Il mio paese dell’anima: Trentinara

È Trentinara il mio paese dell’anima, uno dei tanti del cuore antico del Cilento, ASSURTO a simbolo. Spesso mitizzato per orgoglio d’amore, di scrigno prezioso di memorie e di valori per un poeta inquieto ed errabondo come me...

LIUCCIO GIUSEPPINO I Viaggi del Poeta
Cilento - martedì 03 aprile 2018
Piazza Trentinara
Piazza Trentinara © n. c.

C’è per tutti un paese dell’anima. Il mio è aperto al mare e ai venti, in bilico sui dirupi che minacciano il volo sulla pianura. Nei giorni di scirocco l’acre della salsedine si posa sulle bacche di ginepri, lentischi e mirti, che arabescano di verde il bianco lunare delle pietre, anatre in cova ossificate dal tempo. La tramontana è carezza lieve di profumi: lavanda, erica, ginestre e rosmarino. Rotola giù dalle colline, intermittente, e si frantuma con l’eco sul greto ciottoloso dei torrenti il campanaccio delle mandrie alla pastura. Sfavilla nella gloria del sole il Solofrone e scivola a cascata a levigare altari di pietra ambrata con il carico di malinconia di Bernardino Rota. Nella gola di Tremonti risuona il grido di battaglia di Spartaco, liberto/eroe, qui spentosi all’ultima battaglia.

Fuoriescono da lapidi e animano vicoli, slarghi e piazze a rievocare l’epopea cilentana del 1848, artigiani e contadini consacrati eroi dalla fucileria del colonnello borbonico Recco. Nelle notti illuni alle grotte inaccessibili di vegetazione intricata, la civetta, che lacera silenzi, è canto disperato di briganti: tarlo truce di vendetta e slancio generoso di giustizia. Nelle notti serene, con le stelle a ricamare d’argento il blu lavagna del cielo, il mare da Capri a Punta Licosa narra, con mari dolci alla risacca, di Sirene alla cattura impossibile di Ulisse. E dal Catello-fortilizio di Vatolla solenne e cupa l’ombra di Giambattista Vico scende alla conca di Elea a riannodare i fili di Pensiero con Parmenide e Zenone. Giù nella pianura il sole del tramonto conflagra con il mare greco e accende bagliori di storia alle colonne doriche dei templi maestosi; e scie iridescenti popolano le vie del Mediterraneo di dei e di eroi, di navigatori e di mercati ed esaltano Paestum città di approdi e partenze, crocevia e snodo di civiltà.

Nei vicoli che, di notte, si aprono alla luna e, di giorno, giocano a nascondino tra ombra e luce, nella bella stagione le finestre ostentano in allegro disordine vasi di basilico. Garofani e gerani e dalle ferite dei muri sbrecciati succhiano linfa di vita e di bellezza violacciocche e bocche di leone: sull’acciottolato levigato dal passo di secoli dormono indisturbati gatti screziati, ladri di sole.

E a più riprese, nel corso dell’anno, caracollano nella danza dei portatori le statue lignee dei santi alla rifrangenza delle luminarie tra l’esplosione festosa delle granate a ricamo di cielo. Hanno suggestioni poetiche e tensioni emotive le processioni nello sfarzo dei cori, il rosso dello stendardo, il bianco dei camicioni dei fratelli della congrega, l’oro delle stole ricamate degli officianti: momenti magici di abbraccio corale tra Santi protettori e comunità di fedeli. Nel piccolo camposanto, aperto ai silenzi profumati della campagna, le ombre dei morti reclamano vita accendendo sorrisi ai “ritratti” ad eternare stagioni felici nei vestiti della festa. E voci e risa e volti vecchi e nuovi popolano paesi e campagne nel girotondo allegro dei mestieri a strappare povera ricchezza alla fatica del vivere. E, richiamo d’amore, fanno ressa alle porte del cuore e reclamano voce che si fa poesia. E l’universo si fa paese ed il paese si dilata a mondo nella dimensione universale dello spessore dei sentimenti, delle emozioni e dei valori. Eppure anche nella universalità del comune sentire. Ognuno ha bisogno di un luogo fisico che dia giustificazione e slancio alle partenze cariche di entusiasmo e reclami la quiete degli approdi. C’è per tutti il momento della ebbrezza del volo a fuga dalla cova come della nostalgia del ritorno al nido. La poesia si carica di fuga di libertà, che è anche lacerazione di partenza e dolore di lontananza, e, insieme, di ricongiungimento da memoria a riconquista orgogliosa DI IDENTITÀ.

È Trentinara il mio paese dell’anima, uno dei tanti del cuore antico del Cilento, ASSURTO a simbolo. Spesso mitizzato per orgoglio d’amore, di scrigno prezioso di memorie e di valori per un poeta inquieto ed errabondo come me, che, come tutti i poeti, si sente ed è cittadino del mondo. Eppure nell’insopprimibile bisogno di un ancoraggio fisico, sempre più forte con l’avanzare degli anni, si leva e reclama la voce, che d’amore e di poesia insieme “È chisto lo paese addò so nato/ e cca voglio turnà quanno ca moro” e vanno in questa direzione tutti i miei scritti giù pubblicati e da pubblicare e tutte le idee/proposte che ho lanciato e che spero si realizzeranno tutte in sinergia di intesa e di entusiasmo tra Amministratori ed operatori locali e sulle quali ritornerò a breve come stimolo per tutti, si tratti della Strada dell’amore, ancora incompiuta o della strada/percorso della Libertà, non appena progettata. Lo farò con forza e determinazione. A FUTURA MEMORIA. PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI.

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