Emozioni di viaggio verso il Cervati: Piaggine, pianoro vallivo delle Dolomiti del Sud

Emozioni di viaggio verso il Cervati: Piaggine, pianoro vallivo delle Dolomiti del Sud

Custode Petraglia non esitò a mettere in vendita ettari di bosco pur di dare una casa accogliente agli scolari

LIUCCIO GIUSEPPINO I Viaggi del Poeta
Cilento - venerdì 29 giugno 2018
Grotta Madonna della Neve - Cervati
Grotta Madonna della Neve - Cervati © Unico Settimanale

Alla svolta dell’ultimo pianoro sulla discesa Piaggine è uno spettacolo tutto da godere con i tetti spioventi, con le case abbracciate nel catino della valle. Sarebbe, e di fatto è, un paesaggio alpino.

Nei pianori vallivi delle Dolomiti del Nord sarebbe, di sicuro, una accorsata località turistica per relax di montagna. Qui da noi, dove pure svetta nel trionfo del sole a primavera estate e nel candore della neve nell’autunno inverno la più alta cima della Campania, stenta a decollare per deficienza di infrastrutture primarie, per mancanza o quasi di valide strutture dell’accoglienza e per deficit di coraggio dell’industria turistica pubblica a privata, che non ama il rischio degli investimenti. E così il Cervati resta, nell’immaginario collettivo, le Dolomiti del Sud, con i suoi duemila metri di altezza, in attesa di feconda vegetazione. Comunque il centro è bello in questa visione panoramica d’insieme colta dall’alto di un poggio tra castagni e giovani ulivi sbrigliati dal vento. Il fiume scorre a fondovalle a festa di zampilli e vegetazione riparia. Altrove quei trecento metri di strada, o forse meno, lungo il fiume a collegamento di Piaggine e Valle dell’Angelo sarebbero paradiso per gli amanti della natura, se solo una politica intelligente li dotasse di attrezzature per la pesca sportiva, per le gare di canoa o anche più semplicemente per trekking da relax con nelle narici umori, afrori e profumi di vegetazione spontanea e spruzzi d’acqua a sorriso di schiuma nel letto ciottoloso: una cartolina da esportare nel mondo per promuovere il Cilento interno a cura di Provincia e Regione, che pure spendono e spandono per filmati e dépliant patinati a supporto di località di mare già ampiamente megafonate. La piazza Vittorio Veneto è ampia e accogliente con quel monumentale edificio scolastico a far da quinta, a memoria di un sindaco efficiente e coraggioso, Custode Petraglia, che non esitò a mettere in vendita ettari di bosco pur di dare una casa accogliente agli scolari. Che Dio lo abbia in gloria nell’aldilà. Più su ride nel sole la facciata della Chiesa del Carmelo con annesso convento dei cappuccini. C’è animazione nel bar nonostante l’ora deputata al pranzo. Ci si accapiglia con simpatia e sottile ironia per le indiscrezioni sui candidati per le prossime Amministrative. Uno dei candidati/sindaci, dato per vincente, Angelo Ciniello insiste con garbo di squisita ospitalità da primo cittadino per un aperitivo senza rinunziare, però, ad una punta di rimprovero per Bartolo che lo avrebbe maltrattato, a suo dire, sull’ultimo numero di “Unico”. Imbocchiamo Via Gaetano Ricci, in memoria di un medico condotto, che spese con impegno ed umanità una vita intera nel segno della salute dei suoi concittadini. È bella e silenziosa la strada, linda nell’arredo dei “vasoli” con la civetteria dei fiori a finestre, balconi e loggiati a margine di vico. La mamma di Bartolo, la signora Giuseppina, simpatica e carica di esperienza con quella capigliatura argentea ben curata ci aspetta ansiosa e premurosa con la pentola in ebollizione da tempo a sospirata cattura/cottura di ravioli e fusilli, frutto di sapiente e paziente lavorazione e che divoro, ingordo, a condimento di sublime ragù con pecorino ed una punta di peperoncino che reclama un vinello rosso frizzante e generoso. C’è il calore della calda ospitalità delle case dei nostri paesi nella coinvolgente semplicità della spontaneità. Non so perché ma il focone alle spalle e quella testa grigio-argento con l’accattivante sorriso appena accennato mi ricordano mia madre, la mia casa e i fusilli di rito nelle mie improvvisate sempre più rare al paese dall’esilio romano. Sara e Marta, le nipotine di Bartolo, sono piombate qui da Torino per le vacanze di Pasqua, aiutano la nonna con garbo e grazia e tradiscono le loro origini con inflessioni del nostro dialetto ad “imbastardire” la parlata piemontese. Una fotografia appesa in bella mostra ritrae papà Scandizzo in compagnia di Nicola Lettieri e Aldo Moro in uno dei tanti incontri della vecchia DC, suppongo. I tempi cambiano e Bartolo parteggia, oggi, per il futuro Partito Democratico, portandovi la memoria storica della famiglia nel segno del riformismo cattolico popolare.

