I luoghi di San Matteo: il sepolcro vuoto al Santuario del Calpazio

I luoghi di San Matteo: il sepolcro vuoto al Santuario del Calpazio

Il Santuario della Madonna del Granato è il primo saluto di Paestum al viaggiatore che, curioso, si avventura alla scoperta di una bella pagina di storia della Magna Grecia

LIUCCIO GIUSEPPINO I Viaggi del Poeta
Cilento - lunedì 10 settembre 2018
Tomba marmorea vuota che conservò, per un periodo breve, i sacri resti mortali di San Matteo
Tomba marmorea vuota che conservò, per un periodo breve, i sacri resti mortali di San Matteo © n. c.

Il Sele ammara lento miscelando, alla foce, alla storia dei Greci quella dei Lucani e degli Irpini raccolta nei displuvi dell'interno. A poche centinaia di metri, sulle rive del fiume, colonne mozze e basamenti squadrati testimoniano di un santuario antico, a cui approdò, devoto, Giasone con il bottino pingue del "vello d'oro", tormentato dall'incubo/vendetta di Medea.

In distanza, su di una balconata del Calpazio, balugina al sole tiepido d'autunno la Basilica austera in cui una Madonna contende ad Era Argiva il culto della fecondità a mostra di granato ad esplosione di chicchi rosso-perlacei.

È il primo saluto di Paestum al viaggiatore che, curioso, si avventura alla scoperta di una bella pagina di storia della Magna Grecia. Lungo la costa, la fascia pinetata protegge dal salmastro ville e alberghi, campeggi e case per ferie, cresciuti a dismisura, per colpevole e complice lassismo, nei decenni, del sacco urbanistico.

Il nastro d'asfalto che procede, agile, alla conquista di Agropoli e del Cilento interno è ferita ai campi fecondi ad espansione di contrade operose: Gromola e Laura, Cafasso e Spinazzo, Seude e Rettifilo.

