Emozioni di viaggio a Celle di Bulgheria tra memorie di monaci basiliani, bulgari, rivoluzionari eroi e profumi di orchidee selvatiche

Emozioni di viaggio a Celle di Bulgheria tra memorie di monaci basiliani, bulgari, rivoluzionari eroi e profumi di orchidee selvatiche

“Zì prevete nnucente e sfortunato/ca pe nne liberà sì muorto acciso/ Come nu malfattore t’àno mpiso/ ma prima o poi t’àma vendicà”

LIUCCIO GIUSEPPINO I Viaggi del Poeta
Cilento - venerdì 06 luglio 2018
Casa natale del Canonico De Luca
Casa natale del Canonico De Luca © n. c.

Recentemente RETESETTE ha rimesso in onda, la trasmissione della serie “IL PARCO DELLE MERAVIGLIE” dedicata a Celle di Bulgaria. Per me è stato un bagno di emozioni, che mi ha riportato agli anni ottanta/novanta, quando, carico di entusiasmo, inventai e condussi e con la collaborazione generosa dell’amico Emilio Bonomo facemmo una trasmissione di circa 50 puntate con la legittima ambizione di far conoscere il Cilento ai Cilentani. Ci riuscimmo, creando settimana per settimana entusiasmo nelle piazze e nei luoghi caratteristici della nostra bella terra. Ci riuscimmo anche perché avevamo una guida di grande spessore culturale, il prof. Enzo La Valva, insuperato ed insuperabile Presidente del Parco. In ricordo di quella bella stagione di cultura e di eventi straordinari ripropongo qui di seguito le mie riflessioni/emozioni su uno dei centri più ricchi di storia del Cilento.

Il treno sibila e sferraglia nel ventre della terra prima di planare alla stazione di Centola nel verde della primavera. Di fronte incombe, gigante addormentato, il Monte Bulgheria e mi evoca memoria di scalate ardite fin lassù al pianoro dei mille metri a panorama da delirio sul mare di Palinuro e sull’arco lunato del Golfo di Policastro con il ricamo dei paesi sui crinali delle colline e con sullo sfondo il Cristo di Maratea proteso all’abbraccio d’infinito. A destra ride di sole il Borgo di san Severino di Centola con il suo carico prestigioso di storia scritta sulle pietre dell’acciottolato e sui muri cadenti di chiesa e castello ad evocare Longobardi e Svevi, che governarono la contrada. A sinistra si spalanca la piana alluvionale del Mingardo con sullo sfondo l’ Antilia, che fu regno dei Lucani a sospirato accesso alla costa; luce sul cocuzzolo dirupante Rocagloriosa, che fu Orbitania e conobbe, pare, sosta di riposo di Annibale e conseguente vendetta, con ferro e fuoco, dei Romani. La macchina di un amico compiacente scende a comodi tornanti con i fossati ad invasione di erba spontanea lustra di sole nel ricamo civettuolo di ginestre a disinvolta esposizione di oro effimero, di sulla a vanto di arabeschi viola-cardinalizio, di papaveri troneggianti nel rosso-fuoco sull’esile stelo. E umori, afrori e profumi della terra, che si rigenera nel fasto della primavera, irrompono a zaffate dal finestrino a ventilazione di aromi. Il ponte sul Mingardo mi apre, a fessura,visione d’infinito sulla Valle dell’Inferno che è proiezione ardita verso il mare dei miti e della storia della Molpa e dell’Arco Naturale.

A sinistra l’indicazione per Celle di Bulgheria, che è la meta del mio viaggio. Sospeso nell’arditezza aerea il ponte della Cilentana che costeggia il monte e si apre alla visione luminosa dell’ansa di Sapri. Io devio verso l’interno a registrare emozioni sulle orme del canonico Antonio De Luca, che qui nacque ed ideò la prima rivoluzione cilentana per dare al territorio un avvenire di giustizia e libertà .Mi soffermo per un doveroso atto d’amore sulla sua casa natale. M’incanto a quel maestoso portale di pietra con lo stemma di famiglia in bella vista, spio all’intero a cogliere frammenti di sole su riccioli e volute di una scala monumentale, rileggo ancora una volta la lapide commemorativa murata “ ad imperitura memoria delle gesta gloriose di un profeta disarmato dell’italica riscossa” e che “nel 1828 proclamò la guerra santa per la libertà” e “martire e sacerdote invitto cadde moschettato a Salerno il 24 luglio del 1828”. E i suoi resti mortali riposano ancora a Salerno nella chiesa di San Pietro in vinculis a Piazza Portanova, in attesa che pastoie burocratiche e motivazioni determinate di amministratori locali li trasferiscano in un decoroso monumento nel paese natale nel cuore verde del Cilento. Mi allontano dalla casa del Canonico eroe, canticchiando a mò di preghiera alcuni versi di una mia canzone scritta per lui: Zì prevete nnucente e sfortunato/ca pe nne liberà sì muorto acciso/Come nu malfattore t’àno mpiso/ ma prima o poi t’àma vendicà”.

