Stampato nel numero di Val Calore del 31/12/1996
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​GENNARO D’ANGELO RITORNA SUL TEMA DELLA LIBERTA’…

Anche la comunità degli uomini, come un organismo umano, ha bisogno di difese per intercettare e neutralizzare i pericoli che lo minacciano e che sono rappresentati dai furbi, dagli arroganti e dagli incapaci.

Cultura
Cilento martedì 12 marzo 2019
di La Redazione
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Gennaro D'Angelo, ex assessore alla cultura del Comune di Roccadaspide © Unico

Qualche tempo fa, raccogliendo una provocazione del Direttore di questo foglio, ebbi a fare alcune considerazioni sulla situazione del nostro Paese, con particolare riferimento al tasso di libertà circolante. In sostanza dicevo che ci sono uomini (popoli) che hanno attitudine a vivere liberamente e altri no. I primi, avendo consapevolezza che le persone sono degli esseri desideranti e progettanti, e con una forte tendenza a conseguire il proprio utile; e che spesso lo realizzano ricorrendo alle bugie, agli ingenui, ai tradimenti (‘I più cattivi’ secondo Croce ‘sono industriosissimi e inventivi e le pensano tutte per raggiungere i loro fini’); eccetera, si organizzano per ridurre al minimo il rischio di essere fregati. E lo fanno creando i rimedi, che si chiamano associazioni culturali, giornali, riflessioni mirate, tavole rotonde, confronti, eccetera. In concreto, come l’organismo umano, anche la comunità degli uomini ha bisogno di difese per intercettare e neutralizzare i pericoli che lo minacciano e che sono rappresentati dai furbi, dagli arroganti e dagli incapaci, che spinti dalla loro avidità brigano per assumere responsabilità istituzionali; e quando le difese si indeboliscono, l’organismo umano o comunitario che sia si ammala. (È facile immaginare quello che succede quando esse sono del tutto assenti, come nel nostro Paese). Certo, per metterle su ci vuole tempo, si scontano fastidi e, a volte, anche pericoli, ma è il solo modo per vivere liberamente e far progredire la vita della comunità e quella propria. Infatti è proprio attraverso questo faticoso percorso che si può venire a conoscenza, per tempo, di quello che si decide per noi, e se non ci dovesse piacere attivarci per modificarlo. Non solo: è altresì l’unica via per individuare le persone più idonee ad assumere ruoli di governo e che sono quelle che hanno capacità di capire i problemi e le idee per risolverli. Questa fatica si chiama politica e le Comunità che non la fanno, secondo un pensatore francese, vivono nella pigrizia, che è l’unica libertà che possono permettersi gli uomini non liberi. Non avendo noi frequentazioni con l’esercizio su richiamato è facile inquadrare la nostra appartenenza. La responsabilità di questa condizione terzomondista in cui vivacchiamo è di tutti (e non della cattiveria di taluni, come ingenerosamente si è portati a credere). In particolare modo della borghesia intellettuale (professionisti, insegnanti, eccetera), che vive una condizione di assoluta estraneità rispetto ai problemi del Paese; della scuola, che non forma cittadini ma sudditi acritici; della Chiesa, che non crea coscienza e non si capisce quale sia la sua utilità; dei giovani, che non danno segni di vita. Queste argomentate osservazioni hanno scatenato una livorosa e insolente reazione da parte di Giovanni Francione, noto teorico del pensiero inesistente. Il nostro ha principiato confessandoci la sua amarezza nel constatare “che le poche teste pensanti all’interno d’una realtà… continuano a ragionare per luoghi comuni”. Non ci vuole l’intelligenza di Einstein per cogliere la contraddizione di questa affermazione. Infatti o è sbagliata la premessa o le conclusioni: le teste pensanti sono tali se comprendono la realtà; non lo sono invece se non la capiscono: e non capendola, non possono che dire cose non pertinenti col fatto in esame. Nella stessa frase definisce la nostra “come qualche tempo fa, una realtà abbandonata a se stessa”. E qualche riga più avanti, chissà perché, mi dà della Cassandra perché avevo avuto il torto di sostenere la stessa cosa nel servizio “incriminato”. Siccome Giovanni è un giovane galante, per non lasciare sola la figlia di Priamo, Cassandra (che tra l’incredulità generale vaticinava sventure), ha pensato bene di darmi pure del Solone. Successivamente, sfidando il ridicolo, mi fa osservare che io non conosco quello che avviene nel mondo giovanile rocchese (usando un’espressione crociana, avevo detto che in mezzo a questo degrado “i giovani stanno a guardare”), in quanto “quei giovani nati per invecchiare hanno dato vita negli ultimi mesi ad un circolo politico… ed a una serie di iniziative”. Essendo lui nel giro, si intrattiene sull’argomento epicheggiando sulla portata della cosa. È comprensibile. Non lo è invece il fatto che egli non tenga conto di un piccolo particolare e che è questo: su circa cinquecento giovani (tanti sono i nostri concittadini che vivono questo tempo della vita) appena una decina (ed esagero per eccesso) fanno riferimento al surrichiamato partito (Rifondazione Comunista). Vale a dire il 2% della popolazione giovanile. Ammesso che i nostri rifondaioli intendano porre mano alla fatica di cui sopra, il restante 98% che fa? Ma Francione incalzato da una concitazione adulante, non ha tempo per pensare a queste quisquiglie e passa ad affermazioni del tipo “La coscienza civile e politica di un popolo si forma sull’esperienza… e non sulle elucubrazioni metafisiche”; “Una serie di valori naufragati sotto i colpi dell’arroganza morale e intellettuale di un ceto politico, vecchio e nuovo…”; “Un Consiglio comunale poco attento alle spinte che provengono da una società civile...” (che non esiste). Ora non è il caso di commentare un simile geometrico dispiego di insensatezze. Esistono dei limiti di fronte ai quali anche una “testa pensante” alza bandiera bianca. Il dicitore del nulla conclude la sua performance accusandomi pure di avere dato un cattivo esempio quando, l’anno passato, mi sono dimesso da assessore, senza averne spiegato le ragioni. Quindi la cosa importante non è se ho lavorato bene o male, ma l’avere lasciato l’incarico silenziosamente senza averlo fatto passare (perché non lo era) per un evento importante agli occhi della gente. In questo è commovente la coerenza del (non) ragionamento di Francione, che dall’inizio alla fine non ne ha imbroccata una. Si è comportato come quei partiti della schedina, i quali, anziché preoccuparsi di fare tredici, si spremono a scrivere i risultati finali. Per questo mi è venuto un dubbio. Vuoi vedere che quel mattacchione l’ha fatto a posta e io ci sono cascato? Mi piacerebbe pensare che le cose stiano così e lo dico senza nessuna ironia. Diversamente queste farneticazioni sono foriere di giorni difficili. E il nostro Direttore, che è persona cortese e attenta, facendoci leggere nello stesso numero anche di peggio conferma in qualche modo questa non allegra prospettiva. Da qui l’urgenza di confrontarsi con questa inquietante situazione non con lo spirito di rintracciare i colpevoli che non ci sono, ma con la volontà di volere avviare la fatica che ricordavo all’inizio: quella è la vera trincea per la rinascita di queste terre. Ed è lì che mi troverai, caro Giovanni, raccogliendo una provocazione del Direttore di questo foglio, poiché ebbi a fare alcune considerazioni sulla situazione del nostro paese, con particolare riferimento al tasso di libertà circolante. In sostanza dicevo che ci sono uomini (o popoli) che hanno attitudine a vivere liberamente, e altri no.

Gennaro D’Angelo

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