Io, Imperatore del Sacro Romano Impero, Re di Sicilia e di Gerusalemme a Capaccio … il mio saluto

Quando Capaccio splendeva ed era grande nel nome di Federico II di Svevia!

Un tempo quando ancora nella nostra bella terra meridionale regnavano re ed imperatori,ci accadde ma non per te, nobile e gloriosa città di Capaccio che hai osservato le mie leggi, di essere stati contrari ed io stesso fui (...)

Cultura
Cilento lunedì 13 novembre 2017
di Gaetano Ricco
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Federico II di Svevia © n.c.

Un tempo quando ancora nella nostra bella terra meridionale regnavano re ed imperatori,ci accadde ma non per te, nobile e gloriosa città di Capaccio che hai osservato le mie leggi, di essere stati contrari ed io stesso fui costretto di persona ad intervenire ma non con la furia e la vendetta che mi assegna la narrazione dei vincitori ma solo per ristabilire la giustizia e il patto che i traditori, rifugiatisi nel tuo castello nella vana speranza della salvezza, avevano con infamia violato ed infranto. E se la mia spada nel castigo fu terribile lo fu solo e solamente per la forza della stessa legge dei nostri antichi “padri” che severamente condannando chi del più orribile dei delitti si macchiava: il “parricidio”,severamente li avrebbe con il più atroce dei supplizi puniti e fu il castigo che venne esemplare ma non fu vendetta la mia, ma solo giustizia, giustizia solamente. Giustizia per me, per la mia famiglia, che avrebbero voluto sterminare nel giorno della Santa Pasqua e per te, Capaccio, cui i miei avi avevano dato un castello inespugnabile ed io un ruolo strategico nella difesa costiera del mio amato regno di Sicilia, obbligando, come tu sai, con mio editto dell’anno 1231 le baronie e gli uomini dei vari “casali” limitrofi nonché lo stesso vescovo di Capaccio alla tua manutenzione. Un castello che secondo la propaganda di alcune “Cronache” interessate del tempo io stesso avrei distrutto. Un castello che io invece amavo e del quale scrivendo la mia seconda lettera sulla congiura, io stesso ebbi a dire che: “veramente non mancano al detto castello di Capaccio,per lusingarsi di una lunga difesa,il riparo di una eccelsa rupe,un circuito di alte mura e copia di soldati e difensori” e che quindi non solo non distrussi ma continuai a mantenerlo vivo nella strategia di difesa del mio amato regno di Sicilia: la “ pupilla dei miei occhi” che sopra ogni altra cosa grande e prospero avrei voluto e potente nel governo delle mie leggi e favorevole alla giustizia e all’onore!

Ma si opposero con il papa i grandi feudatari meridionali che chiusi nei loro antichi privilegi e sordi ad ogni dovere statale nei confronti del loro imperatore meditarono invece, i “parricidi” di congiurare e di seppellire con la tua rovina le mie leggi!

Leggi che io, nella mia augustale potestà, dopo più di sette secoli di disordine ed anarchia raccolsi e non solo per te Capaccio ma per tutto mio amato regno di Sicilia in un codice che ancora oggi voi chiamate delle “Costituzioni Melfitane” e che ancora oggi per la sua grande lungimiranza legislativa ed istituzionale vi desta stupore e meraviglia!

Uno stato centrale e burocratizzato che amministrato da funzionari statali all’uopo formati all’opera della Università di Napoli che io stesso fondai, fermandosi solo per non più di un anno in una città, avrebbero, nel mio nome, pena la loro stessa vita, dovuto amministrare la giustizia, perché ogni suddito alla mia presenza era uguale!

E se intervenne veloce la mia spada e feroce si abbattè sui congiurati ed anche tu, Capaccio, come altre città dovesti pagare un prezzo (non quello delle“cronache” papaline!) fu solo per difendere le mie leggi e la tua libertà Capaccio e quella del mio amato regno di Sicilia chè nel mio cuore non c’era né la guerra né la vendetta ma solo, solo l’amore per la giustizia e sarei tornato ancora una volta da te, Capaccio, se la“nerovestita” non mi avesse sprofondato nell’abisso “della divinità silenziosa dove non c'è opera né immagine” chè grande era il mio desiderio di pace e di giustizia!

E se oggi, che dopo tanti secoli che qui nel duomo di Palermo nel mio sarcofago di porfido rosso giaccio accanto a mio padre il “dominus mundi” Enrico VI e “alla luce de la gran” Costanza mia madre ed alla mia prima sposa” la regina di Sicilia e imperatrice” Costanza, io ti scrivo, Capaccio, è perché sono ancora vivo e mi addolora crucciandomi il ricordo dell’onore che solo qualche anno fa mi dedicavi quando durante le giornate della rievocazione storica della“Congiura dell’anno 1246” tu mi chiamavi ed io con il mio veloce destriero nero correvo da te e venivo volentieri che in cuor mio ero certo che tu, Capaccio, pure costretta alla congiura per il tradimento di alcuni sciagurati, tu mi amavi e sempre mi sei stata fedele condividendo con gli storici e non con le “cronache” che non per la mia “spada” Capaccio Vecchio venne poi abbandonato!

