I disegni erano un modo per evadere e fuggire dalla realtà.
Nei loro disegni
L'incubo e la speranza, nei disegni dei bimbi dei campi di concentramento.

Eva Bulovà ha disegnato farfalle enormi, con ali variopinte così larghe da nascondere ogni bruttura.
Gabriella Fulovà ha dipinto girotondi festosi, bambini che saltano la corda all’ombra sicura di alberi altissimi, sui tappeti consolanti di minutissimi fiori.
La piccola Erika Taussigovà, ha visto e dipinto con amore una finestra ornata di poetiche tendine a vivaci colori.
Ruth Schauzerova una danza sul prato,
Nina Lederova una fanciulla che sogna alla finestra,
Ed Eva Heska disegna e colora amorosamente una palma, una palma sola che più che l’Africa, rappresenta la libertà, il mondo in cui si vive senza paura
Elena Hellerova su un mare che ha più pesci che onde vara una barchetta tutta rossa e la spinge lontano lontano, perché giunga dove lei non giungerà mai
Hana Grundfeldova disegna il suo squallido dormitorio: su ogni letto mette un’allegra coperta rossa.
Josef Novak disegna la sua camerata: ma ogni letto pare, nei rigidi ghirigori neri, uno scheletro.
Bedric Hoffmann disegna quegli spaventosi treni accatastando sui vagoni uomini come marionette, stretti a decine, ormai anonimi come fantasmi.
Liana Frakova racconta la distribuzione del rancio: “l’uomo che col mestolo riempie di avara broda le scodelle dei prigionieri è alto e possente come un re. È l’uomo più importante del campo, il più terribile. Un suo capriccio e la fame sarà più dura. Forse se gli sorridi ti darà qualche cucchiaio d’acqua sporca in più”. Liana ha letto tutto questo negli occhi e negli atteggiamenti degli adulti schierati davanti al potente: ha dovuto impararlo a sue spese. Quando lo ha imparato anche lei è partita per Auschwitz.
