Iosca: “Come per Paestum La Tomba del Tuffatore, per Albanella La Tomba della Fanciulla Offerente rappresenta il simbolo della nostra storia”

Il ritorno della Fanciulla Offerente

Quando vado ai musei, la mia prima preoccupazione è che ci siano panchine su cui sedermi e riposarmi.

Cultura
Cilento giovedì 31 gennaio 2019
di Antonio Nigro
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Il ritorno della Fanciulla Offerente © Unico

È bello e rassicurante avere amici diversi. C’è chi può seguirti in ambito che ti interessa, chi un altro; e chi, viceversa, ti sprona a relazionarti con ambiti da te poco frequentati e conosciuti, così come ha fatto una mia amica che m’ha invitato a seguirla all’inaugurazione dell’esposizione dell’antica tomba greca, denominata La Fanciulla Offerente, che s’è tenuta l’attuale 18 gennaio alle 10.30, presso il municipio della metropoli del nostro grande e glorioso Comune, ossia ad Albanella city, e nello specifico a Palazzo Spinelli, che domina dolcemente la graziosa, suggestiva, umile ed ombrosa piazza Guglielmo Marconi. Premetto che io non amo i musei e ciò che essi espongono. Quando vado ai musei, la mia prima preoccupazione è che ci siano panchine su cui sedermi e riposarmi. Se mi chiedono “Vuoi venire al tal od al tal altro museo?”, io di rimando chiedo “Ma ci sono buone panchine?”. Ed una volta che ci sono, mi dimentico in verità delle panchine, che sono spesso una vera miseria, dalle architetture striminzite, e quanto mai lontane dall’idea della comodità e dal suo relativo senso dell’accoglienza; e li circumnavigo dall’inizio alla fine in fretta e furia, e in un’unica corsa, con le auricolari del cellulare nelle orecchie, che trasmettono composizioni musicali che trovo più o meno piacevoli o belle, e che formano una corrente fluviale che arricchisce e, ai miei occhi, vivacizza la varietà d’immagini, di colori, di forme e d’occasioni che possono offrire le opere di quel tale o tal altro museo, immobili ed irraggiungibili dietro a delle teche. Quest’è il mio strano modo di vivere e degustare i musei, e non ne conosco un altro.

Fanno eccezione, anche se non sempre (e ciò dipende dagli ideali dei loro artisti), tutti quei musei che custodiscono opere legate a una sensibilità più moderna, dall’800 in su circa: con più naturalezza riesco a soffermarmi e rimanere in ascolto, e non pensare al tempo che precipita e che non dà tregua all’anima. Finalmente lì il senso di fatica, d’attesa e di noia s’attenua. Sento finalmente che gli istanti sono inesauribili e infiniti, come difatti sono. Come quando sono stato al museo Van Gogh d’Amsterdam: e ho visto quadri intitolati Campo di grano con volo di corvi (bellissimo quadro); I mangiatori di patate; La Camera da letto (colta nella sua semplicità ed intimità); I girasoli; eccetera.

È infatti innegabile che i greci antichi avessero una sensibilità molto diversa dalla nostra. In un prossimo articolo ne spiegherò bene i motivi.

Ho pensato varie cose assistendo all’inaugurazione. Prima di tutto, che non riesco a godere dell’artistica bellezza coi crampi a piedi, e che in generale la scomodità non s’accorda con la morbidezza o l’impalpabile fluidità dell’arte; e che, per di più, i crampi sono molto antipatici o irritanti, quando non hanno una bella funzionalità, come quando si fa sport o si passeggia a lungo, magari sotto il sole e nella verde campagna. Ma non hanno avuto questa bella premura. Non hanno fatto lo scatto necessario per tagliare il radioso traguardo. Difatti non c’erano abbastanza posti a sedere per tutti: e la calca, che così si formava, rovinava irrimediabilmente la visibilità, e pertanto la godibilità, per molti dei partecipanti. Nell’antica Grecia questo mai sarebbe successo. Abbiamo molto da imparare, anche da loro. Ed è ironico che li apprezziamo tanto (o almeno, così diciamo), pur volendo omettere dalla nostra condotta le loro buone virtù, di cui la nostra cara Italia, ora più che mai, avrebbe tanto bisogno; e perseverare testardamente in tutt’altro modo, ossia verso la confusione e la difformità delle parti. La famosa “misura” dei greci, in un omaggio od in un’iniziativa a loro stessi dedicata, non è stata raggiunta.

