Il Castello fortificato dai Normanni

Il castello di Capaccio

Sulla tua alta rupe solitario resisti, segno solenne della giustizia di Federico!

Unico patrimonio
Cilento venerdì 11 febbraio 2022
di Gaetano Ricco
Immagine non disponibile
Castello di Capaccio © Unico Settimanale

Correva l’anno del Signore 1230, quando l’Imperatore del Sacro Romano  Impero e Re di Sicilia, Federico II di Svevia con un “capitolo” imperiale, conservato nel “Codice diplomatico Salerniatano”, ordinava che: Il castello di Capaccio deve essere riparato dai suoi stessi uomini della baronia di Fasanella e per l’abbazia di San Benedetto di Salerno, per l’abbazia di San Lorenzo de Stricta, insieme a Persano e con la baronia di Corbella, per la baronia di Monteforte, per la baronia di Cometo, per gli uomini di Trentinara, per l’abbazia di Cava. Per quello che possiede nel Castello dell’Abate del Cilento, per la baronia di Postiglione, può ancora essere riparato dagli uomini della stessa terra di Capaccio, dagli uomini di Agropoli e del vescovo di Capaccio” riconoscendo fin da allora al castello un ruolo di assoluta importanza non solo nella difesa militare di un territorio, che nell’economia dell’impero aveva una valenza strategica decisamente rilevante, ma anche, come dimostreranno i fatti che di lì a poco andremo a narrare, nella difesa ancora più significativa di quella“giustizia”,cui l’imperatore guardò sempre con particolare attenzione e convinzione come dichiareranno appena un anno dopo le sue solenni “Costituzioni Melfitane”: il primo codice, dopo settecento anni, organico di leggi, emanato da un imperatore in Occidente dopo il “Corpus” giustinianeo. Infatti, oltre la città di Capaccio Vecchia che era già Sede Vescovile da molti secoli, il Castello di Capaccio fu luogo “baiulare” del regno di Sicilia e precisamente del“giustizierato di Basilacata” dove una volta all’anno, ricevuto dal

capitano”del castello, si recava un funzionario di nomina imperiale, appunto il cosiddetto “baiulo” per dirimere tutte le controversie insorte durante l’anno e, questa era la espressa volontà dell’imperatore, assicurare anche all’ultimo dei “regnicoli” del suo amato Regno di Sicila. E tanto fu il suo amore grande per la giustizia, che quando, nell’anno del Signore sfortunato e terribile del 1250, nella terra della Capitanata, nella sua “domus solaciorum” ovvero nella sua dimora degli svaghi, in Castel Fiorentino, Federico rese l’anima a Dio, che non apparvero assolutamente esagerate le parole di quel famoso epitaffio con il quale il figlio prediletto Manfredi, consegnò il suo grande padre alla storia. Recitava l’epitaffio“tramontato è il sole del mondo che illuminava le genti. Tramontato è il sole della giustizia. Tramontato è il fondatore della pace” chè davvero fu tanto il suo amore per la giustizia e la pace !

Ma torniamo al Castello, e con un veloce volo ci portiamo indietro, intorno a quel IX secolo che vide la nostra piana e quel che rimaneva delle sue antiche e gloriose città, tra questa la nobile città di Paestum, travagliate dalle incursioni saracene e costrette in buona parte ad abbandonare per risalire verso l’interno le più sicure colline, ed è proprio questo il tempo e la necessità di difendersi, che si tramanda sia sorto il primo muro o meglio la prima torre di guardia di quella che sarà il futuro Castello di Capaccio, quando i Normanni diventati per investitura papale i padroni di queste nostre terre, lo fortificarono munendolo di altre due torri e di quella “corte centrale” che lo fece e per sempre un  vero “castello“ e, come più avanti proveremo, non fu in nessun modo distrutto da Federico II, ma molto più probabilmente rovinato dalle guerre del Vespro e dalla conseguente contrapposizione angioina – aragonese di cui il nostro territorio con i suoi paesi, e mi piace tra questi e furon tanti di ricordare San Chirico o  Monte di Palma volgarmente detta “Albanella Vecchia” fu vittima, il castello decadde. E presto“diruto”, ci riprovarono, e siamo tra il XV ed il XVI secolo, i principi di Sanseverino, signori delle nostre Terre, ma i tempi si erano fatti troppo di “ferro” e quando alla povertà ed alla miseria ed al banditismo che già travagliava quelle nostre popolazioni venne con il conseguente impadulamento della piana la malaria (la malattia che era allora assolutamente letale sarà sconfitta solo agli inizi del novecento grazie agli studi di GiovanBattista Grassi, medico e scienziato di Como, che proprio sulla allora esistente “Stazione Ferroviaria di Albanella” fece i suoi primi e più decisivi esperimenti: cavie proprio i nostri braccianti  di Albanella e di Capaccio)  e terribile si abbattè sulla popolazione decimandola, anche la stessa città di Capaccio Vecchio cominciò ad essere abbandonata e di conseguenza il suo Castello, che non più mantenuto, cominciò anch’esso progressivamente a decadere. Ed inutile fu anche l’ultimo tentativo operato dall’esercito italiano, quando alla fine dell’ottocento, provandone un uso militare lo destinò a postazione telegrafica a lenti, chè, avanzando precipitosamente la scienza, tosto il castello venne di nuovo  abbandonato, ferito ma non … morto, se ancora oggi con i suoi imponenti ruderi dall’alto di quella rupe “aquilosa” riesce ancora ad attirare tanti viaggiatori e nell’eco di quel grande imperatore, gridare una “piana” che troppo abbagliata dallo splendore di una grande civiltà che fu greca, ha dimenticato il suo grande passato “mediovale” e … di castelli ne fa solo rovine al suo “reo”    tempo!

