Vincenza e Marina, due agropolesi a Montevideo

Dai finestrini dell’auto vediamo scorrere un mondo caratterizzato dalla quotidianità di vite vissute come in ogni altra parte del mondo...

BARTOLO E GINA Io in Cammino con te
Cilento - domenica 24 giugno 2018
Vincenza e Marina durante il nostro incontro
Vincenza e Marina durante il nostro incontro © Unico

Dai finestrini dell’auto vediamo scorrere un mondo caratterizzato dalla quotidianità di vite vissute come in ogni altra parte del mondo. Case belle posizionate in quartieri sopraelevati e panoramici. Palazzine infilate in strade strette e colorate. Negozi di ogni genere dai quali entrano ed esce il mondo composito di donne e uomini di ogni estrazione sociale

Vincenza De Pasquale è portata in Uruguay dai suoi genitori Francesco e Olga Del Russo il 20 giugno del 1955. Francesco arriva in America del Sud chiamato da suo fratello Giuseppe Del Russo che lo precede nel 1926 e si adatta a fare ogni tipo di lavoro fino a quando non diventa conduttore di tranvai. Poi si adatta a fare il muratore, l’agricoltore. Giuseppe torna in Italia dopo poco più di 2 anni ma, infine ritorna in Uruguay, e vi resta per tutta la vita. Nel 1975, Giuseppe vuole tornare in Italia perché malato e accompagnato dal fratello e dalla cognata si imbarca su una nave per ripercorrere lo stesso tragitto fatto all’andata. Purtroppo non riesce ad arrivare vivo in Italia perché la morte lo coglie durante il viaggio.
Nel 1975 Francesco scende dalle navi, sulle quali lavora come marinaio, e decide di investire la sua vita nell’attività agricola. Il primo passo è quello di prendere in gestione un piccolo campo di 4 ettari nel quale coltiva ortaggi e raccoglie frutta di ogni tipo.
Ad aiutare Francesco c’è sempre al suo fianco Olga. I due si sposano e mettono insieme un piccolo capitale per acquistare un campo più ampio e allargare l’attività agricola che hanno in essere. Ma, all’improvviso, arriva a casa una zia dal Brasile, Ada D’Agosto, che ha bisogno di cure costose per un brutto male alla gola. Francesco e Vincenza decidono di impiegare il “gruzzolo” per aiutare Ada a curarsi e per farle sentire vicino l’affetto della famiglia.
Passano ancora tre anni e finalmente Francesco si accorda con un proprietario terriero e prende in a mezzadria un campo più grande. Insieme al terreno necessitano servono anche risorse per meccanizzare il lavoro del campo. Dopo 5 anni ingrandisce l’orto fino a 11 ettari, Da quel momento tutto va per il verso giusto e, con l’apertura di uno stand ai mercati generali, riesce a chiudere l’intera filiera della frutta.
Olga e Francesco mettono al mondo tre figli: Maria Rosa, nata in Italia come Vincenza, poi arrivano Francesco Antonio e Michelangelo.
Vincenza si sposa con Giovanni De Pasquale, di 6 anni più grande, che arriva in Uruguay pochi mesi dopo di Vincenza con la sua famiglia originaria di Perdifumo. Come avviene spesso, le due famiglie si frequentano perché lavorano due campi agricoli confinati. Ed è in questo ambiente di “comparaggio” che matura il rapporto tra i due giovani Cilentani nati in due comuni di cui, probabilmente, non conoscevano nemmeno l’esistenza, arrivati nell’altro mondo per congiungere i loro destini. C’è un differenza di età, per cui passa del tempo prima che possa concretizzarsi un rapporto sentimentale tra i due. Infatti, i loro genitori si sono sempre frequentati. Il tutto accade quando suo padre torna in Italia per un breve periodo e non porta con sé la figlia. Vincenza non si adombra per il rifiuto e gli risponde che ci andrà in viaggio di nozze dopo tre anni. Ma la giovane nutre è già innamorata di Giovanni. Il primo ad accorgersi dell’idillio tra i due è il nonno di lei che arriva dall’Italia.

Giovanni e Vincenza hanno tre figli: Marina è architetto e lavora per la società di telecomunicazioni dell’Uruguay, Nicolas si occupa di relazioni internazionali, e il più piccolo laureato in agraria e che è impegnato nell’azienda di famiglia che ancora opera. Sono oltre venti i componenti della famiglia allargata di Vincenza. È un gruppo che ancora vive attingendo alle tradizioni della campagna cilentana, anche se dopo la scomparsa di Francesco molti aspetti cedono il passo come è naturale che sia.

In Uruguay, a sentire Marina e Con Marina, l’architetto, abbiamo anche un confronto sul MercoSur, l’associazione degli stati del Sud America che si sono incamminati sulla stessa strada dell’Unione Europea. Oggi il progetto è un po’ in crisi, in quanto le tensioni socio-politiche nell’America latina, fanno risaltare più le difficoltà del progetto che le sinergie che potrebbero moltiplicare le occasioni di commercio e di miglioramento del reddito delle popolazioni. Marina è stata in Italia più volte. Ha anche frequentato corsi di specializzazione in Architettura. Conosce bene Agropoli, Paestum e ha visitato molte altre città italiane come Venezia e i tanti borghi storici medioevali che in Uruguay, ovviamente non si trova traccia.

Vincenza e Marina, alla fine del nostro incontro, si offrono per accompagnarci in un giro “turistico” per Montevideo. Accettiamo volentieri perché è sempre un’esperienza particolare conoscere un luogo o una città quando a raccontarla è qualcuno che ci vive. Infatti, vediamo una città diversa da quella turistica che ruota intorno al centro e al porto dove sbarcano centinaia di croceristi da navi grandi come un intero paese. Dai finestrini dell’auto vediamo scorrere un mondo caratterizzato dalla quotidianità di vite vissute come in ogni altra parte del mondo. Case belle posizionate in quartieri sopraelevati e panoramici. Palazzine infilate in strade strette e colorate. Negozi di ogni genere dai quali entrano ed esce il mondo composito di donne e uomini di ogni estrazione sociale.

Infine, saliamo nel posto simbolo della storia dell’Uruguay, la Fortaleza General Artigas. Una fortezza trasformata in museo delle forze armate dalla quale si gode un panorama mozzafiato sulla baia di Montevideo.

Lasciamo Vincenza e Marina con la promessa di rivederci in Italia. Quando l’automobile si allontana sul bel lungomare dove è situato il nostro hotel, c’è un po’ di tristezza nel dover rientrare nei “ruolo” di turisti che “vagano” senza meta tra il mare e la città di sconosciuti dove ci apprestiamo ad immergerci, ancora una volta.

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