Lettera postuma a Lorenzo D’Amalfi

L’eredità della cultura

LIUCCIO GIUSEPPINO I Viaggi del Poeta
Cilento - lunedì 23 luglio 2018
Duomo di Amalfi
Duomo di Amalfi © web

Mio caro e dotto Monsignor Lorenzo,

là dove Piazza Duomo si restringe in uno slargo arioso colorato di attività commerciali e della ristorazione ha inizio la via che porta il tuo nome: è un tratto breve, ma molto frequentato da residenti e turisti, a dimostrazione della vitalità economica della città. Più su la strada si restringe di molto e quasi si imbuta tra le case fin lassù alla Piazza dello Spirito Santo incrociando, nell’ultimo tratto, sulla sinistra il Palazzo Castriota, prestigioso contenitore d’arte e di storia, testimone, tra l’altro, della nobiltà, potente di prestigio e di ricchezza, e, sulla destra, la caratteristica Fontana Cap’e ciuccio, che conserva, invece, memoria e testimonianza dell’Amalfi rurale contadina, che traeva mezzi di sostentamento dalle campagne strappate alla montagna e rese fertili sui terrazzamenti arditi di Valle dei Mulini sulle salite faticose verso Pogerola, da un lato, e Scala e Pontone, dall’altro, dove l’asino, amico paziente e fedele dell’uomo fu protagonista di fatica e stenti. Qui si toccano con mano le due facce della città, la nobile e la contadina, e quasi si fronteggiano esponendone e quasi ostentandone i simboli, la zecca dei tarì, da un lato, la sosta di ristoro dell’asino prima della ripresa della salita, dall’altro.

Ai tuoi tempi non c’era la strada e tra le case scorreva chiacchierino e limpido il Canneto: era di sicuro uno spettacolo di serenità georgica che dovette colpire la sensibilità della tua anima di fanciullo predestinato al gusto del culto della bellezza. Le cronache del tempo testimoniano che eri figlio di Musco Comite, esponente di una famiglia di Atrani, soprannominata Gettabocca: una simpatica tradizione questa dei soprannomi, a volte strani ma emblematici di un tratto di carattere o indicativi di un’attività. Ancora oggi Amalfi ne è piena. Facesti i primi studi nella città natale per indossare, poi, l’abito di S. Benedetto e tuffarti nell’approfondimento rigoroso all’interno della prestigiosa Abbazia di Monteccasino, dove ti distinguesti per la conoscenza delle Humanae Litterae, eccellendo nella conoscenza della lingua e letteratura greca e latina. E per questo fosti chiamato ad occuparne la cattedra nelle scuole del tuo Ordine. E potesti annoverare con legittimo orgoglio tra i tuoi discepoli anche il ben noto monaco Ildebrando, salito al soglio pontificio con il nome di Gregorio VII, papa colto e santo, inflessibile nei principi, protagonista della storica lotta per le investiture con l’imperatore.

