SCVOLA DI ATENE EPISTOLA LI – LXVII.

Si vanti pure e gridi alto di Giovanni Buridano la magnifica città di Bethune il nome!

A Giovanni (Bethune,1290 – Francia, 1358 ) figlio della città di Bethune, che“all’asino legò la sua fama” il mio saluto!

Cultura
Cilento domenica 19 settembre 2021
di Gaetano Ricco
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EPISTOLA LI – LXVII. © unico

 EPIGRAFE

Intra due cibi, distanti e moventi/ d’un modo, prima si morria di fame, / che liber’omo l’un recasse ai denti;/ sì si starebbe un agno intra due brame/ di fieri lupi,igualmente temendo;/sì si starebbe un cane intra due dame.

                                                                (Dante, “Paradiso” canto IV 1-6)

Ed anche per te, maestro Giovanni, figlio della città di Bethune che “all’asino legasti la tua fama” … canterò il mio canto e se, come già a quel tal grande di Cirene, famoso non per avere stupito, in quella lontana ambasciata a Roma, il pubblico il giorno prima, elogiando la giustizia ed il giorno dopo denigrandola o ancora per avere lui, il più grande della “Media Accademia”, enunciato quella sua originalissima teoria “probabilistica” ma solamente per quel “Carneade. Chi era costui”,  pronunciato  da quel tal curato di campagna inventato dalla fantasia di “quel tal Sandro, autor d'un Romanzetto ove si tratta di Promessi Sposi”, così tu, maestro Buridano, allo stesso modo, non alla storia sei passato perché, secondo a nessuno, genialmente ti occupasti con grande acutezza di fisica, logica ed etica e di quella teoria dell’”impeto” che fu tutta tua, ma altrimenti per quell’ “apologo dell’asino” che non sapendo decidere tra quello di destra e quello di sinistra, quale fascio di fieno mangiare, finì per morire di fame!

E tanto ancora insiste e resiste, con “prepotenza” e dura quell’apologo ancora oggi che tanta strada è stata fatta nella grandezza della tua opera, e pure nelle opere del “maestro di coloro che sanno” che tanto amasti e che scrisse “si dice che chi è molto assetato o affamato, se si trova a uguale distanza da dal cibo e dalla bevanda, necessariamente rimane immobile dove si trova” nulla, maestro Buridano, nelle tue opere c’è traccia di questo apologo, e per questo il tuo discepolo che le armi non tiene ancora affilate, ti chiede venia, se anche lui cadendo vittima di tanta fama, non si ravvede, ma attratto da quell’apologo che forse, come leggeremo, potrebbe nel tuo pensiero trovare ospitalità,  deviando dal suo solito cammino, in “epigrafe”  per te, maestro Buridano, che della tua parigina università per ben due volte ne reggesti le sorti e dell’”impeto” fosti il signore assoluto, a “supplire” chiamerà il più grande, colui che primo fra tutti i poeti da tempo mi accompagna e con sapienza mi guida e che per te, maestro Buridano, farà cantare i suoi versi facendo per l’epigrafe la tua epistola ancora più grande!

