“Un’interazione proficua tra l’uomo e la natura è possibile soltanto a patto che ci sia una relazione reciprocamente positiva tra gli uomini, altrimenti non ha alcun senso”

Terra di Resilienza: Oltre modo seminatori Una nuova misura per sfamare l’umanità

Situata nel cuore del Parco nazionale del Cilento, Terra di Resilienza, è una cooperativa sociale che mette in atto il recupero di antiche varietà di frumento

Attualità
Cilento martedì 20 marzo 2018
di Rosita Taurone
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Terra di Resilienza © n.c.

“Ci sono dei luoghi piccoli ma che sono molto più grandi perché bisogna creare quasi tutto, quindi lo spazio lì diventa infinito”, così diceva Ugo Marano, riferendosi ai piccoli paesi del sud Italia. Il grande artista e ceramista che nel Cilento aveva cercato una nuova riconfigurazione socio economico e culturale, per fare in modo che quei luoghi ridotti al margine potessero ricrescere, nascere un’altra volta, attraverso la cooperazione e il lavoro di squadra.

Nuovi sentimenti stanno emergendo. È il caso della cooperativa Terra di Resilienza, nata nel 2012 a pochi passi dall’Oasi del WWF di Morigerati. I nuovi seminatori si muovono sul territorio con la consapevolezza che tutti quei fattori di marginalizzazione, di esclusione sociale e lavorativa, con il tempo sono diventati la forza per resistere e superare la crisi, ed iniziare un percorso professionale più consapevole.

Situata nel cuore del Parco nazionale del Cilento, Terra di Resilienza, è una cooperativa sociale che mette in atto il recupero di antiche varietà di frumento. La coltivazione va di pari passo con la ricerca, per concretizzare un lavoro comunitario di osservazione, riproduzione e diffusione delle coltivazioni di grano locale. Ad oggi, coltivano 4 varietà di grano ed una varietà di farro che provengono da semi antichi, che a loro piace chiamare piuttosto semi del futuro. Collaborano al progetto la cumparete e la Comunità del cibo slow food Grano di Caselle in Pittari.

Un progetto che nasce dalla volontà di ridare linfa al lavoro contadino e all’intero contesto territoriale, perseguendo l’idea di un’economia locale solidale basata sulla produzione e la trasformazione di alcune varietà autoctone destinate alla scomparsa (Russulidda – Ianculidda).

Dario, uno dei volti della cooperativa, spiega: “Un’interazione proficua tra l’uomo e la natura è possibile soltanto a patto che ci sia una relazione reciprocamente positiva tra gli uomini, altrimenti non ha alcun senso”.

Guidati da un forte desiderio di riscatto sociale e di emancipazione, insieme lavorano a qualcosa che non si esaurisce ma che resiste con determinazione all’urto della crisi e dell’abbandono delle terre, qualcosa che i suoi autori hanno difficoltà a definire un progetto” poiché si tratta di un sentimento ben radicato che non si esaurisce poiché è stato coltivato da tutta una vita. Queste figure sono dei veri e propri attivatori sociali poiché hanno a cuore le difficoltà delle persone e credono chetutti possano trovare nella terra le risorse giuste per portare avanti il loro progetto di vita. Dal loro punto di vista l’agricoltura unisce le persone, è una pratica sociale che aiuta a vivere meglio. Pensano che sia arrivato il momento di riprendere in mano l’attività agricola, tralasciata dai propri genitori e ritornare a vivere attraverso il lavoro agricolo con dignità in un territorio unico dal punto di vista ambientale.

Non si tratta di professionalismo, di imprenditoria ma di un nuovo e semplice modo di rimanere connessi alla propria terra, lavorandola e trasformandola con nuovo senso di responsabilità.

A Caselle in Pittari ci sono figure di contadini evoluti, un nuovo tipo di lavoratori e intellettuali della terra che hanno a cuore la commistione tra la tradizione e l’innovazione e che attivano nuovi processi comunitari. “Terra di Resilienza” è un progetto di filiera agricola concepito come un dialogo esistenziale nel segno della resilienza tra cultura contadina e progresso.

I soci fondatori della cooperativa sono Antonio Pellegrino, Claudia Mitidieri, Dario Marino e Marianna Falese.

Hanno avviato un percorso consapevole di agricoltura che non prevede l’ausilio di concimi chimici, ma l’uso di ammendanti e concimi che autoproducono, come letame fresco di mucca, cenere, latte, zucchero e lievito. Si chiama agricoltura organica rigenerativa, una disciplina che combina pratiche colturali tradizionali con le più recenti conoscenze tecnico scientifiche.

“Cerchiamo, in sostanza, una sinergia tra cultura accademica e il saper fare, radici e innovazione sociale, con un forte riferimento all’aspetto relazionale della conoscenza e alla dimensione sociale del contesto territoriale di riferimento”.

Uno degli aspetti fondamentali, che si colloca al centro del progetto è la socialità, un elemento imprescindibile che ha da sempre caratterizzato il territorio rurale cilentano, la tradizione della nostra comunità. “La terra, un teatro naturale dell’accoglienza”, un orto resiliente come collante sociale per riformare la propria vita collettiva, vivere insieme nella campagna per integrarsi appieno nell'area di vita.

Le relazioni vengono poste al centro del lavoro collettivo, la forma giuridica da loro adottata è la cooperativa così come il modus operandi, lo stare insieme,seguendo i processi della contemporaneità e delle innovazioni. Un modello di impresa originale che esige la voglia di stare insieme e la messa in campo di nuove energie.

Antonio Gramsci ha sostenuto che “Non c'è attività umana da cui si possa escludere ogni intervento intellettuale, non si può separare l'homo faber dall'homo sapiens. Ogni uomo infine, all'infuori della sua professione esplica una qualche attività intellettuale, è cioè un "filosofo", un artista, un uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di condotta morale, quindi contribuisce a sostenere o a modificare una concezione del mondo, cioè a suscitare nuovi modi di pensare.”

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