La culatura a Cetara resta pressocché immutata nella sua lavorazione
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La culatura di alici di Cetara dop

Una dop per un liquido di antica tradizione

Cultura
Cilento martedì 28 giugno 2022
di Vito Pinto
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Lavorazione delle alici © Unico Settimanale

All’inizio era il “garum” un liquido ambrato, forse non perfettamente filtrato, principe della tavola dei romani con il quale venivano conditi i piatti di carne, di pesce e di verdure e insaporite altre varie pietanze presenti nei banchetti patrizi. Distesi sui loro triclini quei nostri progenitori, buongustai, attingevano, o se vogliamo intingevano i cibi in quel liquido trionfalmente marino che campeggiava al centro di tavoli in un piatto apposito, con tesa larga e profondo incavo centrale.
All’inizio era “la culatura” di alici di Cetara, diventata “le culature” di alici dopo che anche i nostri contemporanei lo hanno scoperto come condimento di pasta e arricchimento di altre pietanze.
Domani ci sarà “la culatura di alici di Cetara dop”, che risponderà a parametri ben precisi, garantendo il consumatore dell’autenticità di un prodotto che, in tempi non sospetti, era apprezzato sulla tavola di tanti raffinati del buon mangiare. Anche perché da queste parti del Mezzogiorno d’Italia sul versante del buon mangiare ne sappiamo qualcosa. Ma c’è voluto un biologo e fisiologo statunitense, Ancel Keys, per farci accorgere che quello che portavamo in tavola da secoli era particolarmente benefico per il corpo umano e stabilì che bisognava, giustamente, chiamarla “Dieta Mediterranea”.
Per giungere al riconoscimento ci sono voluti un bel po’ di anni, durante i quali la Pro Loco di Cetara prima e l’Associazione Amici delle alici dopo, presieduta dal tenace Secondo Squizzato, hanno lavorato con caparbietà e determinazione per un sacrosanto rispetto di quei cittadini cetaresi, di ieri e di oggi, che hanno sempre creduto in questo prodotto, producendolo anno dopo anno, nel silenzio delle loro cantine, sotto il respiro dell’aria montuosamente marina di Cetara.
E’ un borgo espanso, Cetara, posto in una piccola insenatura della Costiera amalfitana; poche case che penetrano una stretta gola in ascesa verso i monti Lattari, un luogo dove c’è sempre qualcosa da imparare dalla saggezza di uomini che sanno scrutare l’orizzonte, perché adusi a guardare i liquidi spazi infiniti fino all’ultimo orizzonte. Sono uomini di mare, quelli dei tempi duri, con le mani come quelle del vecchio Santiago narrato da Hemingway, uomini che hanno imparato la scienza dell’attesa.
Da sempre gli abitanti di Cetara hanno dedicato la loro vita ed hanno basato la loro economia sul mare, percorso e utilizzato prima con le lampare e poi con le moderne tonnare, barche attrezzate per la pesca d’altura del tonno e delle alici, che in questo borgo hanno sempre avuto particolare qualità.
Anche se la pesca del tonno ha avuto drastici riduzioni, resiste invece quella delle alici, pesce azzurro per eccellenza, da cui i cetaresi, da sempre, hanno imparato a ricavare la colatura, un condimento particolare, unico nel suo genere, che compariva – come ricordava il compianto Ezio Falcone - già sulle tavole medioevali dei monaci del circondario che ne ricevevano in omaggio dai pescatori cetaresi. Anzi sembra che il tutto abbia avuto origine in un convento della zona. C’era, infatti, a Cetara l’usanza di conferire parte del pescato ai monaci del convento, in segno di devozione. Dal canto loro i monaci, per antica e sapiente tradizione, conservavano le alici sotto sale in botti di legno in modo da poterle consumare durante i mesi di scarsa pesca o di cattivo tempo in cui i pescatori non potevano andar per mare. Un anno, però, successe che la pesca fu particolarmente abbondante e, di conseguenza, i monaci ricevettero un grosso quantitativo di pesce. Fu così che uno dei contenitori in cui venivano conservate le alici sotto sale, rimase per diversi mesi in un angolo della cambusa del convento; quando fu il tempo di aprirlo, il monaco notò la presenza di un liquido. Assaggiatolo, notò che il sapore non era poi così male, per cui decise di utilizzarlo come condimento per le sue ricette al posto del sale.
Storia, leggenda? Ma in questa parte di costa dove vive il mito delle sirene è inutile indagare sulle verità. E continuando a leggere la storia si inciampa, all’inizio dell’800, in P. Niccola Onorati detto “Columella” impegnato proprio a Cetara nello studio della salagione delle alici.
Di sicuro una tradizione antica che oggi è regolamentata da un preciso, apposito disciplinare proprio per tutelare non solo un primato, ma anche una particolarità.
Il disciplinare, infatti, cui l’Associazione Amici delle Alici, che quest’anno festeggia il ventennale di attività,  ha dato un forte e determinante contributo, prevede innanzitutto che il pescato sia esclusivamente del mare dell’ampio golfo di Salerno, lì dove si pescano anche le costose alici di menaica del Cilento.
E ci sono voluti decine di assaggi (metodo pratico con il quale si usa procedere per determinare l’olio di olive), operati cum grano salis (è il caso di dire) per non confondere i palati degli esperti facenti parte di una commissione coordinata da Eugenio Puglia, e si sono avuti decine di raffronti, di riflessioni, anzi di meditazioni gustative su questo prodotto prima di giungere a determinarne l’identità.
Alla fine si sono stilati i parametri con i quali il prodotto potrà essere dichiarato “Culatura di Alici di Cetara dop”: limpido e brillante, di colore ambrato tendente al bruno-mogano, odore caratteristico e persistente che richiama il profumo delle alici sottosale, dal forte sapore e con sapidità elevata derivante dall’utilizzo di alici e sale come materia prima. E la maturazione deve avvenire in terzigni di castagno o rovere.
Una serie di articoli del disciplinare è, quindi, a tutela del consumatore il quale, tra qualche tempo, potrà acquistare la colatura di alici di Cetara dop.
Così, dopo lo sfusato amalfitano, la carta a mano e la ceramica di Vietri sul Mare un altro gioiello impreziosisce quest’ansa del Golfo di Salerno che pratica turismo anche con la buona tavola oltre che con una sempre maggiore proposta ecologica.
Così, nonostante i secoli trascorsi, la “culatura a Cetara resta pressocché immutata nella sua lavorazione. Cambia, però, il paese che non termina al sommo di una scala e si apre all’ospitalità con case una volta di pescatori, a riparo di vicoli puliti e slarghi cari a Manfredi Nicoletti, raccolti contro il soffio del maestrale e del libeccio. 
Una volta tutti i cetaresi, prima o poi, salivano su una barca, una lampara per pescare alici. Oggi altre attività animano questo borgo sottostante la strada statale 163 amalfitana e i cetaresi si sono inventati operatori turistici… Ma tutti, per vecchia consuetudine, scrutano il mare per sentire l’aria del tempo che farà domani: antiche abitudini che qui, a Cetara, non si vuole abbandonare.
 

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