“Le confraternite rimangono uno degli esempi più palpitanti e suggestivi del folclore cilentano, soprattutto quando le loro anime di gruppo riescono, purtroppo sempre più di rado, a riconnettersi col senso di misticismo”

I laici devoti delle Confraternite

Le Confraternite dei Laici Devoti

Cultura
Cilento martedì 18 dicembre 2018
di ANTONIO NIGRO su testo di AMEDEO LA GRECA
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I laici devoti delle Confraternite © Unico

Tempi della riforma protestante. Il cattolicesimo era in pericolo. Fioccavano le eresie, la fede nelle anime d’allora era divenuta titubante, e questo, in una società che ruotava intorno ai dogmi e alla sicurezze del cattolicesimo, ebbe un effetto disgregante, e d’atroce incertezza. Non solo religiosa, m’anche politica. In tal senso l’intervento delle confraternite fu provvidenziale, e fecero da argine a tutta la disordinata frenesia che era sopravvenuta, e che non sembrava volere avere fine, dopo Lutero e le sue terribili novantacinque tesi (1517 d.C.). Furono proprio le confraternite a mediare, in quel periodo, fra gli ecclesiastici e chi con quel mondo non voleva più averci a che fare: e così, contrapporsi a lui una volta per tutte. In seguito, con la rivoluzione francese, con l’avvento della religione della scienza e della bella ragione contro il buio della superstizione, scomparirono in gran parte. Si riabilitarono, senza però ritornare al loro antico splendore e alla loro mistica quant’autorevole influenza, nel periodo successivo, quello della Restaurazione (1815 d.C.). Con il crepuscolo del secolo scorso, e con l’affermazione sempre più convinta del materialismo anche fin dentro la sacra dimensione dei sentimenti, e con il consolidarsi inoltre dei suoi nuovi dèi e dei suoi nuovi ruoli, i contorni delle confraternite sfumarono, perdendo sostanza e rilievo. Voci e sentimenti tuttora difficili da rintracciare, da dissotterrare dalla memoria umana, che in verità non conosce confini od età; ma non ancora del tutto estinti; e il Cilento e le sue tradizioni ne sono, in parte, la dimostrazione.

A oggi, le confraternite rimangono uno degli esempi più palpitanti e suggestivi del folclore cilentano, soprattutto quando le loro anime di gruppo riescono, purtroppo sempre più di rado, a riconnettersi col senso di misticismo, che le animava e le faceva splendere nell’armonia anche in passato. In tal caso, riescono a divenire le depositarie dei valori cristiani (e dunque prettamente umani o comunicativi) del proprio paese, e si sentono tali. D’altronde le confraternite sono nate anche come reazione all’isolamento di cui il mondo rurale, a causa della sua pesantezza e della sua arretratezza, è stato spesso, in passato, l’autore. C’è infatti chi ritiene che sia il campanilismo il modo di sentire tipico del contadino puro: fra cui molti rinomati studiosi, come Jacques Le Goff e Alfonso Marini.

Con atti di pietà e di carità, assurgevano a quello scopo.

Ecco perché la coralità, nelle confraternite, divenne anche il rito dell’unione: la propria voce che risuona insieme a quella dei propri confratelli; un sentimento perpetuo. Così come il rispetto e l’osservanza degli altri rituali, che erano possibili solo in gruppo e solo in gruppo potevano conseguire la grazia spirituale o ‘’la sua luce senza fine’’, rappresentano l’asservimento della propria volontà per una volontà che la trascende, o che si riversa all’esterno; quella comunitaria.

Nei paesi dell’antico Cilento, prezioso e profondo è il rituale del Venerdì Santo, eseguito dalle confraternite; rituale in cui vanno a confluire insieme il senso del pellegrinaggio dell’anima, e quello dell’emblema sacro (la visita agli altari della deposizione: ossia ai sepolcri, con la vita dei fiori, dei legumi e dei germi di grano: “Se il chicco di grano non cade in terra e non muore, rimane solo; se invece muore, porta molto frutto”).

Con interesse si possono osservare le divise, leggere le insegne, ascoltare i canti, gustare la funzione religiosa. La divisa, oltre dal camice e dal cappuccio candidi, è formata da un cingolo (leggasi ‘’cordone’’), e una mantellina. Quando quest’ultime sono rosse, sono dedicate al Corpo di Cristo o al Rosario; azzurre, alla Madonna venerata sotto vari titoli; marroni, alla Madonna del Carmine; nere, al Monte dei Morti. Ogni confraternita s’è votata a una santità in particolare. Sui colori, ci possono essere varianti sul tema. Se due confraternite, per esempio, hanno abitato lo stesso paese, e una delle due s’è poi persa nel passato, può avere lasciato all’altra che le è sopravvissuta un’impronta, o una piccola eredità; oppure, una nuova confraternita si sente chiamata a rendere omaggio ad una precedente, che nel frattempo ha concluso il suo ciclo naturale; e così, a continuarne la tradizione e riprenderne umilmente le fila; od anche, perché no, portarne a termine la missione. Ecco perché la confraternita di Pollica, pur essendosi votata alla Madonna del Rosario, ha la mantellina nera; oppure, quella di San Mauro ce l’ha rossa, anche se si è votata alla Madonna delle Grazie.

Di solito, le insegne recano i colori della mantellina; e sul gonfalone, retta dalla grande croce che nelle cerimonie apre sempre le due file dei cunfràti, è ricamata, con fili d’oro e seta grezza, o semplicemente dipinta s’un ovale di tela, l’effigie del titolare; la scritta dell’intestazione; e a volte, anche l’anno della fondazione.

I canti cerimoniali sono il senso vero delle confraternite, come abbiamo già fatto intendere. Sono canti tradizionali: tramandati di generazione e in generazione, e che pertanto hanno conservato, e in gran parte, i ritmi e le antiche modulazioni. Di solito le strofe sono formate da quattro versi di sette od otto sillabe ciascuno, alle quali viene frapposta una ripresa (o ‘’replica’’) formata da due versi.

Ma altrove si trovano anche canti formati da quattro distici (sequenza di due versi legati da rima, assonanza o altro) endecasillabi, ai quali sono frapposte una o più riprese. La melodia del distico è sempre lo stesso; e l’esecuzione del canto è sempre la stessa, polivocale, con una voce alta e due, o più, basse, che si accordano sull’attacco di quella principale alle prime sillabe, o magari al secondo verso; e a mo’ d’una coperta sonora. Un’emissione di fiato deve reggere tutto il verso, e non s’espira dal petto ma dalla testa, di conseguenza la voce è come lacerata. La voce ha tuttavia un timbro diverso a seconda della zona: pietoso per le confraternite della Chiòva (Ortodonico, Cosentini, Fornelli); melodioso e corale per quella di Sessa; forte e robusto per quella di Cannicchio.

Eseguito un ultimo canto e un ultimo giro (se ne fanno 3, 5 o 7 a seconda del tempo disponibile, intervallati da canti), la confraternita esce dalla chiesa e si mischia alle vie del paese, accettando la sua ospitalità, ossia i suoi boccali di vino nel tempo che fu, i suoi dolciumi e le sue bibite nel tempo di oggi.

Le confraternite infine sono l’occasione d’incontro fra due o più comunità, che hanno rare possibilità per entrare in contatto fra loro, proprio come se fra loro ci fosse il mare.

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