La vera tipicità di Sabino è il suo modo di vedere la vita, di entrare in ascolto attraverso i suoni.
Intervista al DJ Sabino Paolantonio
“Da piccolo mi prendevano in giro, perché volevo fare il DJ, nessuno capiva la mia passione e non potevo confrontarmi con gli altri. Avevo il bisogno di chiudermi nella mia cameretta e suonare la mia musica”
Quanto può essere interessante un incontro con un DJ? Nella mia prospettiva, mi chiedevo cosa lo avesse portato a diventare un DJ e cosa lo affascinasse del suo mondo. Ho pensato al fatto che lui aveva una percezione e un modo di vedere la musica alquanto diversa. Con Sabino Paolantonio ci siamo incontrati la prima volta per caso, alla redazione del giornale. Successivamente abbiamo fissato un appuntamento per un'intervista. Sabino è proprio un tipo, espansivo e alla mano, ed è facile entrare immediatamente in connessione con lui.
Quali sono i progetti che stai intraprendendo?
Sto progettando di fare un nuovo concerto in live per creare una sorta di connubio fra la musica e l'arte (visiva n.d.r.). Mentre suono, vorrei cercare di fare passare come sfondo alcuni quadri famosi della nostra zona od anche di altri artisti, unendoli con la musica creando quella sorta di giusto viaggio immagine-udito. Lo ha già fatto Walt Disney con Fantasia. Nel senso che voglio creare una sorta di ponte per trasportare l'arte in un mondo che parla.
A Sabino non piacciono i paletti, gli piace spaziare...
Chi è il DJ?
Senza cadere nei tecnicismi, il DJ semplicemente è un lavoro in cui tu porti allegria nelle serate, stai lì sulla tua piccola console, sul tuo tavolo di lavoro, che alla fine diventa il tuo mondo, fai una selezione di dischi e li mixi, fai dei passaggi uno dietro l'altro, e quindi viene a formarsi il cosiddetto DJ Set, cioè una selezione musicale, adeguata naturalmente all'atmosfera della serata. Cosa che io non preparo prima a casa, perché amo vedere sul posto la gente e la musica, bisogna andare incontro alle esigenze del pubblico prima di suonare, ma devi divertirti anche tu, altrimenti non riesci a suonare bene. Loro sono la tua strada, la tua pista. Ecco quindi cosa fa il DJ, una selezione, dove mixa in live con il CD, i vinili...La caratteristica del DJ è che fa tutto dal vivo, nel senso che gioca facendo dello scratch del graffio (è un effetto del disco quando lo mandi in riverso che graffia la puntina del vinile), giochi mettendo due voci insieme, creando una sorta di parco giochi della musica, dove la gente si diverte con te, e tu la fai emozionare, la fai sognare, mettendo dei loro pezzi del passato che sono rimasti impressi, o delle hit famose che quindi stanno andando di moda, e tu le fai vivere queste emozioni senza interruzioni e pause...le emozioni si regalano a tutti, e non a una singola persona. Quando suoni con passione è come se le mani volassero, sanno benissimo dove andare sulla console, ma ci vuole tanto studio. È lo strumento che si deve imparare in primis, è una attrezzatura sì, difficile, ma anche facile al giorno d'oggi. L'elettronica aiuta tanto il mondo del DJ. Quando ho iniziato io, non avevo un'attrezzatura da DJ, ma mi creai tutta una attrezzatura mia, e suonavo, non facevo i passaggi perfetti perché avevo otto anni, però suonavo, sapevo mettere la giusta canzone, al momento giusto, e suonavo con i CD che una volta si chiamavano HIT Mania, HIT Mania estate, HIT Mania inverno, e quando uscivano in edicola correvo a comprarmi questi album, perché desideravo ascoltare subito le canzoni che avevano inserito.
C'è una differenza tra DJ e DJ producer?
Sì, il DJ è semplicemente quello che suona con la console e i suoi DJ set live, mentre il DJ producer compone dischi di sue produzioni, ed io sto intraprendendo questa fascia. Sono già usciti delle mie produzioni e dei miei remix e ne sono in progetto delle nuove. Il DJ nasceva come una persona nascosta, in un angolino del locale, nelle discoteche, che doveva semplicemente cambiare il vinile, il 45 giri, il CD d'una volta, e far suonare un brano dietro l'altro, in modo che la musica non si stoppasse. E' un modo molto noioso di fare il DJ e questa cosa non voleva farla quasi nessuno nei locali, veniva vista come una cosa stupida. Col passare degli anni, nacquero i primi mixer, che erano solamente due canali audio e video che collegavano due vinili insieme e si riusciva a fare un cambio di canzone senza levare il disco, ma abbassando semplicemente i due canali audio, passando la traccia da una parte all'altra. Questa cosa cominciò a prendere una certa forma, era più divertente, non era più noioso stare nell'angolino chiuso a cambiare, era una cosa innovativa giocare con la musica, si iniziava a fare giocare con le voci, i suoni. I DJ ora si possono definire delle super star vere e proprie, fanno concerti loro, in grandi piazze, in tutto il mondo.
Il nostro Stato Italiano riconosce il DJ come una figura professionale?
