Unico Patrimonio. Luglio 2019 #02 Il Mare

Costiera Amalfitana

È il mare dove lo scaltro Ulisse, stordito di dolcezza e passione, ascoltò il melodioso canto delle figlie di Acheloo e Mnemosine.

Turismo
Cilento venerdì 23 agosto 2019
di Vito Pinto
Immagine non disponibile
Amalfi da mare © Unico

È un mare di miti e di leggende, di storie e di Storia

quell’ampio specchio d’acqua racchiuso tra Punta

Campanella e Punta Licosa. È il mare dove lo scaltro

Ulisse, stordito di dolcezza e passione, ascoltò il melodioso

canto delle figlie di Acheloo e Mnemosine. «Qui,

presto, vieni, o glorioso Odisseo, grande vanto degli

Achei, ferma la nave, la nostra voce a sentire. Nessuno

mai si allontana di qui con la sua nave nera, se prima

non sente, suono di miele, dal labbro nostro la voce; poi

pieno di gioia riparte, e conoscendo più cose». Canto

dagli occulti arcani che ancora sembra di udire, nelle tiepide

sere di mezza estate, da quelle “isolette deserte e

rocciose che si chiamano Sirene”, come ci ricorda il

greco Strabone.

«Era una di quelle notti lunate che rendono Positano un

sogno di Fata Morgana quando l’étoile dei “Balletti russi”,

Leonid Mjasin guardò quell’immaginifico scenario: in

mezzo al mare, nella lama d’argentea luce, si ergeva

l’isola de Li Galli, turgido seno della Sirena dormiente»,

luogo in cui il grande ballerino e coreografo trovò il rifugio

per la sua solitudine dallo stress del lavoro. Sognava

una grande scuola di ballo che restò sospesa a mezz’aria

come le aree volute, ne “Il lago dei cigni”, di Rudolf Nureyev

continuatore di quel sogno: su quell’isola d’incanto

il grande ballerino russo voleva erigere a Tersicore un

tempio, puro e infinito, a corona di Costa Diva, sospeso

sull’azzurro di quel mare immaginifico. Lo stesso mare

che Greta Garbo guardava dalla sua stanza a Villa Cimbrone.

Annotava la Divina: «Ogni notte pareva sciogliersi

nel nulla…dal balcone vedevo Amalfi, il mare, il cielo, le

case bianche senza tempo… e qualcosa di più forte di

me mi stringeva la gola, mi tormentava le vene» … pensieri

lasciati in libertà. E tutto si sospende in quest’ansa

di golfo, come i macèri di limoni e viti in alto, sospesi sul

mare in basso, dove la Costiera si specchia con la sua

anima, le sue case, i suoi campanili agili e le cupole di

maioliche. “In nessun altro luogo l’incrocio fra terra e acqua avviene con una reciproca metamorfosi”. Dirimpettaio,

sull’ansa degli ulivi sacri ad Atena, su sabbiosi,

sottili arenili s’infrange il mare di “pensiero” osservato da

Parmenide e Zenone dall’alto della loro Elea mentre

meditava, il primo, sulla realtà dell’Essere: immutabile,

ingenerato ed eterno; e il secondo elaborava quei “paradossi”

definiti da Bertrando Russel “smisuratamente sottili

e profondi”. Andavano le navi della città focea e della

poca distante Poseidonia, sulle rotte del commercio a

barattare merci e pensieri filosofici: una civiltà dell’uomo,

lontana dalle minacciose feluche barbaresche di Ariodeno

Barbarossa, che portavano morte e distruzione e

dalle quali due Apostoli, Matteo a Salerno ed Andrea ad

Amalfi, salvarono le popolazioni loro affidate per volontà

del Cielo.

Navi di commercio che partivano anche da quella che fu

la prima Repubblica Marinara, ricca di saperi ed inventiva:

quando nei brumosi regni del Nord Europa ancora i

sovrani firmavano gli editti con l’elsa a sigillo di spada,

Amalfi dava al mondo dei nauti la bussola per orientarsi

e leggi di navigazione, di comportamento in mare, «vele

cortesi della Repubblica, “tavole” di paziente e antica civiltà,

battono ancora visibili-invisibili nelle ore di vento

del piccolo porto», scriveva Salvatore Quasimodo. E aggiungeva:

«I pescatori di Amalfi delle romanze dell’Ottocento

hanno lasciato per sempre i loro figli e nipoti. E se

pochi di quest’ultimi si affidano ora alla lampara del

mare con le barche colorate in cerca di pesci, i volti sono

rimasti uguali, col sorriso pronto e gli occhi innocenti».

Volti uguali, quelli dei pescatori, in ogni parte del

mondo. Ne avvertì la somiglianza Antonio Ferrigno, un

costaiolo che dipinse volti di gente senza storia, meticci

e neri delle fazendas brasiliane e pescatori della costa di

S. Vicente, volti, questi, intenti a rammagliare reti ripetendo

gesti di pazienza e di attesa, volti uguali a quelli

dei pescatori di Maiori, volti della nostalgia e del ritorno

al suo mare.

«Sul mare palpitavano le lampare dei pescatori che si

servono di luci per attirare e abbagliare i polpi» scriveva

Giuseppe Marotta ricordando un suo soggiorno in questa

Costa. E rimbalzano le abitudini antiche dei marinai

di Cetara, uomini col volto bruciato dal sole e dalla salsedine,

come quello di Santiago, il pescatore di Hemingway.

«Seduto sulla panchina in ferro, all’ombra della

Madonnina Stella Maris, il vecchio scruta lontano, oltre

l’estrema punta del porto, gli umori del vento e del

mare, quasi si apprestasse ancora a condurre la sua lampara

sulla consueta scia della pesca notturna». vento e del mare, quasi si apprestasse ancora a condurre

la sua lampara sulla consueta scia della pesca notturna».

Pesca di alici, se mai con la menaica come avviene nel

mare cilentano. E mentre il mare si spiaggia in quest’ansa

meridionale del golfo a dominio di ulivi, viti, corbezzoli

e fichi d’india, in quella amalfitana a volte

penetra nella roccia, come nella Grotta dello Smeraldo, a

formare suggestioni di luci, di stalattiti e stalagmiti a corona

di presepi sottomarini.

«Il dolce color d’orientale zaffiro – annotava don Peppino

Imperato - s’espande dintorno ed ogni cosa si tinge

d’una strana fosforescenza azzurrina. Ad ogni movimento

di remi, che si tuffano nell’acqua, questa si riflette

di smeraldo e di iridescenze…».

«La luminosità del sole faceva apparire il mare ai nostri

piedi sempre più azzurro» appuntava Ferdinand Gregorovius

nel suo viaggio in Italia a proposito di questo mare

racchiuso tra due anse di costa ricche di storia, di miti, di

suggestioni, “di bellezza delle marine, - ricordava Gregorio

Sciltian -come quella di un nudo femminile, dove

l’onda bianca alla risacca si adagia a disordine d’alcova”.

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