La vigna costa sudore ma dona anche gioia

Padre e figli: meglio i pubblicani che i farisei

Gesù riassume le caratteristiche socio-antropologiche dell’umanità nei due figli della parabola letta domenica scorsa: uno ribelle, l’altro servile; non esiste un terzo che eventualmente possa rappresentare il figlio ideale (...)

Attualità
Cilento lunedì 09 ottobre 2017
di L. R.
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Padre e figli © n.c.

Gesù riassume le caratteristiche socio-antropologiche dell’umanità nei due figli della parabola letta domenica scorsa: uno ribelle, l’altro servile; non esiste un terzo che eventualmente possa rappresentare il figlio ideale, nel quale con coerenza si riscontri la corrispondenza tra il dire e il fare. Il primo figlio, impulsivo, sente il bisogno di misurarsi con le richieste del padre contestandole; l'altro, chiaramente immaturo, si accontenta di apparire ossequiente. Entrambi manifestano un’idea comune: esser convinti di avere a che fare con un padre-padrone; ma il primo si pente e comprende che la vigna dove va a lavorare non è solo il luogo della fatica e del sudore, ma anche il terreno dal quale si ricava il vino da distribuire per la gioia della casa grazie alla propensione del padre a condividere tutto.

Nel commento Gesù accusa i farisei di non aver creduto a Giovanni perché refrattari all’azione di Dio. Costoro avrebbero dovuto insegnare al popolo come obbedire alla volontà del Signore, ma in realtà non hanno fede; invece, quelli che erano ritenuti esclusi dalla “Promessa” sono pronti a credere. I farisei non sono scusabili perché hanno “visto” e, nonostante ciò, non si sono “nemmeno pentiti così da credergli»”.

Il Maestro introduce il tema del pentimento nella prospettiva dell’evangelista Matteo, un ex pubblicano particolarmente severo nei confronti delle autorità del Tempio, completamente refrattarie, mentre egli ha sperimentato la misericordia giovandosi della forza del perdono.

Chi fa la volontà del Padre? Chiede Gesù. Chi è consapevole che la fioritura della vigna è compito anche di coloro che abitano nella casa da figli liberi e non da servi sottomessi? Ecco il motivo perché i pubblicani sono migliori dei farisei, i quali conoscono i profeti, ma non lavorano dove intende mandarli il padre, formalmente non disobbediscono. Si tratta di gente religiosa incapace di aprirsi alle nuove prospettive della Salvezza perché soddisfatti della Legge.

Gesù parla al piccolo fariseo che è in noi: educazione, cultura, amici forse aiutano a non commettere gravi disobbedienze, una situazione che può rivelarsi anche rischiosa mancanza di opportunità rispetto a chi, non partecipe di questa condizione, disobbedisce; ma - paradosso del Cristianesimo – questo demerito si trasforma in occasione di pentimento che fa scoprire la vera Legge, quella dell'amore, come capita al ladrone pentito. Questi si sente dire: "Oggi in Paradiso" nonostante il male commesso perché la sua disobbedienza è stata cancellata dalla misericordia, proprio come sostiene Gesù alla fine di questa pagina evangelica.

Allora dobbiamo porci la domanda: siamo cristiani di facciata o di sostanza? Solo credenti o anche credibili? Siamo pronti a testimoniare con la nostra vita che in Dio non c'è condanna, ma promessa di vita rinnovata perché ha fiducia in noi, nonostante gli errori commessi e i ritardi nell’incamminarci per la giusta via?

Dio continua a fidarsi di noi perché il rapporto con Lui non è un dovere al quale adattarsi. Egli è il Padre che genera stupore, rispetta una libertà gioiosa, riscaldata dal vino della festa prodotto nella sua vigna.

Gesù, che chiede: “che ve ne pare?”, costringe a rispondere all’invito “Figliolo mio … vai a lavorare nella vigna” per collaborare al disegno di salvezza dell’umanità.

Non pronunciamo un compromettente “sì signore” come il secondo figlio, impegnato ad osservare leggi che considera un legame stringente imposto da un padrone e non un sollecito richiamo a sperimentare col Padre la bellezza di una vita spesa per gli altri e che genera serenità.

A Gesù, che incalza nel chiedere quale è la volontà del Padre, manifestiamo la nostra disponibilità a collaborare. E’ vero, non ci sentiamo i primi della società, ma il perdono di Dio consente a noi - gli ultimi – di passare avanti e prendere il posto nel regno perché se Dio, che rispetta la nostra libertà, non può nulla quando si vive nell’egoismo e nell’avidità, attenti solo al presunto interesse personale, può tutto con i peccatori disposti a convertirsi celebrando riconoscenti il perdono del Padre.
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