E se è pur vero che in quella terribile quanto afosa estate dell’anno del 1246, il Castello si trovò ad essere teatro di quella famosa quanto tragica “Congiura” e lì, nelle sue mura asserragliati i congiurati, l’Imperatore Federico II fu costretto a consumare la sua vendetta per difendersi dall’accanimento di un papa che tradendo ogni appello alla pace ed alla riconciliazione cristiana, sotto il manto di quel re di Francia che la Chiesa fece Santo, in Lione si rifugiò per meglio “scomunicarlo”, no fu questo il motivo della sua futura rovina.

E se è pur vero che quel gruppo di feudatari facenti capo alle più potenti famiglie meridionali, quali quella dei Fasanella, dei Francesco e dei Morra, ostili alle riforme di Federico e particolarmente alle sue “Costitizioni” che li aveva in buona parte privati del troppo da loro abusato e corrotto “potere giudiziario”, affidandolo di contro ad annuali “giustizieri” del regno, mirabile a dirsi, regolarmente assunti per titoli e pubblico concorso, avevano contro di lui, nel giorno del Banchetto Pasquale, ordito insieme al il figlio Enzo e molti suoi dignitari di corte ed allo stesso genero Ezzelino di ucciderlo,non fu questa, come tanti hanno sostenuto, la causa della sua rovina del Castello di Capaccio, chè, come proveremo, Federico II, che alla corte tra i suoi più “intimi” annovera il grande maestro architetto Riccardo da Lentini, amava progettare,costruire e non atterrare castelli. Fece infatti non solo costruire castelli (alcuni suoi estimatori ne hanno contati più di centoundici!) ma anche palazzi e residenze imperiali come quella di Foggia di cui ora rimane solo un portale, per tutto il suo Regno di Sicilia, ma tra tutti i castelli, meraviglia delle meraviglie, splende nella sua gloria solitaria Castel del Monte, il più enigmatico mai da un imperatore costruito, il quale ancora oggi dopo tanti secoli, nel segreto esoterismo simbolico delle sue otto torri ottogonali, continua ad attirare, affascinare ed a stupire (forse che il grande Federico non fu dai suoi contemporanei appellato “Stupor Mundi”) migliaia e migliaia di visitatori, e mai, anche in terribile vendetta come la Congiura comandava, il suo cuore avrebbe ordinato di abbattere o di rovinare un castello, certamente qualche segno della sua vittoria e della sua “dignitas” imperiale , come successe ad Altavilla, che con il ”Muru ruttu” ricorda il suo tradimento, accadde ma non mai la distruzione o peggio ancora il radere al suolo una città … favole di  guelfi e di preti, leggi pure, lettore, se vuoi di quel tal frate di Parma, che innamorati del proprio Dio lo fecero terribile!

Ed ora, lettore, che di questo mio breve “excursus” sul Castello Capaccio sta per avvicinarsi il congedo ed io devo salutare, mi piace di chiosare la mia verità, che non mai Federico II ordinò, come troppo spesso si legge, di abbattere il Castello di Capaccio o peggio ancora la stessa citta di Capaccio Vecchio, proprio  con una testimonianza di uno storico di Capaccio, il canonico Giuseppe Bamonte, che scrivendo ancora nell’ottocento nelle sue “Antichità Pestane” afferma che non solo  che dopo i “fatti” della Congiura, la città di Capaccio Vecchio continuò ancora per anni con tutto il suo nobilitato laico e clericale, ad esistere ed ad essere Sede Vescovile ma che nessuna grande, vera, se non qualche “segno”, distruzione accade né al castello né alla città, ma sentiamo le sue parole: Gli Autori tutti, che parlano dell’ assedio della Città di Capaccio vecchio fatto dall’armi Imperiali di Federico, vogliono , che nella espugnazione restò affatto distrutto: ed il Volpi nella cronologia de’ Vescovi dj Capaccio asserisce, che gli abitanti della Città si ritirarono nella vicina villa di S. Pietro, cui poi fu dato il nome di Capaccio nuovo . Ma io da autentica antica scrittura in lingua latina, qual’ è la platea, o sia cabréo della mensa Vescovile di Capaccio, rilevo, che Capaccio esistea nella formazione di detta platea col Vescovo Canonici ed abitanti”  tanto che rincarando continua lo storico di Capaccio facendo seguire alla sua testimonianza un lungo inventario di nomi e di “notabili” che ancora dopo i tragici fatti della Congiura lì abitavano, esistente addirittura ancora “Palazzo Vescovile” posto, come lui scrive, ad “Occidente della Cattedrale” ma che non esisteva più però al tempo del 1493, ovvero alla fine nel XV secolo quando, come ben più veritiere e documentate fonti testimoniano, in seguito alla disastrosa guerra aragonese- angioina e le tante calamità che susseguirono, cominciò quell’abbandono e quello spopolamento che nel tempo portò tanti nostri paesi ad essere abbandonati, addirittura qualcuno a scomparire e tra questi Capaccio Vecchio ed il suo Castello e … se, come in quel famoso epitaffio, ebbe a cantare quel tal chierico d’Arezzo “La probità, l’ingegno, la grazia di ogni virtù, la magnificenza, la nobiltà della stirpe potessero resistere alla morte, allora non sarebbe morto,Federico che qui giace!” Federico Imperatore non sarebbe morto,  ancora, erto e superbo su quella sua alta rupe solenne avremmo  il nostro Castello a vigilare, ma, ahimè, anche gli Imperatori muoiono e ad Altri tocca … oggi di provvedere!

 

Questo, nel febbraio senza corte, il metro e la mia“maraviglia” … il fiore che ti porto!                                                                                                           

 

Chiuso nelle prime ore pomeridiane del giorno di domenica 7 febbraio dell’anno 2022

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