Non
solo lo Stato, ma anche le persone non lo
riconoscono come un vero e proprio lavoro, lo vedono come
un piano che una volta va da un lato e a volte dall'altro, sorretto
da un punta di matita, che si può spezzare da un momento all'altro,
facendo ruzzolare tutto giù, lo vedono come un hobby e non come un
lavoro, non deve essere una cosa che assorbe tutta la tua attenzione
e non ti fa pensare o guardare il resto, bisogna pensare di
fare anche le altre cose, ma bisogna anche lasciarsi andare
e affiancare a tutto questo anche la passione, perché le
cose belle arrivano quando meno te lo aspetti. Il DJ lavora
di notte, vive di notte, la mattina è una persona normale come tutti
quanti. Io conosco DJ che sono avvocati,
commercialisti, conosco persino un ragazzo che fa il
pescivendolo e di notte fa il DJ, ed è famoso
in Puglia, anzi, famosissimo. Non dobbiamo
dimenticare che dietro al lavoro del DJ ci sta
tantissimo tantissimo lavoro, non ti rilassi e distendi,
ma cogli l'occasione, devi fare una giusta selezione, devi
studiare le tracce, devi provare per vedere come suona il giusto
passaggio, quindi ci sta un lavoro assurdo, ogni settimana ascolti le
radio, fai le ricerche per stare a passo con la musica. Dietro
al Producer ci sta ancora più lavoro, perché
stai lì in studio a produrre musica, a pensare che cosa
può piacere, i suoni che possono piacere, ma soprattutto il
messaggio che tu vuoi passare con quella canzone, la cosa per me
fondamentale a mio parere nella vita, perché la musica nasce come
lingua, è una lingua, come il rap, il rap è nato per strada ed è
una lingua per fare capire duramente, senza censure, quello che si
vuole dire.
Come è cambiata la figura del DJ in questi ultimi anni?
All'età di otto mi vengono i ricordi che correvo nell'edicola a comprare i CD, mentre ora sto a casa, accendo il telefonino, entro su Spotify, e ho gli album. E a mio parere è una cosa sbagliata perché io sono a favore dei CD, perché è tutta un'altra emozione. C'è il senso dell'attesa, prendi il CD, vai a casa, senti l'emozione forte di mettere il CD e di ascoltare le tracce seduto su una sedia, ai giorni d'oggi si è persa questa magia.
Quali sono le correnti dei DJ, e in quale senti d'appartenere?
Ci sono
delle correnti estere, per esempio il reggaeton che
è una corrente spagnola/portoghese, con i suoni di
chitarra flamengo, è una musica più estiva, è
quella musica che a mio parere ballano, ma la ballano perché piace
la melodia, anche se alla fine tre su cento capiscono cosa
significhi veramente quella canzone. Un'altra corrente
è la trapper dance e il rap che a mio parere
sono quasi la stessa cosa, cambia solamente il modo in cui
parlano, gli argomenti e i modi di vestire, nel senso
sono cambiate tante cose. Il trapper è quello che fa
vedere il vestito di marca, l'orologio, la collana d'oro, mostra il
suo guadagno che ha fatto con la musica, il rapper è quello più
realistico, quello che non se ne importa di farti vedere la
collana e la maglia. Sono nate nella strada ma in due epoche
diverse. La corrente a cui appartengo è l'house
e la techno house... House è quella classica, diciamo
un po' retrò. La techno house è bella perché ci sono
sintetizzatori, suoni elettrici, suoni di pianoforte, voci che
spezzano nel momento, che ad un tratto irrompono e che
partecipano nel momento. I suoni elettronici ti danno
quella corposità, quelle gioie, è atmosfera pura, l'impatto
visivo dei suoni che ti vanno a creare quel sali
e scendi come le montagne russe, che ti portano a sbalzi
d'emozioni assurdi...ad un certo punto il pezzo inizia a
caricarsi e deve raggiungere l'apice...tu sei...inizi ad
essere felice...ti aspetti che arriverà l'entrata del pezzo per poi
ballarci, poi ridiscende di colpo, ti riporta di
nuovo giù, per poi ripartire di nuovo.
Ci tieni tanto alla tua terra?
Da piccolo mi
prendevano in giro, perché volevo fare il DJ, nessuno capiva la mia
passione e non potevo confrontarmi con gli altri.
Avevo il bisogno di chiudermi nella mia cameretta e suonare la mia
musica. A tutti quelli che mi dicono che devo investire in un
altro posto, e che devo lasciare Capaccio, dico che io devo
suonare per i miei ragazzi. Vorrei far capire che è importante
perseguire e realizzare i propri sogni e vorrei insegnare a superare
i pregiudizi. Per questo continuo a tenerci molto a suonare per i
ragazzi della mia terra. Vorrei farmi ascoltare e far capire
loro la passione che ho.
Secondo Sabino alla vecchia scuola appartengono coloro che hanno fatto la storia, ma si è standardizzata su quello che vuole il pubblico e il ragazzino, e non è interessata a sperimentare e ad interessare diversamente la gente: aprirle nuovi orizzonti. Nell'ambito musicale nascondere delle persone emergenti è una cosa stupida, perché nessuno può suonare in eterno e capire le persone che ti circondano. Io sono cresciuto per i ragazzi e con i ragazzi e quindi posso capire, conoscendoli, quale pezzo vogliono ascoltare. E posso andare incontro ai gusti di tutti, dai ragazzini agli adulti.
La vera tipicità di Sabino è il suo modo di vedere la vita, di entrare in ascolto attraverso i suoni. Quando parla della musica, lo senti parlare anche dei suoni della natura, della vita di tutti i giorni, come il suono della matita che cade a terra o il cinguettio degli uccelli...
È importante per lui, piuttosto che catalogare le cose, viverle: è questo che mi ha affascinato più di tutto in questo incontro.
A cura di Antonio Nigro