In quel tempo, Varese arrivò agli onori della cronaca relativa al terremoto grazie al fatto che Giuseppe Zamberletti, fu nominato commissario straordinario per coordinare la ricostruzione.

Da Varese a Roccadaspide in tempo per guardare in faccia alla realtà

Gli effetti fisici e le conseguenze psicologiche sulla vita degli esseri viventi si sono protratti per diversi anni.

Attualità
Cilento giovedì 26 novembre 2020
di Bartolo Scandizzo
Immagine non disponibile
Terremoto del 1980, Laviano © Andrea Perciato

Io vidi da vicino il terremoto che si scatenò il 23 novembre del 1980 tre mesi dopo quando arrivai a Roccadaspide con un furgone con un mio amico di Varese, Renzo Meneghin, per approvvigionarci di vino, olio e insaccati preventivamente prenotati.

In quel tempo, Varese arrivò agli onori della cronaca relativa al terremoto grazie al fatto che Giuseppe Zamberletti, fu nominato commissario straordinario per coordinare la ricostruzione. A lui si devono la nascita del dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio e l’introduzione, poi, il concetto di prevenzione distinto dall’organizzazione dei soccorsi.

Era il mese di febbraio del 1981, quando arrivammo a Roccadaspide. Ad accoglierci, oltre alla neve fresca nelle vie del paese, anche macerie e tante impalcature alzate per tenere in piedi ciò che non era caduto definitivamente. A casa dei miei suoceri, Maria e Giuseppe, trovammo gioia per vedermi arrivare ma anche tanta paura per le quotidiane piccole scosse di assestamento che si rincorrevano nell’arco delle 24 ore.

Il nostro fornitore fu Antonio Acito. Salimmo fino al Carpine dove abitava e caricammo il furgone di vino, olio, salumi ed altri prodotti freschi che aveva preparato per l’occasione.

Gina era rimasta a Varese con mia figlia Francesca, di 8 mesi, e in attesa di Giuseppe che nacque poi il 26 marzo di quell’anno. Per cui la nostra permanenza nel paese fu brevissima: ripartimmo non appena fummo pronti.

La fretta era anche dovuta alla mia preoccupazione del rischio di rimanere “intrappolati” nel paese per una scossa sismica che avrebbe potuto limitare di molto gli spostamenti dei veicoli.

Passammo da Bellizzi per salutare e sincerarmi delle condizioni dei miei genitori, Giuseppe e Giuseppina. Anche qui, molto spavento ma pochi danni …

Solo quando superammo Napoli e imboccammo l’autostrada per Roma, ci sentimmo sollevati e chiamai Gina da un autogrill per rassicurarla che tutto era filato liscio. Poi, demmo fondo alla ricca colazione preparata da mia suocera senza trascurare di aprire la bottiglia di vino d’annata che Antonio ci aveva omaggiato a parte.

Con Renzo, lungo il viaggio, parlammo molto delle impressioni relative al vissuto di quei due giorni e convenimmo che se avessimo avuto piena consapevolezza di cosa avremmo trovato non saremmo certo partiti così a cuor leggero per la Campania.

Rientrato a casa, abbracciai Gina, Francesca e accarezzai amorevolmente il “pancione” che ospitava ancora Giuseppe. Ero consapevole che trovarci lontani dall’evento catastrofico del quale, sia pur dopo qualche mese, avevo avuto modo di toccare gli effetti fisici e le conseguenze psicologiche sulla vita degli esseri viventi.

Come ogni anno, anche l’estate del 1981 la trascorremmo a Capaccio Scalo dove, per la verità, il terremoto non aveva provocato effetti catastrofici. Infatti, al margine Ovest del “cratere” la vita era ripresa come prima e già ci si affannava per trovare il modo di “entrare” con qualche titolo nel maestoso programma di ricostruzione che mai era stato messo in piedi: oltre 50.000 miliardi di vecchie lire, pari a circa 25 miliardi di Euro!

Bartolo Scandizzo

Lascia il tuo commento
commenti
Le più commentate
Le più lette