Imbocco proprio il Rettifilo, una borgata a margine di strada, cresciuta negli anni a penetrazione di campi strappati alla riforma agraria, dove i quotisti/assegnatari hanno tracciato rettangoli di vie a servizio di abitazioni basse tra orti di cereali e frutteti di sussistenza con agrumi a dondolare palle d'oro tra il verde del fogliame e melograni a riso di frutti a ferita stellare di fragile scorza: un esempio non volgare di edilizia fai da te. E la macchina avanza spedita tra capannoni di vecchi tabacchifici a riuso di depositi di materiali per l'edilizia e mandrie di bufale e mucche nel carcere arioso di allevamenti attrezzati alla mungitura di latte quotidiano per cagliare mozzarelle, ovoline, ricotte e provole a ricca esposizione di caseifici moderni ed accoglienti. La destinazione del viaggio è il Santuario della Madonna del Granato, che minaccia voli, arditi e protettivi insieme, sulla pianura da un avamposto del Monte Sottano. Mi impongo una deviazione/pausa a Capodifiume, luogo di incanto e di magia con quel suo prezioso carico di miti e leggende. Il Salso zampilla, gorgoglia e caracacolla il fragoroso getto d'argento effimero, rifrangendo al sole i misteri svenati dal ventre della terra. Il vecchio mulino e la centrale idroelettrica riattati con meticolosa cura dei particolari offrono una cornice di charme per un pranzo con la Storia. Mi salutano le anatre divertite e paghe di gare di nuoto a scivolo di corrente, che, a prestare orecchio all'eco che trasmigra con la brezza, mi narra di Era e Persefone, dee di ombra e luce, di morte e vita nell'alternarsi delle stagioni, e di pellegrinaggi litanianti per i sentieri di collina a reclamare grazie di fecondità ad una Madonna benedicente dal chiuso della stipa. È una arrampicata agile su per i tornanti che s'aprono a panorami d'infinito sul mare dei miti e della storia. Sulla destra, nel verde di un ampio parco tra ulivi e querce, il Santuario del Getsemani, una costruzione piuttosto recente, che è insieme luogo di preghiera, di studio, di ritiri spirituali e di convegnistica religiosa di alto livello. Bello l'anfiteatro esterno all'ombra delle querce e lecci giovani e tra siepi odorose di macchia mediterranea. La chiesa luminosa di vetri a mosaici iridescenti si lascia apprezzare per un Cristo in agonia scolpito sul posto da un unico blocco di pietra locale: è uno spettacolo di grande suggestione. Qualche centinaio di metri, con nella mente e nel cuore ancora l'aura della sacralità che si respira in tutto il territorio, e ad un'ampia curva si svolta a sinistra. Due/trecento metri o giù di lì ed eccoci nell'ampio piazzale del Santuario dedicato alla Madonna del Calpazio. Fu la cattedrale dell'antica Capaccio. Risale al XII secolo ed è di stile romanico. Si sviluppa maestosa, aperta ai venti ed esposta alle intemperie, su tre navate. Le due laterali sono più basse e a tetti spioventi. È uno straordinario contenitore di arte e di storia. L'originaria pavimentazione dovette, forse, essere a tappeti di marmi policromi in lieve ascendenza verso la zona absidale. A testimonianza/conferma ne rimangono tracce soltanto nel transetto presso l'altare con motivi decorativi a formare una maglia esagonale, alternando dischi, listelli e triangoli marmorei, che richiamano il pavimento della Basilica di Monteccassino: il dislivello aveva quasi certamente la funzione scenografica di richiamo alla salita del Calvario. Vi si venera la Madonna del Granato, che costituisce una trasposizione cristiana del culto pagano di Era. Ancora oggi il Santuario è meta di pellegrini e giovani coppie di sposi con intento devozionale e propiziatorio. Da notare ancora, all'interno, un pulpito marmoreo del XV, dipinti di valore, lapidi ed urne funerarie a testimonianza di personaggi del passato che hanno fatto la storia religiosa e civile del territorio. Ma colpisce particolarmente una tomba marmorea vuota. È quella che conservò per un periodo breve i sacri resti mortali di San Matteo, rinvenuti prodigiosamente nella Piana di Casalvelino, là dove oggi, a ricordo dell'evento, sorge la chiesetta di "San Matteo ad duo flumina". Il conte ed il vescovo di Capaccio avrebbero voluto custodire stabilmente le sacre reliquie nella loro cattedrale a protezione della città, anche per sottolinearne importanza e prestigio, ma Gisulfo I, principe di Salerno, ne ordinò il trasferimento nella capitale del principato longobardo. Per i Salernitani devoti del loro Santo Patrono ed appassionati di storia religiosa e civile, oltre che di arte, il Santuario del Calpazio merita una visita. Si fermeranno in preghiera sulla tomba vuota che testimonia una delle tappe della traslazione del Corpo di San Matteo, ma, ad avere gambe buone e voglia di escursioni e di scoperte storiche si arrampicheranno su sentieri arditi di montagna, dove Federico II represse con inaudita ferocia la Congiura dei Baroni del 1245. E lo scheletro del castello su di uno sperone di roccia è quel che resta di un evento che rivoluzionò la storia e la geografia politica del territorio. Se sono fortunati ad imbattersi in una giornata di sole autunnale potranno incantarsi a panorami da delirio di piacere di fronte allo spettacolo di conflagrazione di cielo e mare di un tramonto pestano con a sinistra i promontori di Agropoli e Punta Licosa e a destra l'arco lunato del golfo di Salerno con sullo sfondo i paesi ridenti di luce della Costa d'Amalfi, di Punta Campanella e della macchia terragna di Capri vegliata dai candelabri dei Faraglioni. E questo spettacolo riempie da solo la gradevole scampagnata fuori porta.

P.S.: anche questa quarta tappa del viaggio delle sacre spoglie di San Matteo da Casalvelino a Salerno è tratta dal mio opuscolo: I LUOGHI DI SAN MATTEO – Plectica Edizioni, che ripubblico capitolo per capitolo in vista della festa del Santo Patrono di Salerno del 21 settembre.

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