Era il tempo in cui si andava sempre di più e velocemente diffondendo il pensiero del maestro Occam e molto e accesamente, in quella tua parigina“Facoltà delle Arti”, si  discuteva dei  suoi principi e delle sue conseguenze ed anche tu, maestro Buridano, come già il tuo maestro, sciogliendo Dio da tutte quelle “catene universalistiche” che fino allora lo avevano incatenato, libero ed onnipotente lo dichiarasti e negando agli “universali” qualunque esistenza reale, affermasti che reali sono solo gli enti “individuali”  su cui, pena la stessa onnipotenza di Dio, non si possono che fare  solo e solamente osservazioni precarie e “contingenti”,perché se Dio volesse potrebbe volere (per questo possono accadere i miracoli!) fare le cose diverse da come oggi sono. Ed in un tempo in cui ancora “cruento” insisteva lo scontro che il papato opponeva alla società che cresceva e che dagli antichi vincoli “aristotelici” ed oltre reclamava la libertà, tu, maestro Buridano, pure, qualcuno ancora oggi ne alimenta i “tristi” echi, nell’onere di quella “commissione” che alle opere del tuo grande maestro oppose il divieto bandendole dalla tua università, ti esponesti e con gli “universali” decisamente ti incamminasti sulla via di quel“nominalismo”che, come la tua operosa novella borghesia cittadina, facendosi sempre più ardito,reclamò a forza la sua possibilità di liberamente ragionare non più degli “universali” ma degli “individui” ovvero di tutti quegli “enti” reali, che costituendo la vera realtà “indagatoria” per l’uomo, era la sola che poteva predisporre alla“conoscenza” e portare alla “verità”, valendo anche per te quel lontano principio del Maestro antico che fu poi di Tommaso, che la verità altri non è che la corrispondenza tra realtà ed intelletto (adaequatio rei et intelectus),ed  incamminandoti per l’“erta” di quel primo principio, da discepolo, maestro Buridano ti avviasti a superare il maestro. Ed interrogandoti per le tue “Questioni sugli otto libri della fisica di Aristotele” sulla sua teoria del movimento, affrontasti con decisione la “vexata quaestio” e chiedendoti”se il proietto, una volta uscito dalla mano del proiciente, sia mosso dall’aria, o da che cosa sia mosso” avanzasti quella che sarà poi dell’”impeto” la tua di teoria. Scrivevi “si dimostra che non è mosso dall’aria poiché questa, dovendo esser divisa, sembra piuttosto resistere (al moto); inoltre, se dirai che il proiciente muoveva in principio sia il proietto sia l’aria ad esso contigua, e che quell’aria mossa causa il moto del proietto fino a una certa distanza, si riaffaccerà il dubbio su che cosa muova quell’aria una volta che il proi­ciente abbia cessato di muovere. La difficoltà infatti in questo caso è tanto grande come per il moto del sasso scagliato” per cui consapevole che ”la presente questione è a mio giudizio molto difficile, poiché mi pare che Aristotele non l’abbia ben risolta e ...perchè nonostante tale soluzione mi pare che quel modo di porre la questione non avesse alcun valore a causa delle molte esperienze in contrario” tu, maestro Buridano, finalmente osasti e contestando dell’antico maestro il concetto che “ciò che è in movimento deriva il suo movimento da altro” e sempre tra un “corpo mosso” e la “forza motrice” debba necessariamente esistere un contatto, tentasti le colonne ed oltre quell’“ipse dixit” ti spingesti e non mancandoti di quel tal Filopono di Alessandria le sue antiche intuizioni, di contro al maestro che il vuoto odiava , affermasti che non l’aria che si richiude dietro fa muovere il “proietto”, ma una forza motrice (vis motiva), quella che precisamente tu, maestro Buridano, chiamerai “impetus” e che nel sasso o nella freccia al momento del lancio  viene impressa. Scrivevi poi concludendo “possiamo dunque e dobbiamo dire che al sasso o a un altro proietto viene impressa una tale cosa, la quale è la virtù motrice di quel proietto, e ciò pare meglio che ricorrere all'azione dell'aria per far muovere il proietto. Pare infatti piuttosto che l'aria resista al moto. Mi sembra perciò che si debba dire che il motore, muovendo il mobile, gli imprime un impeto o una certa virtù motrice (vis motiva) di quel mobile nella direzione nella quale il motore lo muoveva, sia verso l'alto sia verso il basso, sia lateralmente sia in cerchio, e quanto più velocemente il motore muove quel mobile, tanto più forte impeto gli imprimerà. E da quell'impeto è mosso il sasso dopo che il motore ha cessato di muovere. Ma a causa della resistenza dell'aria e della gravità del sasso, che inclina in una direzione contraria a quella verso cui l'impeto muove, quell'impeto si indebolisce  continuamente. Perciò il moto di quella pietra diventa sempre più lento, e infine quell'impeto si consuma e si corrompe a tal punto che la gravità della pietra ne ha ragione e muove la pietra in basso verso il suo luogo naturale” come, in quel regno in cui “la gloria di colui che tutto move per l‘universo penetra e, e risplende in una parte più e meno altrove” soccorrendoci, cantano i versi immortali che al Divin Poeta sciolsero il dubbio,  “ne l'ordine ch'io dico sono accline /tutte nature, per diverse sorti, / più al principio loro e men vicine; / onde si muovono a diversi porti /per lo gran mar de l'essere, e ciascuna / con istinto a lei dato che la porti. / Questi ne porta il foco inver' la luna;/ questi ne' cor mortali è permotore; /questi la terra in sé stringe e aduna” perché essendo ogni“corpo” composto dei quattro elementi di “terra, acqua, aria e fuoco”, finita la spinta che lo muoveva “naturalmente” tende a tornare al suo luogo originale e così come l’aria ed il fuoco, per la loro “levitas” tendono verso l'alto così la terra  e l’acqua, per la loro “gravitas” tendono verso il basso!

