Tutto quel fegato (tre o quattro volte alla settimana) che ci proponeva la cucina del seminario era un incubo per me... non riuscivo a mangiarlo...
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​QUEL “QUID” CHE TI ACCOMPAGNA TUTTA LA VITA

"A volte mi rendo conto dei limiti della formazione ricevuta, qualche volta non adeguata al mondo laico: e sono costretto ad un lavorio interiore tale da dovere cambiare atteggiamenti."

Cultura
Cilento domenica 31 maggio 2020
di Gaetano Puca
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Altro momento del coro © Unico

Nell’anno scolastico 1965-1966 sono stato nel seminario diocesano di Vallo della Lucania. Frequentai il quinto ginnasio. Quando l’amico Bartolo Scandizzo mi ha telefonato per chiedermi i ricordi del seminario, ho risposto, ringraziando, positivamente perché più che ricordi di un anno di formazione in seminario, successivo ad altri due trascorsi nella casa di noviziato dei Vocazionisti ad Altavilla Silentina, ritengo che si debba parlare di un quid che, acquisito, ti resta e ti accompagna per tutta la vita. Mi definisco, oggi, cattolico praticante e chi mi legge (in quanto mi diletto a scrivere su problematiche storiche, sociologiche e pedagogiche territoriali) si rende perfettamente conto che si trova di fronte ad una persona di orientamento cristiano. Certi valori interiori e determinati comportamenti consequenziali ai valori stessi, una volta acquisiti, fanno parte integrante della persona. Per esempio una volta acquisiti i valori della bontà, della disponibilità, dell’onestà ed altri come ricchezza dello spirito, ti lasciano un segno. Questi valori spesso sono visti da cui ti sta vicino come segno di debolezza. Con ciò non voglio affermare che io abbia raggiunto o realizzato questi valori. Vi è semplicemente una tendenza, anche se minima, ad impostare la propria vita tenendo conto di alcuni valori. Nell’anno di seminario ho compreso che studio e impegno sono importanti. Qualche ricordo particolare comunque mi è rimasto. In particolare Don Armando Borrelli, insegnante di italiano mi chiamava “il capaccese”. Forse poco sopportava i cittadini di Capaccio essendo lui di Agropoli. Usava dettare appunti di letteratura che sintetizzava dal testo di Panozzo (l’ho capito successivamente). Io studiavo gli appunti molto bene, ma non c’era niente da fare, il voto più alto che mi attribuiva era sempre e comunque cinque. In classe eravamo 7 ragazzi, per cui si veniva interrogati tutti i giorni e in tutte le discipline. Bisognava impegnarsi veramente, anche perché negli anni sessanta la scuola era diversa da quella di oggi. Comunque, ho utilizzato gli appunti di Don Armando sia da studente presso l’istituto magistrale Regina Margherita di Salerno, sia da insegnante (laureato in Pedagogia con indirizzo socio-pedagogico), quando la scuola prevedeva gli esami di riparazione a settembre. In verità li ho utilizzati in più occasioni. All’epoca il rettore del seminario era Don Rocco De Leo che insegnava anche Greco. Era l’anno in cui si studiavano i verbi e come sempre tutti i giorni interrogati, guai se si sbagliava un verbo. Un giorno, mi chiese l’aoristo di un verbo che non ricordo, sbagliai l’accento. Don Rocco si alterò e mi ordinò di copiarlo mille volte. Il giorno successivo contava, se la conta non corrispondeva ti ordinava di riscriverlo 2 mila volte. Io scrissi mille volte l’aoristo con l’accento e la conta andò bene. La rigidità di Don Rocco (a giudicarla oggi) era espressione della sua integrità morale, spirituale ed intellettuale. All’epoca nel seminario vi erano ragazzi che frequentavano anche la scuola media inferiore e quando si usciva per il passeggio, sempre in fila per due, si dava origine ad una specie di corteo, in primis i più piccoli e alla fine noi del quinto ginnasio. Il corteo era accompagnato da due novelli sacerdoti Don Mario Gregorio, una persona di carattere dolce e da Don Lucio Rizzo che si interessava anche del coro e di musica per insegnare (almeno strimpellare) l’organo. Un altro ricordo: non mi piaceva e ancora oggi non gradisco il fegato di vitello. Nel seminario per tre o quattro volte alla settimana si mangiava fegato. Per me era ed è ancora uno strazio. Non riuscivo a mangiarlo. Spesso mi chiedeva: “Il vitello che viene ammazzato nel campetto sportivo del seminario ha solo fegato? Saranno vitelli speciali?”. A proposito del campetto spesso si giocava a calcio, io giocavo in porta. Le sfide più interessanti si disputavano tra noi seminaristi e i ragazzi di vallo. Dimenticavo una cosa. Il vescovo era Monsignor Biagio D’Agostino. Quando in occasioni religiose particolari si andava in cattedrale, predicava per tanto e tanto tempo. Durante le predica qualche seminarista o si addormentava o chiacchierava sottovoce. Arrivava Don Alfredo Renna (allora padre spirituale del seminario ora parroco di Capaccio Capoluogo ove io risiedo), che rimproverava e richiamava. Ma spesso richiamava chi non parlava. Evidentemente soffriva di simpatia e antipatia. Richiamava a proprio piacimento. Quindi, studio, impegno in quel che è dovere compiere ed altri valori si portano sempre nel proprio intimo. Spesso gli altri ti giudicano una persona che non riesce a vivere il proprio tempo. Qualche volta le stesse mie figlie, oltre a mia moglie, mi dicono “Come sei pesante”. Allora mi rendo conto dei limiti della formazione ricevuta, qualche volta non adeguata al mondo laico e sono costretto ad un lavorio interiore tale da potere cambiare e mutare atteggiamenti e, perché no?, anche modi di pensare e di affrontare i problemi della vita. Accettare gli altri e il loro modo di pensare, promuovere cambiamenti perché la società è in continua evoluzione, potrebbe essere una caratteristica della formazione ricevuta? Comunque sia, colgo l’occasione per dire grazie a tutte le persone che hanno svolto un ruolo nella mia formazione culturale e morale. Concluso esprimendo un plauso a Bartolo Scandizzo per questa pubblicazione sui “ricordi” anche se qualche volta converrebbe dimenticare.

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