Storie dal nostro viaggio in Argentina
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Matteo Armando Formica, un successo fatto con le mani

Da Salerno a Buenos Aires passando per Treviso. Molti lavori, tante imprese e un solo obiettivo: vivere la vita che ha scelto

Attualità
Cilento mercoledì 21 febbraio 2018
di Bartolo Scandizzo
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Armando Formica e la sua famiglia © unico

Non si può dire che Matteo Armando Formica, nato a Salerno, il 24 maggio del 1927, in piena epoca Fascista, non si faccia strada con la sua intelligenza. Armando si affaccia alla vita adulta quando il Re d’Italia, Umberto II, si rifugia fuggiasco in un albergo di Cava dei Tirreni protetto dalle truppe alleate sbarcate con Operazione Avalanche. La sua famiglia è sfollata sulle montagne al confine con la provincia di Avellino.

Dal ’42 al ’44 lavora con uno zio che fa il noleggiatore con parco auto proprie. È qui che impara a guidare e a gestire l’officina interna per le riparazioni.
Chiamato alle armi nel 1947, lui, già esperto di motori in quanto un suo zio ha un parco auto per il noleggio da rimessa a Salerno, viene inviato in Sicilia per il Car.
Chiede di essere assegnato all’aeronautica militare, ci arriverà più tardi grazie al fatto che riesce a far funzionare ogni mezzo meccanico sul quale mette le mani.
Assegnato a Treviso, gli ufficiali in comando lo impegnano in compiti sempre più impegnativi. Alla fine della leva gli chiedono di restare in servizio con il grado di sottufficiale all’età di 21 anni.
Lui lascia e torna a Salerno e riprende a lavorare con lo zio. Ma il suo destino lo chiama al di là dell’oceano in Argentina dove già vive sua sorella Giuseppina, la prima di 6 figli. È Giuseppina che convince Armando sul fatto che l’Argentina è la nazione dove le sue capacità tecniche potranno essere valorizzate al meglio.

Armando parte con il programma ideato da Peron per attirare risorse umane in Argentina e, su consiglio del cognato, Ciro Pastore, si presenta alla municipalità di Buenos Aires per un lavoro. Le sue referenze vengono apprezzate, ma gli dicono che lo avrebbero chiamato non appena si sarebbe liberato un posto adatto alle sue competenze. Compra il Clarìn, il giornale di Buenos Aires, e scorre gli annunci delle offerte di lavoro. Sceglie una azienda di meccanica di proprietà di un veneto. Si mette al lavoro e si rende conto del fatto che è molto più capace del suo collega che lavora nella stessa azienda da tempo. Alla consegna della prima busta paga si accorge che, al contrario, la sua è inferiore all’altra consegnata al suo collega. Chiede spiegazioni e gli viene risposto che, a differenza dell’altro operaio, lui proviene dall’Italia meridionale.

Non ci pensa due volte e si licenzia immediatamente. Intanto, lo chiamano dalla municipalità per un impiego fisso. Il contratto prevede un impegno fino alle 14 del pomeriggio. Questo gli consente di attivarsi per un secondo lavoro da svolgere nello stesso settore: la meccanica.

Prima entra a lavorare come tecnico della Lancia italiana e poi lo cercano da un’azienda molto importante, la Saccol, che costruisce frigoriferi per la grande distribuzione. In questa azienda resta per 2 anni fino al 1953 con un salario che divide tra i suoi bisogni e la sua famiglia in Italia a Salerno.

Nella Saccol si fa strada ed arriva a dirigere l’intera filiera del freddo con conta oltre 50 dipendenti.

Sono in tanti a ricordagli che si deve fare una famiglia. Ma lui si impone di pensare al matrimonio solo quando potrà regalare anche dei fiori a sua moglie. Con la complicità di un parente, incontra per la prima volta Rosa che poi diventerà la donna della sua vita. Entra in un bar e chiede un caffè. Dietro al bancone c’è Rosa Selvaggio, nata in Libia da genitori di Torre del Greco, che conosce Renato il suo accompagnatore. Armando, beve, ringrazia e paga con una banconota. Salutano e vanno via dopo aver intascato il resto che consiste nella stessa banconota appena consegnata alla giovane amica del suo accompagnatore ...

Solo quando si ritrova sul treno per tornare a casa si accorge che Rosa si rende conto del fatto che la consumazione è un omaggio della giovane e bella barista che aveva già posato gli occhi su quel giovane vestito elegantemente e che l’ha fissata negli occhi, quasi a scrutarla nell’anima.

Torna, dopo una settimana, nel bar e le chiede di poter uscire con lei. Rosa acconsente e cominciano a frequentarsi. Nonostante una interruzione del rapporto di fidanzamento tra i due, il matrimonio si celebra 2 anni più tardi quando Armando vede consolidarsi la sua situazione lavorativa ed economica.

Rosa e Armando mettono al mondo 3 figli, Silvia, Adriano e Armando. Il lavoro alla municipalità gli garantisce tranquillità e anche l’attività privata gli consente di accumulare risorse da investire in altre attività. Rosa, però, gli chiede di fare qualcosa che dia seguito al suo primo lavoro, un negozio di generi alimentari, frutta, verdura e bevande.

L’accontenta investendo oltre 600.000 pesos (a quel tempo era una bella cifra) e avviano l’attività di distributori all’ingrosso di cui si occuperà Rosa in prima persona. Ancora oggi, ulteriormente ingrandita (distribuisce alimenti con 15 camion nuovi), opera sotto la direzione di uno dei due figli e dove Armando si affaccia abitualmente all’età di 91 anni.

Armando, però, non abbandona mai la sua passione per il ferro e per le sfide difficili tanto che gli viene affidato l’incarico di disarmare le arcate in ferro di una stazione ferroviaria dalla ditta tedesca che vince l’appalto pubblico. Inoltre, lo cercano anche dagli Stati Uniti aziende che lo vorrebbero nel Nord America per collocarlo in ruoli esecutivi rilevanti. Lui resta lì dove, arrivato poco più che un ragazzo, crea una famiglia e costruisce un futuro molto dignitoso per sé, per Rosa e la sua famiglia.

L’intervista con Armando è un lungo monologo fatto di scatti in avanti e di repentine retromarce per precisare passaggi che gli tornano alla mente. Ma quello che emerge da quest’uomo, apparentemente esile, è una forza d’animo e una fiducia nelle sue capacità di imparare e tradurre in fatti le teorie che è senza eguali.

Sentendolo incedere nel racconto vedo la sua vita scorrere come in un film senza strappi ma con una lunga serie di colpi di scena che lui, rivivendoli, li inquadra in una pellicola che rivede come se fosse lui lo spettatore. Non trovo arroganza o alterigia in questo, vedo, invece, l’orgoglio dell’uomo che non si ferma mai nella posizione più comoda, ma tenta sempre di andare oltre quello che è per diventare ciò che nemmeno lui riesce ad immaginare.

Confida, più che nella sorte, nella sua inestinguibile volontà sorretta dalle sue capacità tecniche che apprese grazie all’innata curiosità intellettuale e all’intelligenza di voler cercare e creare un mondo migliore di quello ereditato dalla guerra. Quella guerra che costringe lui e la sua famiglia a sfollare da Salerno per riparare in un paese in collina “dove finisce la strada …”

Ritrovarsi, poi, dopo pochi anni in Argentina dove finisce il mondo ad iniziare la vita che il fato ha apparecchiato per lui, allora è un chiaro segno di determinazione e tenacia.

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