E “se qualcuno”,continuando maestro,“chiederà perché proietto più lontano un sasso che una piuma, e un pezzo di ferro o piombo ben adattato alla mano che altrettanto legno, dirò che la causa di ciò risiede nel fatto che la ricezione di tutte le forme e disposizioni naturali si fa nella materia e in ragione della materia; perciò quanto più un corpo contiene di materia, tanto più, e più intensamente, può ricevere di quell'impeto. Ora, in un corpo denso e grave, a parità di tutto il resto, c'è più materia prima che in uno raro e leggero; perciò il denso e grave riceve più di quell'impeto, e più intensamente, come accade anche che il ferro possa ricevere più calore che non un'uguale quantità di legno o d'acqua” tu, maestro,per prima intuendo che, tra il sasso e la piuma, il “segreto” della loro diversità di comportamento nel movimento, potesse essere  la diversità della loro “materia” costitutiva, a quel tal grande “che vide sotto l’etereo padiglion rotarsi più mondi, e il sole irradiarli immoto” consegnasti la tua   l’intuizione  che “l’Anglo che tanta ala vi stese sgombrando primo le vie del firmamento”  poi tramutò in legge dando alla dinamica il suo primo principio ed il più importante, che recitando che ogni corpo tende a permanere nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme a meno che non intervenga una forza esterna a modificare tale stato, rese il sapere della “fisica” che troppo “sversava” nella “metafisica”ancora più libero e sicuro!

E fu gloria vera, maestro Buridano, se poi continuando nelle tue“empiriche” osservazioni e non era al tuo scontato, intuendo tu che nel“grave” in movimento una nuova forza si imprimeva, affermando che“da principio il grave è mosso solo dalla sua gravità naturale, e perciò si muove lentamente; successivamente è mosso insieme dalla gravità e dall'impeto acquisito, e perciò si muove più veloce; e diventando il moto più veloce, anche l'impeto diventa maggiore e più forte, e così il grave viene mosso insieme dalla sua gravità naturale e da quell'impeto maggiore; e così di nuovo si muove più velocemente, e in tal modo continua sempre ad accelerarsi sino alla fine" con sicurezza avanzando il famoso esempio della mola "se tu fai ruotare velocemente una mola da fabbro grande e molto pesante, e poi cessi di muoverla, essa continua a muoversi a lungo per l'impeto acquisito; anzi tu non potresti fermarla rapidamente, ma per la resistenza derivante dalla gravità della mola quell'impeto diminuirebbe lentamente in modo continuo fino alla cessazione del movimento della mola; e forse se la mola durasse per sempre senza alcuna diminuzione o alterazione, e non ci fosse alcuna resistenza corruttiva di quell'impeto, la mola sarebbe mossa perpetuamente da quell'impeto"  all’”Anglo che tanta ala vi stese” ” tu, maestro Buridano, primo titolare, gli assegnasti quel secondo principio che recitando“il cambiamento di moto è proporzionale alla forza motrice applicata, ed avviene lungo la linea retta secondo la quale la forza stessa è esercitata”  lo fece a quel grande di Lipsia forse … troppo superbo!

