Lettera postuma a Bernardino Rota

Lettera postuma a Bernardino Rota

“Ti trovai e ti conobbi meglio in un polveroso tomo, ingiallito e sbrindellato dal tempo, nel reparto ‘Documenti e manoscritti rari’ della Biblioteca Nazionale di Roma”

LIUCCIO GIUSEPPINO I Viaggi del Poeta
Cilento - venerdì 13 luglio 2018
La sorgente del Solofrone
La sorgente del Solofrone © Unico Settimanale

Fu membro dell’Accademia Pontaniana, che frequentò, e ne subì l’influsso, come dimostrano le sue “Egloghe Piscatorie”.

Fu marchese, “signore” di Trentinara, Giungano e Convignenti ed ebbe possedimenti a Puglisi e Melito nel comune di Prignano. Anche per questo amò il Cilento e lo cantò nelle sue liriche in latino, soprattutto le “Selve o Metamorfosi”. Sposò Porzia Capece, che morì giovanissima e che egli immortalò in versi delicati e venati di cocente malinconia.

Caro Bernardino Rota,

sentii parlare di te la prima volta, leggendo questi versi:

“….Solphon

Qui vitreo exhilaras pinguia culta pede,

Solphon, cui Silarus pater est, cui Trentana mater…”, in un vecchio libro di storia sul Cilento del barone Giuseppe Antonini.

Fu folgorazione d’amore improvvisa. La scoperta fece scattare il demone fecondo della curiosità. Ed iniziò il mio percorso d’amore e di cultura alla scoperta di un concittadino illustre. Ti ritrovai e ti conobbi meglio in un polveroso tomo, ingiallito e sbrindellato dal tempo, nel reparto “Documenti e manoscritti rari” della Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele” di Roma, pubblicato, in terza edizione, a Napoli “con licentia delli Superiori” nel 1572. E fu stupore nuovo ad ogni pagina, emozione forte ad ogni verso. E per la prima volta apprezzai e mi sforzai d’amare un marchese. “signore di Trentinara e Giungano”, forse un “nemico” della mia terra, probabilmente uno sfruttatore ed un oppressore dei miei antenati e degli antenati del mio popolo; ma, per il fatto stesso di averti trovato “poeta” e cantore appassionato della mitologia di alcuni paesi del mio Cilento, abbandonai le considerazioni sociali e politiche e le mie radicate convinzioni di classe.

Mi aggirai in compagnia della tua ombra nelle campagne ridenti in riva al Solofrone, le cui acque mi regalarono schiere di girini e di ranocchi, vittime innocenti dei miei perfidi giochi di ragazzo. Ti seguii tra il reticolo dei vicoli nel grumo di case, che minacciano da secoli il volo nell’abisso. Ma cercai, invano, un segno del tuo passaggio sulle lapidi di piazze, slarghi, vie del mio paese. Ingiustamente dimenticato dagli uomini, cui fu affidata nel corso dei secoli la “Cosa Pubblica”, emergesti, però, sull’onda della poesia, squarciando le nebbie del passato, per reclamare il tuo posto non solo nei libri e nelle biblioteche, ma anche lì, nella terra che ti vide – mi auguro- “signore illuminato”.

Ti amai e ne vendicai l’oltraggio a nome della comune frequentazione della poesia, consapevole, altresì, che, forse, il tempo non mi riserverà sorte migliore. Tu mi sorridesti comprensivo con il sereno distacco del saggio: una lezione da seguire!

Fu scoperta da delirio la dolente storia d’amore di Palinuro e Camerota. Illuminò di luce nuova la bellezza struggente della “Costa dei Miti”. E ti seguii, ebbro di avventura, tra monti a precipizio e valli verdi, colline luminose e bianche scogliere, vigneti fiorenti ed uliveti d’argento, con l’orecchio teso ad ascoltare antiche storie di ninfe e dei, imprigionati nel cuore delle grotte. Ed il canto - senza licentia delli Superiori – mi sgorgò spontaneo nella sonorità del verso. Tu sorridesti ed approvasti.

E, così, ripercorremmo insieme, tu con la sonorità del distico elegiaco in latino, io con la musicalità dell’endecasillabo in italiano, il corso del Solofrone, dalle sorgenti ai piedi del Monte Vesole alla foce nel mare greco di Paestum. Le acque del fiume erano familiari ad entrambi. Tu ci vivesti anni felici in compagnia della donna amata e precocemente perduta per sempre. Io ci giocai fanciullo a specchiarmi, novello Narciso, nella faccia luminosa di sorriso divertito, rifratta a mobilità di corrente.

Il tuo amore e trasporto per quelle acque traspare dalla delicatezza delle immagini che toccano il cuore con la grazia della grande poesia e ti diedero forza per rimuovere quei desideri di suicidio per seguire, nella disperazione da lacerazione di distacco, la tua donna amata ghermita dalla morte. E la tua fantasia galoppava e materializzava una leggenda che voleva trasformarsi in pietra tutto ciò che cadeva nelle acque. (evidentemente confondevi il Solofrone con il Salso, “il fiume che impietra” degli antichi).

