiva marginalità per un ambiente con poche risorse e una società sostanzialmente chiusa.

Al pessimismo dell’intelligenza occorre affiancare l’ottimismo della volontà per evitare che siano sempre altri, venuti da fuori, ad imporre per proprio utile modelli diversi e non equilibrati. Una nuova generazione, formata e capace di cosciente partecipazione e progettualità, può generare dinamiche a dimensione d’uomo e, quindi, una adeguata leadership. Il popolo così può uscire dal complesso del vecchio ed acquisire l’orgoglio dell’antico per apprezzare le proprie radici ed i valori etici ed estetici che intende tramandare, accreditando i motivi di riscatto che animano le nuove generazioni. Vallo, partecipe di questa storia, deve fare memoria e consegnarla a chi nel nuovo secolo può continuare a sperare in un futuro di progresso.

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