Dal latino saccus, cioè senza via d’uscita: abitato “chiuso”, proprio come in un sacco, da balze altissime inaccessibili...
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Gita a Sacco. Articolo dello 01/09/2002

'Il centro storico, raccolto a grappolo, è curato e di bell’aspetto, con case in pietra con faccia a vista dal tipico colore ardesia chiaro, con i vicoli “acciottolati” e le sue gradinate eburnee.'

Turismo
Cilento venerdì 25 settembre 2020
di Nadia Parlante
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Facciata della chiesa settecentesca dedicata a San Silvestro Papa (patrono del paese) © Unico

“Camminando dalle Piaggine non più di due miglia, alle radici del Monte detto Motola, si perviene alla moderna Terra del Sacco, posta in falso piano, avendo alla sua vicinanza delle molte Vigne, Oliveti e Cerque. Si trasferirono a qui abitare i Cittadini del Sacco vecchio, ch’è sito sopra un ramo dello stesso Monte Motola in distanza mezzo miglio verso il fiume Sammaro, che lo fiancheggia.”.

Questa è la descrizione di Sacco estrapolata dal testo dello scrittore settecentesco Lucido Di Stefano ed è interessante apprendere che già all’epoca il paese venga definito “moderno”, probabilmente per il tenore di civiltà che lo caratterizzava. Sempre Di Stefano fa derivare il toponimo Sacco (dal latino saccus, cioè senza via d’uscita) all’ubicazione dell’abitato “chiuso”, proprio come in un sacco, da balze altissime inaccessibili, “nel quale altronde entrare non si potea, che per un Canale, nel quale vi è una porta naturale verso il Sacco Nuovo, ed un’altra simile verso Oriente.”.

Probabilmente l’antico villaggio, di origine lucana, posto in una posizione impervia, ma strategica, sorse intorno all’VIII secolo, in concomitanza con la realizzazione della cosiddetta via del Grano, che conduceva nel Vallo di Diano.

Le notizie documentate riguardanti Sacco risalgono al XII secolo, quando ne era feudatario tal Riccardo de Sacco, che aveva possedimenti anche in Brienza e Laurino. Nei registri angioini si legge del signore Nicola di Sacco e durante la guerra del Vespro questo paese, che si trovava proprio al confine dei territori contesi tra Angioini e Aragonesi, fu oggetto di varie contese. Fu inoltre feudo di innumerevoli famiglie: gli Ariamone, i Sanseverino, i Carafa, i Villano, e nel corso dell’Ottocento, a causa dell’estinzione dell’ultimo casato e pertanto in assenza di eredi, passò agli Alibito-Carafa e di seguito ai laziali Patroni Griffi.

Il centro storico, raccolto a grappolo, è curato e di bell’aspetto, con case in pietra con faccia a vista dal tipico colore ardesia chiaro, con i vicoli “acciottolati” e le sue gradinate eburnee. E’ rassicuramente constatare (non capita spesso, purtroppo) che gli edifici antichi sono stati conservati e ristrutturati con criterio, rispettando le antiche tecniche e l’uso dei materiali locali. Caratteristica è la chiesa settecentesca dedicata a San Silvestro Papa. La sua facciata, riccamente adornata con fregi ed affreschi ed il suo interno, che ospita tele pregevoli, come la Madonna del Rosario opera dell’artista di Aquara Gianvincenzo Consulmagno (1579) e un calice d’oro massiccio, valgono senz’altro una sosta. Da visitare anche il Museo artigiano di opere e sculture in legno. Poco distante dal paese, arroccati sullo sperono roccioso e perfettamente mimetizzati con l’ambiente circostante, sono i resti di Sacco Vecchia, risalenti all’età longobarda; i ruderi e quello che resta del poderoso castello. Per raggiungere il sito è però necessario inerpicarsi lungo un sentiero molto ripido, pertanto attenzione. Se si è fortunati, in questa zona e nel bosco Motola, si possono vedere cinghiali, falchi e nibbi.

Proprio per collegare più agevolmente Sacco alla provinciale che passa anche per Roscigno, nel 1950 fu costruito, proprio sulla gola che lo rendeva “Inaccessibile”, un ponte altissimo.

L’opera ingegneristica, che sembra quasi pensile nel vuoto, tant’è a strapiombo, è l’esempio di una progettazione all’avanguardia. Anche se, non lo nego, l’altezza e la forza dei venti sul ponte, è tale da mettere i brividi!

Visitato, non senza una certa dose di apprensione, il suddetto “Ponte di Sacco” ci accingiamo alla discesa verso le Sorgenti del Sammaro, il torrente, affluente del Calore, che a malapena si scorge, da quassù.

Dopo un breve tragitto asfaltato, bisogna lasciare l’auto e proseguire a piedi lungo il sentiero sterrano fino a raggiungere il letto del fiume, circondato da una folta vegetazione, costituita, per lo più, da macchia mediterranea.

Piccoli sentieri e ponticelli di legno accompagnano, in questo tratto, l’irruento scorrere delle acque, limpidissime.

Lo sguardo è subito attirato verso l’alto, al fatidico ponte sospeso sulle nostre teste.

E’ come trovarsi all’interno di un profondissimo canyon! Davvero incredibile!

Ci inoltriamo verso la sorgente principale, dove è stata allestita una piccola area picnic con tavoli e panche di legno. Sotto l’arco roccioso l’acqua ha il colore intenso dello smeraldo!

Ovviamente qualche scellerato visitatore, insensibile alla bellezza che regna sovrana in questo luogo, ha seminato lattine e rifiuti lasciando il segno inconfondibile del suo passaggio. La smetteremo mai di buttarci l’immondizia sui piedi?

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