Unico Patrimonio. Dicembre 2019 #05 I Colori del Cilento

​Piaggine, un paese di pastori che ha cambiato pelle

Fu Custode Petraglia il sindaco che fece costruire il grande edifico scolastico negli anni ’50 che diede inizio alla trasformazione sociale: da pastori a professionisti passando per i sacrifici dei padri e delle madri.

Turismo
Cilento mercoledì 08 gennaio 2020
di Bartolo Scandizzo
Immagine non disponibile
Ponte di Piaggine © Unico

È sotto il ponte a sella d’asino che il fiume Calore fa il suo primo salto “cascando” verso il mondo abitato dall’uomo per rincorrere il suo destino e immettersi nel Sele, il fratello maggiore. Infatti, solo dopo aver disegnato e imprigionato l’estesa tenuta borbonica di Persano (la terra tra due fiumi come la Mesopotamia), si getta nel Sele e sfocia nel mare da dove i Greci risalirono con le loro navi dalla larga carena senza chiglie. Il ricordo di quell’incessante rumore di quelle vorticose acque mi fa sentire forte e chiaro il richiamo del paese dove ero destinato dal fato a vivere: Piaggine.

Tutti i miei amici, vicini e lontani, conoscono la cascata d’acqua che rumorosamente cade sulle rocce sottostanti levigandole con paziente e incessante lavorio, perché sono stati tutti “costretti” ad ammirarla o a sentirne parlare dal sottoscritto. Il motivo è presto detto: nella casa ritratta sulla destra del ponte sono nato il 20 dicembre del 1955.

Su quel ponte sono passati migliaia di volte greggi e genti in finite transumanze che discendevano il corso del Calore in autunno fino a Persano e lo risalivano in primavera fino ai verdi pascoli situati nei pianori che facevano e fanno ancora corona al monte Cervati.

Proprio intorno al fiume è nato l’antico borgo del “Ponte” dove i monaci Basiliani eressero le prime chiese, San Simeone e San Pietro e Paolo, con le offerte dei pastori. Lentamente ma inesorabilmente, l’abitato avanzò verso il costone di San Giuseppe e poi, ancora più su, verso le “Coste” dove il sole invernale giungeva prodigo di calore per aiutare i focolari a riscaldare le abitazioni.

Negli anni ’30 del secolo scorso, un giovane figlio di pastore e chierichetto, Nicola Mastrandrea, convinse i genitori a mandarlo in seminario a Vallo della Lucania per studiare da prete. Dopo una serie di vicissitudini legate alle sue condizioni di salute che costrinsero i genitori a riprenderlo in casa per curarsi, studiando da privatista, riuscì a conseguire la maturità liceale. Dopo la guerra conseguì la laurea in legge presso l’università Federico II di Napoli e diete inizio alla corsa di molte famiglie di pastori ad avere un “professionista” in famiglia.

Nel dopo guerra divenne sindaco Custode Petraglia che aveva capito l’importanza dell’istruzione e l’anelito di tanti a voler affrancare i figli dalla condizione di ignoranza in cui i giovani erano costretti a crescere perché la pastorizia richiedeva giovani da collocare in montagna ad accudire le greggi: erano i garzoni. Giovanissimi venivano “segregati” a vivere in montagna per accudire le greggi e, soprattutto, a difenderla dai lupi e da ogni altro tipo di pericolo.

Il sindaco chiese risorse allo stato centrale per costruire l’edificio scolastico ma, nonostante molte promesse, risorse non ne arrivarono! Allora deliberò un taglio straordinario di faggi e con il ricavato diede il via alla costruzione dell’imponente edificio scolastico che tutt’ora troneggia nella piazza principale del paese. Alla stessa “fonte” di risorse si attinse per pavimentare tutte le strade del centro abitato con sampietrini e dotarlo di fognature e rete idrica.

Custode Petraglia trasformò Piaggine da un borgo rurale in un paese dove la qualità della vita fece un bel salto in avanti.