E già ti vedevi, volontario suicida, nei gorghi del fiume, trasformato in sasso e, pur di pietra, piangere d’amore per la tua cara Porzia morta. Potenza della poesia d’amore!

Ma pur in questo dolce lamento di nostalgia d’amore non ti viene meno la memoria della grande storia antica e segui il fiume, ed io con te, nel territorio delle rovine abbandonate “ora pascoli e macchia intricata, ma un tempo templi, teatri e fori”:

Caro marchese e signore della terra mia, ci accomuna la poesia, le pene d’amore e la venerazione per la cultura e la storia antica.

Quanto ai tormenti d’amore ogni poeta ha i suoi, in ogni epoca e sotto ogni cielo.

Tu quelli per la lacerazione da distacco dalla giovane moglie morta prematuramente, io quelli per giovani e meno giovani amanti, che, nel corso degli anni, hanno tradito giuramenti, con disinvoltura e calcolata perfidia. E’ il destino, ma anche la fortuna, dei poeti, che nelle ferite d’amore, vere o addirittura inventate e somatizzate, trovano spesso tormentata fonte di ispirazione, mio caro marchese.

Quanto a Paestum, poi, a cui ci lega un identico slancio e trasporto, e che entrambi invochiamo come la nostra Itaca, sereno approdo e porto sicuro a quiete da viaggi tormentati più sul piano psicologico che su quello fisico/geografico, non so chi dei due è più fortunato

Tu vedesti le rovine della città antica ad invasione di rovi e macchia intricata, che ebbero il merito, però, di preservarle dalle intemperie della natura e dal saccheggio degli uomini. Io mi sono goduto e mi godo la città, per buona parte dissepolta, nello splendore di templi maestosi, di colonne doriche scanalate, lustre di sole ad accendere sfumature d’ambra e d’ocra, di fori, teatri e terme, ma anche alla mercè di nuovi barbari, che spesso ne oltraggiano la memoria e l’arte con iniziative discutibili, a dir poco.

Per fortuna c’è sempre il fiume Solofrone, che ancora oggi bagna con traslucide acque chiacchierine verdi colline e campi coltivati, a ridosso dei paesi, che,purtroppo, non sempre ne conoscono e valorizzano la storia ricca e prestigiosa.

Contro le miserie umane e le ferite alla cultura, tue di ieri, mie di oggi, abbiamo, per fortuna, la medicina salutare della poesia, che diventa, di volta in volta, rabbioso impegno civile o solitario lamento interiore a perforazione di cuore.

Sono felice, comunque, di averti ritrovato proprio sulla strada della poesia: un incontro avvenuto in uno stato di grazia, tra un antico marchese-poeta, signore di paesi , contrade ed uomini, ricco di poderi/ poteri ma anche di sentimenti ed un moderno uomo libero, inquieto ed irrequieto, che nella sua libertà totale ha scoperto il tesoro della cultura e della poesia.

E questa mia lettera, postilla ulteriore alla traduzione delle tue “Metamorfosi”, è l’approdo soddisfatto di un pellegrino d’amore e di cultura, il canto/testimonianza, dolce e rispettoso insieme, di uno zingaro di sogni, che aleggiano teneri e lievi per i cieli della tua e mia terra.

Con ammirazione ed affetto

Giuseppe Liuccio

P.S.:

Ho intenzione di recuperare e riproporre ai miei lettori Cilentani, ma non solo, le lettere postume scritte ad alcuni personaggi della mia: terra :.uomini di cultura, filosofi, letterati, rivoluzionari, politici di livello nazionale che hanno lasciato una testimonianza di vita di straordinario impegno civile e culturale Le ho raccolte in un romanzo epistolario. TERRE D’AMORE: CILENTO E COSTA D’AMALFI Edizioni Delta 3 Primo Premio Francesco De Santis ora ho deciso di ripubblicarne settimana per settimana le più significative. Lo faccio con la legittima ambizione di segnalare ai miei contemporanei uomini ed eventi da riscoprire, valorizzare ed indicare come esempi da seguire e di cui essere orgogliosi. Ce n’è bisogno in una stagione in cui si sente il bisogno di RISCOPRIRE IL PASSATO PER COSTRUIRE IL FUTURO per una sorta di FUTURO DELLA MEMORIA, come punto di orientamento nel rispetto della sacralità della storia e della tradizione, come ci hanno insegnato Cicerone (historia magistra vitae) Foscolo (italiani vi esorto alle Istorie), Croce, che ci invitò a leggere la storia locale. Lo faccio per dovere di impegno civile e culturale. E, per questo, a cominciare da oggi e per tutti i venerdì di ogni settimana pubblicherò, su questo giornale, una lettera postuma significativa o un episodio importante della storia e della tradizione. Lo faccio come ultimo atto d’amore per la mia terra prima che me ne manchi il tempo per ovvie e comprensibili ragioni anagrafiche. Spero che sarete in tanti a leggermi. A FUTURA MEMORIA. Buona lettura e appuntamento a venerdì prossimo. Vi aspetto. Non mancate.

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