Ed io ero allora, Capaccio,felice di quelle tue giornate federiciane perchè e non solo per la “chora pestana” erano diventate un appuntamento importante, chè a regnare in quei giorni di cultura e di allegria non era la mia spada ma la giustizia con il mio codice di leggi delle “Costituzioni Melfitane”.

Non vi era infatti per tutta la “chora pestana” ed oltre nessuna altra manifestazione medievale che avrebbe potuto reggere al tuo confronto,Capaccio, chè sola tu, per la tua nobile e gloriosa storia ne potevi essere la titolare e perché tu sola del mio nome ne tieni il monopolio, io che di quei tempi fui il gran signore, l’Imperatore del Sacro Romano Impero, Re di Sicilia e di Gerusalemme, il grande Federico II di Svevia, colui al quale non il suo diletto figlio Manfredi,come la storia narra, ma un dio ispirò il suo epitaffio: “Se la probità, l’ingegno,la grazia di ogni virtù,la magnificenza, la nobiltà delle stirpe potessero resistere alla morte, allora non sarebbe morto Federico che qui giace!

Un vanto, Capaccio, ed un privilegio che io stesso per mia manifesta volontà ti concessi quella sera quando qualche anno fa nel tuo bellissimo (talvolta abbandonato!) centro storico, io insieme ad alcuni miei dignitari di corte, intellettuali e filosofi venimmo ospiti dell’ associazione culturale “L’agorà dei liberi” che insieme alla Pro-Loco di Roccadaspide avevano organizzato per me un convegno. Furono tanti i relatori e tutti illustri tra questi, ricordo, il vescovo emerito di Castel Fiorentino di Puglia dove lasciai i miei ultimi giorni e facendo testamento mi abbandonai all’eternità, felice un giorno per te, Capaccio, di tornare alla storia. Ed io fui fiero di stare al tuo fianco perché quando per le accuse di “vendetta” tu pubblicamente mi processasti pienamente e senza macchia mi assolvesti, restituendomi non alla vendetta ma al dovere alto di un re che viene chiamato a difendere la sicurezza dello stato … anche contro lo stesso figlio, come tu ben sai: chè uno solo era il mio sogno, fare grande il mio amato regno di Sicilia, se con la sorte il papa non avesse deciso altrimenti!

Un regno grande, forte, libero dove nel mio nome avrebbe regnato con la concordia e la pace tra i popoli ora per sempre la giustizia! Quella giustizia che fui felice di rievocare per le tue giornate della “congiura” ed alle quali in armonia con i tanti appassionati appelli del nostro poeta Giuseppe Liuccio, tu, Capaccio, con il rilancio del Medioevo avevi legato il rilancio del tuo prezioso quanto talvolta abbandonato centro storico, perchè se un tempo tutti, noi della “chora” tenemmo radici greche e straripa ancora, a nostro vanto imperituro, la bellezza di Paestum, non dobbiamo mai dimenticare che noi siamo, viviamo e moriamo però alla maniera “medioevale” e tutti i nostri sentimenti come tutti i nostri paesi sono tutti nella struttura più profonda medioevali, come medioevali sono ancora con tutte le nostre chiese la nostra stessa religione anche di coloro che credono (Benedetto Croce docet!) di negarla!

Il Medioevo infatti ci appartiene e tutto sta ancora dentro di noi e noi non possiamo per quanto vogliamo ignorarlo chè questo significherebbe rinunciare non solo alla storia ma anche ad una parte importante di noi stessi ed alla nostra stessa identità di popolo e tu che della “chora” sei stata sempre l’alfiere, alzati, Capaccio, e riabbraccia di nuovo il tuo grande imperatore e riprendi con lena il cammino interrotto, perché, per te che delle cinque sorelle sei la più grande, possa finalmente contro ogni vento di guerra, rinascere quel sogno antico del tuo grande imperatore che, giurando un giorno come il grande Alessandro ad Opea, auspicava un mondo in cui bandite tutte le guerre con il governo della giustizia regnasse con la concordia la pace tra i popoli, e … “come un dì per Giungano Spartaco fu il gran liberatore così Federico II di Svevia per Capaccio (e non Capaccio-Paestum che non esiste!) sia la sua fortuna!”

“Questo,Capaccio, nei segreti del novembre brumoso,il fiore che ti porto”

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