Eugenio Giliberti, un nome una garanzia

Il Maestro Eugenio Giliberti alla Fornace Falcone per i suoi nuovi progetti

Un pannello in ceramica di grandi dimensioni, è il lavoro che il Maestro Eugenio Giliberti sta realizzando presso la Fornace Falcone, un bellissimo progetto che si svolgerà a Rotondi a fine ottobre 2017.

Cultura
Cilento mercoledì 11 ottobre 2017
di Fornace Falcone
Immagine non disponibile
Eugenio Giliberti © Fornace Falcone

Eugenio Giliberti (Napoli 1954) esordisce negli anni ’80 animando un gruppo di giovani artisti napoletani (evacuare Napoli) che partecipa al fenomeno, allora prevalente, della riscoperta e del ritorno alla pittura.

Nell’aderire a quel clima tuttavia, rifiuta la via neo-figurativa, scegliendo una posizione minoritaria.

La sua ricerca prende una direzione decisamente personale a partire dal 1987, quando, con le prime superfici monocrome mette a punto i fondamenti di un edificio poetico autonomo dall’environment più prossimo. Culmine di questo segmento della sua ricerca (1996) l’opera denominata “seicentottantamilaquattrocento quadratini colorati” (galleria ThE, Napoli- 1996 ; Galleria Occurrence, Montréal - 1998; Kunstverein di Ludwigsburg - 2001; galleria Milano, Milano – 2006, Castello di Genazzano, 2013), opera “combinatoria” in cui, su carta quadrettata, sviluppa tutte le combinazioni possibili di 10 colori in tre trittici. Seguono: gli “oggetti platonici” (in “la scultura italiana del XXI secolo”, Fondazione Arnaldo Pomodoro, Milano, 2010); LP- lavoro politico (in “Castelli in aria”, Museo di Castel Sant’Elmo, Napoli – 2000; “futurama”, Museo Pecci – 2000, “curriculum vitae”, Museo di Castel Sant’Elmo, Napoli – 2003)

Dal 2006, trasferitosi in campagna, fonda “Selve del Balzo”, una piccola comunità produttiva che lavora il legname prodotto dai boschi del circondario e all’occorrenza lo coadiuva nella produzione delle sue opere. La sua ricerca qui trova un particolare impulso dall’osservazione della realtà culturale e ambientale del piccolo mondo che lo circonda. Ne scaturisce una nuova serie di lavori, presentati nelle mostre personali a lui dedicate dalla Galleria Giacomo Guidi di Roma (2008 -Working Class; 2010 - Il senso di Walden).

Costante nella sua attività espositiva è l’attenzione al luogo ospitante. Da alcuni anni, infatti, in ogni nuova situazione espositiva, Giliberti compie una sorta di omaggio al luogo, raccogliendo su di esso notizie e testimonianze e realizzandone piccole riproduzioni in cera o plastilina da esporre, insieme alle altre opere, proprio nel luogo riprodotto: contenitori / contenuto, gesti di “buona educazione” che costituiscono un ulteriore ciclo di lavoro, autonomo ma perfettamente integrato nel discorso complessivo dell’opera e alla cui raccolta è stata dedicata un’intera mostra nel 2008. (in “la meccanica della meraviglia”, Darfo Boario Brescia, per la cura di Mauro pansera). Ritorna sull’argomento in “Bisbigli nelle stanze di Aurelia”, personale nel Palazzo Ducale di Martina Franca curata da Angela Tecce (2012) e nell’antologica “ho le mani impegnate sto pensando”, curata da Claudio Libero Pisano al Ciac (Genazzano, Castello Colonna 2013), dove espone per la prima volta opere appartenenti a un nuovo ciclo “Data Base”, dedicato all’antico meleto nel quale è ubicato il suo studio – masseria di Rotondi.

Nell’area della masseria Varco svolge l’ultimo, in ordine di tempo, dei suoi progetti: “Orto Civile”, un progetto di arte partecipata che coinvolge più di 40 famiglie napoletane e diversi operatori dell’agricoltura intorno al rapporto tra cura della terra e alimentazione.

Della serie di “data base”, una grande assonometria del meleto del Varco è stata esposta in “rendez – vous des amis” (2015), mostra convegno internazionale curata da Bruno Corà nelle sedi della Fondazione Burri, in occasione della celebrazione del centenario dalla nascita di Alberto Burri, e il progetto “Orto Civile” è stato protagonista nel tavolo del convegno presieduto da Werner Mayer dedicato al rapporto tra arte e natura.

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