Tra gli anni ’50 e ’60 del 1900 il numero dei laureati nel piccolo borgo dell’alta Valle del Calore contava un alto numero di laureati che trovarono la loro strada impiegandosi in ospedali, scuole, ministeri, tribunali …

Su questa onda culturale nel 1967 fu istituito l’Istituto Magistrale che aprì le porte del sapere anche ai paesi limitrofi e si ebbe la seconda ondata di professionisti che “sfarfallò” in ogni direzione.

Negli stessi anni furono in tanti a fuoriuscire dal mondo della pastorizia e dell’artigianato locale per andare oltre il mondo al quale erano destinati. Una forte migrazione interprovinciale portò via decine di famiglie nella città di Salerno a fare i portinai, altrettanti scesero nella vicina Capaccio Scalo … anche i pastori rimasti scelsero di stabilizzarsi in pianura: Matinella di Albanella, Cerrelli di Altavilla, Eboli e Battipaglia le mete con pascoli abbondanti e mercato aperto per i loro prodotti.

Anche il fenomeno migratorio verso terre lontane, Americhe ed Australia, ebbe la sua parte nello svuotare di energie il paese. A completare il quadro, molti altri erano già partiti verso la Francia, la Germania, il Belgio e la Svizzera.

Nel mese di luglio del 2000 atterra a Piaggine in elicottero Giovanni Vertullo figlio di un Piagginese emigrato negli Stati Uniti, in California, alla fine dell’800 che fece fortuna acquistando un terreno che poi risultò ricco di giacimenti petroliferi. Scese presso l’hotel Ariston di Paestum e volle visitare il paese dal quale era partito suo padre. L’elicottero atterrò nel campo sportivo e il paese si strinse intorno a lui che ripagò la cittadinanza per l’accoglienza consegnando all’allora sindaco Angelo Pipolo, un assegno di due milioni di dollari da spendere per finanziare un progetto concreto che potesse dare lavoro ai giovani che già allora erano pochi. Ripartì incaricando un avvocato di fiducia di seguire l’iter della pratica ed ai suoi familiari di essere osservatori sul posto. Dopo tanto tergiversare su quali idee mettere in campo in modo formale ed informale davanti ai bar che si affacciano sulla piazza dei “purcili”, come è chiamata in gergo, si decise di realizzare una struttura polifunzionale e la contemporanea sistemazione della piazza Umberto I, fu anche acquistata un’ambulanza e messa a disposizione della locale associazione di volontariato. In realtà, fu fatto un progetto per la realizzazione di una stalla con annesso caseificio per un grande allevamento di caprino. Ma le polemiche di paese tarparono le ali al progetto. Noi titolammo un articolo di commento pubblicato su “il Valcalore”, antenato di questo giornale, “Due milione di dollari e zero idee!” Infatti, la struttura polivalente realizzata è in larga parte inutilizzata, mentre di tante idee messe in campo per dare lavoro ai giovani per convincerli a rimanere in paese, nessuna riuscì a superare lo sbarramento di scetticismo generalizzato che vigeva e impera ancora nel paese. Alla fine, solo un quarto della donazione fu imiegato, il resto fu ritirato!

A Piaggine già si era avuta la trasformazione “genetica” e chi è restato in paese ha avuto abbastanza spazio per crearsi condizioni di vita dignitosa sia nel settore impiegatizio sia accettando di lavorare nei vari ruoli della Comunità montana Calore Salernitano.

La storia recente di Piaggine è fatta, come in tanti altri borghi del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, di un inesorabile svuotamento di anime che non dipende più solo dalla fuoriuscita di chi cerca una qualità della vita migliore ma anche dalla scarsità di nuove nascite che hanno ridotto a contare sulle dita di una mano i i bambini iscritti all’anagrafe ogni anno nell’ultimo decennio. Anche l’istituto magistrale, in seguito trasformato in liceo pedagogico, si avvia verso la chiusura per mancanza di iscritti a fronte delle 10 classi che accoglievano poco più di 250 iscritti negli anni ’70.