Per i tuoi indiscussi meriti di cultura e per le tue doti di cristallina integrità morale , quando nel 1030 si rese vacante la cattedra vescovile della tua città, fosti chiamato ad occuparla , prescelto dal doge Giovanni III con il consenso entusiasta di clero e popolo. Non fu un periodo tranquillo per Amalfi quello del tuo episcopato. Il principe longobardo di Salerno, Guaimario IV, appuntò le sue mire espansionistiche sulla città. Tu ti opponesti con fierezza e dignità e ne pagasti le conseguenze con il carcere prima e con l’esilio poi. Cercasti rifugio a Roma. La tua non fu certo una “fuga”, ma un passo indietro, come si direbbe oggi, per ragioni di opportunità e per risparmiare alla tua amata diocesi repressioni più violente e lutti più amari. A Roma fosti circondato da stima ed affetto e annoverasti tra i tuoi amici S. Odilone, celebre abate di Cluny e S. Pietro Damiani, abate di Fonte Avellana, nella diocesi di Gubbio, il quale scrisse di te un elogio memorabile “Fuit Laurentius potens in litteris ac biglossus, scilicet linguam gaecam noverat et latinam, eo quod paestantius et laudabilius vitae claritate pollebat”. Ti incontrò a Firenze dove fosti invitato dai canonici della città a scrivere la Vita di S. Zenobio. Note e molto apprezzate anche le altre tue opere, una biografia di San Venceslao re ed un breve Sermone per la Vigilia di San Benedetto, nonché una Vita di San Mauro ed una serie di lettere esegetiche, la cui lettura rivelava una profonda cultura. Ti occupasti anche di musica, come rileva il compianto amico Mario Schiavo in una dotta ricerca sul tema. Al Vaticano eri di casa come consigliere richiesto ed ascoltato dal papa Gregorio VII, recitando un ruolo da protagonista in uno dei periodi più tormentati della Storia della Chiesa. Venisti a mancare alla stima ed all’affetto di confratelli e fedeli il 7 marzo 1047 a Roma, ferito nel cuore dalla dolce nostalgia della patria lontana. Il Papa Leone IX dispose solenni funerali e ti fece dare dignitosa sepoltura in “loculo marmoreo”, nella chiesa di Santa Maria in Cosmedin, chiamata a quel tempo “ad Scholam Graecam”. È da notare che qualunque cosa tu scrivessi o in qualunque attività tu emergessi accanto al tuo nome compariva sempre la dizione “Malfitanae sedis archiepiscopus”. E mi piace pensare che fosse una tua precisa disposizione o, comunque, un desiderio opportunamente esaudito dai contemporanei quasi a voler testimoniare per il presente e per il futuro l’attaccamento alla tua terra di origine.

A molti secoli di distanza Amalfi ti ha immortalato nella sua toponomastica. Non sei ricordato per opere visibili ed apprezzabili nella monumentalità della città. Probabilmente le avresti fatte, come tanti altri illustri tuoi contemporanei e posteri. Ma te ne mancò il tempo. In compenso, però, onorasti ed imponesti al mondo della cultura il nome della tua Amalfi, per le straordinarie doti del tuo ingegno nel campo degli studi umanistici e non solo.

E così lasciasti in eredità alla città il tuo enorme patrimonio di cultura congiunto alla testimonianza di dignità e fierezza nella difesa della sua indipendenza ed autonomia oltre che delle tue doti personali di integrità morale e santità di comportamento. UN BELL’ESEMPIO DA SEGUIRE in questi nostri tempi in cui cultura, etica della responsabilità ed integrità morale hanno pochi estimatori e seguaci nella vita privata e men che meno in quella pubblica.

L’assenza quasi totale di cultura ha incattivito ed imbarbarito atteggiamenti e comportamenti, che diventano sempre più sguaiati rozzi e volgari. È scomparsa quasi del tutto la sobrietà, la finezza, il culto della eleganza e della bellezza. Trionfa l’arroganza della ricchezza sfrontatamente esibita nella rozzezza dei parvenus. L’uomo è apprezzato e riverito più per lo spessore del portafogli e il conto in banca che per la gentilezza d’animo e la ricchezza delle idee. Si è celebrata qualche settimana fa in Italia “la giornata della gentilezza”. Già il fatto di averla istituita e celebrata sta a dimostrare che se ne è quasi perduto il ricordo e che in tanti avvertono la necessità di darle protagonismo e lucentezza. Non so se anche Amalfi l’abbia fatto. Ma forse sarebbe stato opportuno.

Credo che ne saresti stato contento anche tu e avresti salutato con soddisfazione la tua città riscoprire ed esaltare sobrietà, eleganza, signorilità, culto della bellezza, qualità che si assommano tutte in una parola sola CULTURA nell’accezione ampia e prismatica del termine. Sarebbe stata una bella prova per onorare anche la tua memoria e l’eredità del tuo enorme patrimonio di valori smentendo così la diffusa convinzione che la vuole sensibile quasi solo al richiamo del profumo del tarì e riacquistando, invece, credibilità ed affidabilità del ruolo di regina del turismo internazionale nel segno dell’eleganza, del buongusto e, conseguentemente, della cultura, che le è o le dovrebbe essere proprio.

Con devota stima tuo,

Giuseppe Liuccio

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