Il Piano d’Azione per la Gestione dell’Emergenza Cinghiali

​Parco Nazionale del Cilento versus Cinghiali

L’emergenza si trasforma in business

Ambiente
Cilento giovedì 21 giugno 2018
di Rosita Taurone
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Ego - Eco © n. c.

Come trasformare l’emergenza in business? Sembra essere un tema più che mai attuale, che si espande a macchia d’olio in molte delle scelte politiche adottate nella recente storia, per giustificare l’insana ideologia che qualsiasi azione umana possa e debba rendere economicamente. Così Tommaso Pellegrino, il presidente del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, ha approvato l’iniziativa della caccia selettiva. Entro l’estate arriveranno infatti i selecontrollori a rassicurare la parte lesa dell’area protetta del nostro Cilento, difendendola dagli animali che minacciano i raccolti degli agricoltori, i singoli cittadini, e anche le pubbliche amministrazioni stanche di risarcirne i danni. Entreranno in azione 235 figure altamente qualificate che si occuperanno di “gestire” la fauna selvatica, operando attraverso la selezione controllata e l’uccisione della specie di ungulati più temuta dall’uomo cilentano: i cinghiali.

L’idea del piano dell’Ente Parco è quella di trarre vantaggio economico dalla morte dei cinghiali commercializzando la loro carne. Una scelta che viene ritenuta vincente perché capace di produrre reddito insieme alla riduzione di ungulati presenti nell’area Parco.

Parole come“ abbattimento”, “selezione”, “riduzione”, dovrebbero far riflettere…

Purtroppo queste pratiche vengono anche ascritte come metodologie preventive; una serie di azioni definite come “modello, più scientifico e razionale, di affrontare il problema dell’emergenza cinghiali”. Se la pratica della caccia è considerata barbara, questo piano sembra esserlo, ai nostri occhi, ancora di più.

“Il Piano d’Azione per la Gestione dell’Emergenza Cinghiali, una misura per niente etica approvata dalla legge, già in vigore in molte aree protette sull’intero territorio peninsulare – si legge su un comunicato del Parco – “prevede il conferimento del titolo di selecontrollore a chi ha frequentato il corso di abilitazione e superato le prove selettive previste, la definizione della filiera delle carni di cinghiale che, dopo i controllo sanitari previsti saranno avviate alla commercializzazione, e l’attuazione dei recinti di cattura. Un nuovo modello, più scientifico e razionale, di affrontare il problema dell’emergenza cinghiali che si pone come obiettivo quello di ridurre i danni da cinghiale che rappresentano una delle problematiche maggiori per l’agricoltura, e non solo, nell’Area del Parco”.

Non si capisce che sono proprio azioni così intrusive a determinare il disequilibrio ambientale della fauna?

La tutela delle aree protette non dovrebbe essere uno dei tratti distintivi dell’Ente Parco?

Questa organizzazione, nell’immaginario collettivo, esiste per garantire la salvaguardia dell’ambiente, degli elementi faunistici ed antropici e tener conto delle esigenze ecologiche, sociali ed economiche, e pianificare ed esercitare in base a criteri scientifici le scelte migliori per tutelare l’intero habitat territoriale protetto. Gestire un’area “protetta” non significa abbattere gli animali che risultano scomodi all’uomo ma piuttosto penetrare le ragioni dello stato delle cose e salvaguardare, per quanto possibile, il loro interno e fragile equilibrio, in maniera particolare dall’intervento dell’uomo, che si sa è l’unico vero invasore. Risulta quindi spiacevole constatare che nel 2018 a dirigere il Parco sia una persona con una visione per nulla ecocentrica ma piuttosto antropocentrica. Diversamente da quanto auspicato sembra che il mondo scientifico sia stato completamente estromesso da questa decisione; neanche gli ambientalisti hanno poi inciso più di tanto.

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L’assunto centrale di questa problematica è da ricercarsi forse nella speculazione che sta iniziando lentamente a diffondersi nella prospettiva culturale che oggi domina il nostro pensiero, l’etnocentrismo. Per risolvere una parte delle crisi globali in corso, di carattere ecologico, biologico, economico, sociale da essa stessa derivante, l'atteggiamento risanatorio potrebbe scorgersi nell’abbandono della visione che l’uomo sia il centro e il fine dell’universo.

Entusiasta, Tommaso Pellegrino ha anche affermato che tenere un cinghiale imbalsamato in una struttura comunale sia un’opera istruttiva per quanti non conoscono i cinghiali. Per quanti vogliano conoscere i cinghiali e accingersi a conoscere gli animali che abitano il Parco, non sarebbe meglio osservarli da vivi nel loro ambiente naturale? Una scelta che ha del grottesco. La capacità di rendere il bracconaggio a prova di legge!

I Selecontrollori rispetteranno la dignità degli animali e agiranno con consapevolezza e senso di responsabilità?

Riporto qui di seguito le parole di Federica Furlan, animalista italiana:

"La caccia rappresenta oggi un vero e proprio cancro che esasperati cittadini, ambientalisti ed animalisti non sanno più come fronteggiare. 'Caccia di selezione per controllo faunistico', 'battute di contenimento' per ovviare ad un sovrappopolamento che è riconducibile poi esclusivamente alla mano dell’uomo. Agricoltori ed istituzioni infatti considerano la caccia come attività necessaria e risolutiva per far fronte al problema quando il disequilibrio esiste solo perché i cacciatori stessi contribuiscono artificiosamente all’accrescimento delle popolazioni di questi animali attraverso le immissioni sul territorio e la pasturazione durante l'inverno, in modo che continuino a riprodursi e aumentino di numero, per poi ritrovarsi golosi bottini da spartire tra loro e spacciare di frodo nei ristoranti!".

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