La montagna, il patrimonio che ha consentito ai figli dei pastori di affrancarsi dalla condizione di analfabetismo culturale e da un destino segnato che li avrebbe lasciati ai margini della modernità, è ancora intatto. Le lussuriose faggete, per quanto soggette a tagli programmati, restano un elemento di forte attrazione per escursionisti e amanti della natura che risalgono il versante Nord del monte Cervati fino al rifugio Rosolia situato nell’ampia “chiaria” delle “Chianodde”. Da qui si prende fiato per affrontare il difficile sentiero che porta nel grande cratere che si apre ai piedi della cresta Sud dove è posizionata la stele del Cai (Club Alpino Italiano) che segna il punto di massima altezza: 1899m sul livello del mare. Di fronte, quasi confondendosi con l’altra costa pelata situata in faccia alla cima dove corre un agile sentiero, la cappella della Madonna della neve appannaggio dei Sanzesi. Più in là, incastonata nella grotta che si affaccia verso l’altipiano del Vallo di Diano, l’altra statua della stessa Madonna della Neve che rimane prigioniera in ogni stagione. Davanti all’ingresso protetto da una cancellata si può ammirare l’impressionante salto d’altitudine che fa spaziare lo sguardo verso l’infinito mondo sottostante.

I pochi giovani che hanno deciso di restare a remare controcorrente è proprio lungo i crinali delle alture che un tempo accoglievano gli oltre 50.000 capi ovini e i 20.000 di bovini che hanno deciso di ripartire con gli allevamenti di bovini, ovini e caprini. Altri stanno rimettendo a coltura i terreni e, dove un tempo si piantavano patate e si seminava grano, oggi si incontrano piantagioni di noccioli, ciliegi ed altre tipologie adatte a fruttificare tra i 900 e i 1400 metri.

Il tempo dirà se il tentativo sarà riuscito ad invertire la tendenza alla desertificazione demografica oppure sarà stato l’ultimo canto di una umanità che inesorabilmente ha deciso di andare oltre per incontrare la modernità lasciandosi alle spalle il “piccolo mondo antico” che l’ha generata.

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I commenti degli utenti
  • Silvio Masullo ha scritto il 13 maggio 2020 alle 07:19 :

    Un ottimo articolo, una bella ricostruzione storica della comunità "di li Chiaìn'". Non conoscevo la storia del mecenate americano e del mancato, o parziale, utilizzo della sua donazione. Rispondi a Silvio Masullo

  • Coccaro franco ha scritto il 13 gennaio 2020 alle 23:32 :

    Il mio paese , complimenti bel articolo, nella casa al lato della cascata (quella con il balcone ) e nato il mio miglior amico ( come fratelli ) Vairo Vincenzo detto cip cip , tutti e due in Friuli , oggi a 55 anni quasi nonno posso dire che il periodo più bello dove ero veramente libero è stato quando ero con mio padre al Alposa a pascolare pecore , si sapeva in che periodo maturava ogni singolo albero da frutta sparso dal Alposa alla passata e che mangiate e pescare trote con le mani e farsi il bagno a fiume bianco perché quella volta L acqua c’era, anche in Friuli sto bene però sono nato cresciuto e pasciuto a Piaggine Rispondi a Coccaro franco

    Antonella Coccaro ha scritto il 12 agosto 2020 alle 22:12 :

    Le scrivo perché nel leggere mi ha fatto un certo effetto incontrare il suo nome che e’ esattamente lo stesso di un mio zio, fratello di mio padre, che ora non c’è più. La famiglia di mio padre (Rosario Coccaro) era originaria di Piaggine e immagino che il cognome Coccaro sia molto diffuso li. Rispondi a Antonella Coccaro

  • Saverio zeni ha scritto il 08 gennaio 2020 alle 21:03 :

    Leggere una bella e struggente storia di un luogo che abbiamo appena visitato da pochi giorni lascia un po’ l’amaro in bocca. Comunque i posti sono fantastici e conoscendoli un po’ merita tantissimo visitarli Rispondi a Saverio zeni

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