Origine e storia di Celle di Bulgheria sono già tutte nella toponomastica in cui le “celle” rievocano grotte naturali, piccoli eremi e cenobi, chiesette rupestri, dove i monaci basiliani si ritirarono per sfuggire alla persecuzione iconoclasta, per attendere alla meditazione e alla preghiera, per dissodare terre incolte e sperimentare nuove colture: le tracce di passaggio e sosta del monachesimo italo/greco è possibile coglierle nella Chiesa di Santa Maria ad Nives con il caratteristico campanile di chiara fattura e stile basiliani. La seconda parte del toponimo evoca la presenza dei Bulgari giunti in questo territorio a più riprese: al seguito di Belisario e Narsete, durante le guerre puniche, di Alboino, re dei Longobardi, dopo, ed infine come mercenari del re Grimoaldo che li indirizzò nel ducato di Benevento presso il figlio Romualdo cui ingiunse di assegnare loro terre da coltivare e luoghi da abitare. Vennero da queste parti al seguito del duca gastaldo Altzeco e fecero feconde terre “ fino ad allora abbandonate incolte e deserte”.

Questa la nobile storia del paese accovacciato alle falde del monte, che vive del passato remoto dei Padri Bulgari e di quello relativamente recente delle gesta eroiche dei rivoluzionari che ebbero nel canonico De Luca il loro capo carismatico. Ma c’è una storia religiosa non meno bella e prestigiosa. È quella dei monaci basiliani che governarono la contrada e vi fondarono eremi e chiese. La testimonianza è nella bella Parrocchiale del capoluogo, ma anche nel Santuario di Santa Sofia /XVIII secolo) della frazione Poderia, che sorge bello di luce e di maestà a poca distanza dal nucleo delle case più antiche, e della Cappella di San Michele, che è testimone di un’altra scheggia di storia, quella dei Longobardi, che, convertitisi al cristianesimo, trasferirono nel culto dell’Angelo quello del loro dio Odino. Ma, forse, la ricchezza maggiore del paese è da ricercarsi in quello straordinario patrimonio di ambiente e di natura intatta, che trova nel fiume Mingardo, che lambisce case antiche e feconda terre fertiki, e nel Monte Bulgheria con le sue specificità di flora e fauna (come dimenticare lo spettacolo di rara bellezza dello sfarzo della fioritura delle orchidee spontanee!?) il suo punto di forza. Si tratta di una ricchezza da riscoprire ed esaltare nel mercato dell’offerta turistica lungo un itinerario costa/zone interne che parta da Palinuro e penetri fino alle cime dell’Antilia, in una feconda sinergia di storia e miti di mare e di terra, in un territorio dove ogni paese è uno scrigno di tesori d’arte, di bellezze naturali, di specificità enogastronomiche e, quel che più conta, di varia e ricca umanità nel calore della ospitalità all’insegna del garbo e del sorriso degli abitanti. Le emozioni sono tante ed intense e qualche volta si fanno poesia: Dove il Mingardo allaga la vallata/è splendore di chiese e di conventi/E canta ancora al vento della sera/l’inno di libertà il prete eroe./Sul monte che, gigante, s’addormenta/a dominio del golfo a piena luce/di mare e sole a riso di contrade/c’è memoria di Bulgari emigrati/a fecondare terre di baroni./E nelle grotte ad umile dimora/i monaci venuti dall’Oriente/praticarono a veglia di preghiera/culti per santi angeli e madonne.

Lascia il tuo commento
commenti
Altri articoli
Gli articoli più letti