E così accelerando il tuo “impeto”  e sostenendo quei primi rudimentali principi, inutile rendesti ogni“intelligenza motrice” ed archiviando per sempre quella “vexata quaestio” che per gli arabi commentatori Aristotele aveva consegnato alla tua “schola” dividendola, alto ti ergesti tra gli immortali, e se poi… quel divin poeta che in epigrafe ti “supplì “ tra i suoi sapienti ti mancò, (come poteva!)  e per quell’ “apologo dell’asino”  alla storia sei stato consegnato non ti crucciare,maestro Buridano,  che a quel tuo apologo vennero poi tanti altri a dissetarsi. E se non bastarono del grande Ebreo d‘Olanda, che i suoi dubbi nell “Etica” riversò , a fare grande quell’apologo, grande invece, risolvendolo nella sua che fu anche la tua, maestro Buridano, di visione, lo fece  la certezza di quel grande di Germania che, nei suoi “Saggi di teodicea”, scrivendo “è vero che bisognerebbe affermare, se il caso (ovvero che in natura esistano due cose tra loro identiche)  fosse possibile, che l'asino finirebbe per morire di fame... l'universo non potrebbe essere bipartito...in modo che tutto fosse uguale e simile da una parte e dall'altra, come una ellissi o un'altra figura in un piano.... vi saranno perciò molte cose, dentro e fuori l'asino, anche se non ci appaiono, che lo determineranno a dirigersi piuttosto da una parte che dall'altra”  ti soccorse e negando che in natura, come di contro avviene in matematica, possano mai esistere due realtà perfettamente identiche, risolse  il tuo “l’apologo”  e venne alla tua parte ,chè anche tu, maestro Buridano, sempre credesti l’intelletto, nel suo discernimento, capace di alla volontà indicare la scelta giusta, non solo assolvendo largamente e per sempre chi “accanto all’uomo fu silente costruttore  di civiltà” ma definitivamente sconfiggendo chi alla fame l’aveva voluto ridurre e celebrato per sempre dal tuo apologo, maestro Buridano, alla storia affidato per far “tesoro” di tutto quello che insieme apprendemmo!        

Questo, maestro, il mio epigramma per te,”E come potevo, maestro Buridano, fuggire  al tuo apologo io che a scegliere fui poco e al bivio non imboccai mai la via!

Questo, maestro, nell’agosto che mi duole l’amore e solo tu ... il fiore che ti porto!

 Chiusa nelle ultime ore meridiane del giorno di sabato 7 agosto dell’anno del Signore 2021

Altri Epigrammi

Questo, maestro, il mio epigramma per te,”Io sono Buridano,il maestro delle Arti che accelerando la sua mola consegnò ad Isacco il suo secondo Principio!

Questo, maestro, il mio epigramma per te,”La Piccardia ti partorì ti nutri la generosa terra di Francia e levando agli universali il campo alto tenesti del tuo Maestro il nome!”

Questo, maestro, il mio epigramma per te,”Sottoposi la volontà all’intelletto e fui “l’asino” che nel dubbio consumò la sua vita!

Questo, maestro, il mio epigramma per te,”E se discepolo fui poi giudice non fu colpa mai ma del Maestro che con ragione volle-rese  la fede inconciliabile!

Questo, maestro, il mio epigramma per te,”C’eri tu,maestro Buridano, quel giorno che il Venarablis Inceptor venne censuarato e fu costretto a fuggire.”

Questo, maestro, il mio epigramma per te,”All’antico Maestro che ad ogni movimento reclamava un Motore, tu,maestro Buridano, opponesti il tuo “impeto” e fu gloria quel tuo proiettile nell’aria lanciato!”

Questo, maestro, il mio epigramma per te,“Ed, d’impeto impresso, oltre il tuo grande Maestro quel tuo proiettile si scagliò e fosti con Filopono il primo, maestro Buridano, a volere quel principio che con Galileo fece grande l’Inglese!”

Questo, maestro, il mio epigramma per te,”E così, maestro Buridano, opponendo alle cause finali e alle  intelligenze motrici il tuo“impetus”vincesti  la Scolastica e la sua cosmologia!”

 

 

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