"Ogni prefetto aveva un registro, dove segnava giorno per giorno 'i punti dello studio, condotta, ubbidienza, profitto della Dottrina Cristiana e del Galateo'"
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LE REGOLE DEL SEMINARIO

"Le regole stesse hanno come base l’ubbidienza, l’amore e la modestia."

Cultura
Cilento giovedì 18 giugno 2020
di Carmine Troccoli
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Carmine Troccoli oggi © Unico

Le Regole del seminario di Vallo dettate da mons. F. Cammarota nel 1934 e le normative di mons. Don Savarese nel verbale della Visita Pastorale del 1949 furono le linee-guida del Pio Istituto, “tormento e corona” dei vescovi, dagli anni Trenta alla metà degli anni Settanta del Novecento.

Il 28 novembre 1939 mons. Francesco Cammarota (1917-1935) inaugurando il nuovo seminario riservò a sé la direzione. E’ solo nel 1934 che nomina il primo rettore nella persona del can. don Donato Baldo, che dal 1930 aveva svolto le mansioni di vicerettore ed aveva collaborato nell’amministrazione del seminario. Il canonico Baldo conserverà l’incarico fino alla morte avvenuta nel 1943. Al rettore il vescovo consegna le nuove Regole, che fanno riferimento ad un programma emanato il 20 agosto 1931. Alla morte del can. don Donato Baldo, avvenuta nell’aprile del 1943, mons. Raffaele De Giuli (1936-1946) nomina rettore del seminario il can. don Fulvio Parente, che ne curerà la direzione fino all’ottobre del 1947. Gli succederà nello stesso anno don Rocco De Leo.

Le Regole

Sono divise in quattro capitoli con una introduzione di ben tredici articoletti. Il primo capitolo tratta le particolari obbligazioni dei seminaristi; il secondo, formato da 21 articoli, esamina gli esercizi quotidiani dei seminaristi; il terzo, di cinque articoli, riguarda le norme da osservarsi nelle quotidiane uscite dei seminaristi per il loro sano divertimento; il quarto, di quindici articoli, mette in evidenza i compiti dei prefetti di camerata. I capitoli sono preceduti da una introduzione formata da sedici articoli, dove si illustrano i principi generali sui quali si fondano le regole stesse. In essa si dice, con forza, che alla base della vita del seminarista “ci sono l’ubbidienza, l’amore e la modestia”. I seminaristi dovranno avere un abito ufficiale che “vestiranno quando dovranno intervenire a qualche pubblica funzione o uscire a passeggio”, in seminario invece vestiranno la zimarra. Tra le camerate ci deve essere una distinzione netta. I seminaristi non potranno fumare né portare i capelli lunghi, anelli alle dita né portare scarpe o stivali alla moda. Sono d’obbligo la confessione settimanale e gli esercizi spirituali annuali. Per quanto riguardava la comunione ciascun seminarista doveva attenersi al giudizio del proprio confessore. La giornata del seminarista doveva essere scandita dalla preghiera, dallo studio e dal sano divertimento. Al levarsi, al mattino, il primo pensiero doveva essere rivolto a Dio con la recita in comune del Te Deum Laudamus, del Pater, Ave e Gloria. Dopo la pulizia personale doveva seguire lo studio al tavolo comune nel dormitorio. Dopo si passava in cappella per la meditazione e la partecipazione alla S. Messa. La colazione doveva essere distribuita nella camerata adibita a studio e subito dopo si andava a scuola, “dove i seminaristi dovevano stare da giovani educati e rispettosi”. Il pranzo veniva consumato, in silenzio, a refettorio, dove ogni seminarista aveva il suo posto. E durante il pranzo tutti dovevano ascoltare la lettura spirituale della quale dovevano rendere conto nel pomeriggio al prefetto. Dopo il pranzo i ragazzi passavano nelle rispettive camerate, dove facevano mezz’ora “di educata ricreazione a voce bassa”. Seguivano lo studio e il passeggio. Dopo il passeggio riprendeva lo studio al tavolo come del dormitorio, dopo avere recitato il Rosario. Terminato lo studio si passava in cappella per la visita al SS.mo Sacramento. Seguiva la cena e mezz’ora di ricreazione. La giornata terminava in cappella con l’apparecchio alla buona morte e l’esame di coscienza. Il silenzio e l’ordine di obbligo nei vari spostamenti. I seminaristi, infatti, si spostavano, in silenzio e in fila, preceduti dal viceprefetto e seguiti dal prefetto. Per il passeggio ad ogni camerata veniva assegnato il percorso perché nessuna camerata potesse incontrarsi con un’altra. Si procedeva in silenzio e in fila finché non si arrivava fuori città. Durante il passeggio non si permetteva ai seminaristi di parlare con parenti o amici senza il permesso del prefetto di camerata. Un ruolo importante di vigilanza avevano i prefetti. Essi erano responsabili di tutto ciò che poteva accadere nella propria camerata. Si interessavano, persino, del Galateo e dello studio della Dottrina Cristiana. Ogni prefetto aveva un registro, dove segnava giorno per giorno “i punti dello studio, condotta, ubbidienza, profitto della Dottrina Cristiana e del Galateo”. Essi erano tenuti a presentare al rettore un rapporto settimanale e mensile sull’andamento dei singoli seminaristi ai quali erano stati preposti.

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