In secondo luogo, poiché erano presenti delle scolaresche, che le nuove generazioni destano in me sempre grande interesse. Chissà perché. Eppure la ricchezza è in ogni età. A noi dicono sempre che sono disastrose. A me, per quanto li osservi, non sembrano disastrose. Anche per la mia amica è così. Sono troppo giovani per essere pericolose. Invece gli adulti d’adesso, no. Se magari sono un disastro, non può certo dipendere da loro. Mi chiedo inoltre da dove possano suggere valori veritieri, da quale fonte o mezzo. Dato che ai miei tempi c’era una buonissima tv per bambini e ragazzi, in seguito estromessa, e ora sono lasciati in balìa e senza guida a navigare su internet, dove si può trovare di tutto e di più, il peggio ed il meglio; ma, per dire la verità, soprattutto il trash. (Non mi piace questa tipa/ Voglio la tipa del tipo/ Sì, l’ho già lasciata incinta/ Parla, parla, parla, parla/ Che gran sculacciata!).

Il discorso è stato il classico discorso istituzionale (come se ne possono trovare a milioni), ossia pomposo, prolisso, circospetto, edulcorato, senza pepe, sterilizzato e lustrato come una saponetta da bagno. I relatori sono stati: il dottore Renato Iosca, sindaco del nostro adorato Comune; Paolo Giulierini, direttore del MANN; Giovanna Scarano, direttore del Parco archeologico di Elia-Velia e museo archeologico di Eboli; Gaetano Ricco e il suo simpatico pizzo, dell’accademia meridionale Federico II di Svevia.

Il discorso si è focalizzato sull’orgoglio delle nostre origini (di certo ben riposto) e sul valore della bellezza e del sogno per l’essere umano. Ma poiché non s’è giustificata la loro importanza, che è così sembrata rimbalzare nel vuoto, sono state le classiche parole che non sono riuscite a fare passare inosservato la bellezza del silenzio, che in quei momenti si è dovuto allontanare. Sarebbe, per esempio, bastato dire che è bello sognare per realizzare le nostre discendenze divine per rendere tutto molto più interessante.

Ma l’empatia e l’affabilità che volevano comunicare i relatori ci hanno tuttavia del tutto convinto.

Inoltre ci è sembrata memorabile anzi poetica questa affermazione di Iosca: ‘Come per Paestum La Tomba del Tuffatore, per Albanella La Tomba della Fanciulla Offerente rappresenta il simbolo della nostra storia’.

La Fanciulla Offerente non è bella (pecca di rozzezza), ma è di certo affascinante. Venne ritrovata, in località San Nicola, il 5 aprile del 1932, dall’archeologo Antonio Marzullo. E poi trasferita per essere esposta al MANN (Museo Archeologico Nazionale di Napoli). È composta da quattro lastre decorate da affreschi. Nella prima lastra, un cratere a calice (tipo di contenitore di vino) e un contenitore di frutti, contornati in alto da melagrane; nella seconda, una delicata figura femminile, vestita con un lungo chitone (tunica senza maniche) violaceo, e con in una mano un vaso per bere vino (skyphos), e nell’altra una brocca per versare vino (oinochoe); alla sua sinistra, due lottatori che combattono nudi; nella terza, scena di sacrificio, con un guerriero che pone su un altare la testa d’un vitello; nella quarta, altra scena di duello, con due guerrieri che indossano una corta tunica stretta da un cinturone: uno si protegge con lo scudo, mentre l’altro lo colpisce con una lancia.

La Fanciulla Offerente si può visitare al lussureggiante e giallognolo municipio della nostra city, e gratuitamente, e fino al 31 maggio di quest’anno, e dal mercoledì al venerdì, dalle 10 alle 13; sabato e domenica, dalle 10 alle 13; inoltre dalle 17 alle 20. Di lunedì e martedì, purtroppo no. E purtroppo, ci sarà durante la visita una sdolcinata musica di sottofondo. Vi consiglio di portarvi dietro delle auricolari e della buona musica, che si concili bene con la solennità e allo stesso tempo con la semplicità, o la freschezza, del momento.

Poi, la mia amica m’ha invitato a visitare con lei il museo archeologico nazionale di Paestum. Ho sbuffato, ma poi ho detto sì. Che belli gli amici!

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