È, invece, rifondarolo puro e duro Carmelo Arcaro che porta a spasso con allegra disinvoltura la sua mole adiposa e si accende di contagioso entusiasmo alla recita di poesie in dialetto cilentano. È un intenditore. Le mie le conosce tutte e mi mette in imbarazzo con una sorta di concerto improvvisato con la carica di una buona bottiglia di lambiccato ad inumidire gargarozzo e schiarire la voce. La moglie Ersilia, brava e motivata professoressa di Lettere, garbata nei modi e dolce nel sorriso, sottolinea i versi più significativi e mi fa riscoprire, attraverso la recita del marito, il tesoro di poesia di un genio locale non privo di grazia e di sensibilità anche nella pungente ironia verso i “casalettani”, gli abitanti, cioè, del Casaletto (gli abitanti di Valle dell’Angelo) a sottolineare la innocente rivalità tra i due paesi contigui. Vola un pomeriggio denso di emozioni e di calda umanità come solo i nostri paesi dell’interno ancora immuni dalle furbizie e dai veleni del dio danaro, sanno dare. È d’obbligo una passeggiata refrigerante a svago arioso giù giù lungo quel budello di strada con le case ad abbraccio d’amore fino all’apertura di luce dello spiazzo sul fiume. Zampilla e caracolla ad arredo d’argento di case fino a quel miracolo di ponte da cartolina ed oltre. Alle spalle il Palazzo gentilizio dei Tommasini si specchia, massiccio, nell’acqua rumorosa che ne carezza e dilava le fondamenta. Conserva tesori di quadri d’autore, di arredi di pregio e di argenteria di qualità. Più su un pigro sole a filtro di nuvolaglia di bambace balugina sulla facciata della chiesa di San Simeone sospesa quasi in cima alla scalinata di pietra. Intorno le case di un minuscolo borgo le fanno corona con la ressa dei ricordi della storia e delle tradizioni. E di lassù incombe sempre, sovrano minaccioso, il Cervati ad abbraccio di Cerasuolo, Vivo e Motola e di cui i piagginesi conoscevano e conoscono ancora le carrarecce agili ed i sentieri impervi, le polle freschissime delle numerose sorgenti e le comode soste prima della scalata estrema. E sapevano e sanno distinguere, a prima vista, lecci e cerri, querce e roverelle, betulle, ontani e faggi. Lo facevano i padri alle prese con il duro lavoro del pastore e del taglialegna, lo fanno i figli orgogliosi di ostentare un paradiso di flora e fauna ai tanti appassionati di trekking, incantati alle praterie di altura come ai picchi rocciosi delle fiancate a strapiombo. Lo faranno i nipoti, si spera, motivati imprenditori dell’accoglienza.

Bella storia quella di Piaggine, l’antica o relativamente recente, con le carovane di mandrie alla conquista della pianura pestana ai primi rigori dell’autunno/inverno e sul rientro per i freschi e verdi pascoli dei monti di primavera/estate. E lungo le vie della transumanza sbocciarono amori e si consolidarono amicizie, nacquero interessi e mestieri nuovi e si accumularono ricchezze. Ecco un campo di ricerca, la transumanza appunto, per giovani studiosi che vogliano indagare sulle modificazioni economiche e sull’intreccio fecondo di diverse abitudini di vita tra zone interne e pianura del nostro Cilento. Ma è bella ed interessante anche quella recente e recentissima che vede Piaggine al centro di un impegno costante di tutela dell’area protetta consapevole che l’ecoturismo ha possibilità enormi nella prismaticità dei suoi segmenti: agriturismo, turismo rurale, ippoturismo, cicloturismo, trekking, esaltando la risorsa ambiente come occasione di lavoro. Prima o poi bisognerebbe organizzare un evento che porti fin quassù scrittori di livello nazionale e giornalisti amanti dell’escursionismo per un evento originale e straordinario insieme, “dieci scrittori per una valle”. Lo suggerisco a Bartolo Scandizzo come atto d’amore e di cultura per la sua terra d’origine. Gente laboriosa e dignitosa quella di Piaggine e, come tutti i montanari, riservata e gelosa delle tradizioni della propria comunità, come quella che la porta come ogni agosto in una processione carica di suggestione fino al Santuario della Madonna della Neve sul Cervati, Leale, generosa ed ospitale la gente di Piaggine, ma insofferente di soprusi e prevaricazioni, come fu Giuseppe Tardio che da brillante avvocato si trasformò in brigante spietato proprio per una reazione ad una palese ingiustizia dei “signori” locali, responsabili di una congiura ai suoi danni per stroncargli, sul nascere, una fortunata carriera forense. Fu protagonista, comunque, nella malavita per bisogno e per vendetta e nella politica turbinosa postunitaria connotata da conflitti sanguinari tra piemontesi e borbonici.

Sulla via del ritorno il paese è assopito nell’ombra protettiva delle montagne, mentre giù nel fondovalle esplode il meriggio di aprile a pieno sole.

P.S.: questo articolo è tratto dalla mia plaquette, dal titolo “VERSO IL CERVATI”, edita dalla Casa Editrice Plectica, nel mese di giugno del 2007, e che ormai è introvabile.

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