L'ultima richiesta alla vita puttana: la realizzazione dell'archivio/laboratorio
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La pittura e i festival delle risate secondo Sergio Vecchio

"Mi perdo e poi mi ritrovo nei suoi codici senza regole, nelle cifre e nei capricci misteriosi dei suoi percorsi in salita."

Personaggi
Cilento giovedì 25 giugno 2020
di Sergio Vecchio
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Manoscritto; in alto a sinistra, foto di Aniello Marrazza; mentre a destra, iconografia del Tabacchificio di Paestum © Unico

Disegno ancora nei labirinti della pittura, non ho bisogno d’altro, è questa la mia fortuna. Mi perdo e poi mi ritrovo nei suoi codici senza regole, nelle cifre e nei capricci misteriosi dei suoi percorsi in salita. Così, quando ho paura oppure perdo al gioco, è la pittura che, come una donna, mi consola. Insieme nulla ci spaventa, nulla ci fa paura, viviamo insieme da quando ero bambino, qualche volte capita di litigare ma un istante dopo facciamo pace. Lei mi rimprovera se la trascuro per le carte e il vino, ma non è colpa mia, se di notte faccio tardi e non dipingo. Vorrebbe che stessi solo con lei, che non avessi altre distrazioni all’infuori dell’arte ma non capisce che non so fare altro che pensare alla pittura. Con lei ho attraversato terremoti di chilometri e chilometri di ferrovia, ho camminato a piedi per deserti e grattacieli di plastica, supermercati e bordelli senza una lira, ho volato in aerei con biglietti di fortuna, ho nuotato in mare ubriaco di lei e di nostalgia. Con lei sono sbarcato qui per trovarle un ricovero sicuro che non trovo, un luogo ove possa adagiare i miei album e la collezione di compagni d’avventura: ma qui nessuno ci vuole, amica mia, non c’è niente di buono per lei, è la città dei festival e delle canzoni in allegria, è il posto sbagliato per pittura. Questo, lei che non capisce, non me lo perdona.

Chiedo alla vita puttana ancora un giro della giostra, l’ultimo giro del circo prima di togliere il disturbo. Voglio fare finta che domani è ancora Natale, che i frutti dell’orto fioriscono tutti i giorni dell’anno e non nelle serre, che i bambini giocano a mosca cieca senza coltelli, che nel loro salvadanaio vi sono risparmi sufficienti per acquistare un cavallo a dondolo e un treno di cioccolata. Chiedo i tempi supplementari per non rimanere con un pugno di mosche in mano e continuare a giocare nel mio giardino d’Africa con la testa nella bocca della tigre che sghignazza di me. Voglio ancora fare finta di salvare la bella regina rapita dai pirati della Malesia e di volare, su di un tappeto d’argento, come nei film di fantascienza, sul tempio di Nettuno e pisciare in cielo e fare cadere le gocce della pipì in testa agli imbroglioni e ai presentatori di festival delle risate. Alla fine del girò pagherò a tutto e tutti, fino all’ultima goccia del mio sangue. Ma, sia pure per poco, voglio illudermi ancora che il mio archivio/laboratorio diventi realtà, abbia una sede. Ed infine, come ultimo desiderio, voglio camminare tra gente amica che mi chiama e che, in cambio di due telline e un disegno, mi offre al bar un caffè di miele e un gelato di Amarena.

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