Lungo la strada del ritorno verso il mare di Paestum

La strada del ritorno caracolla giù tra tornanti comodi ad esposizione di coltivi assolati fino alla valle alluvionali del Ponte Sette Luci, dove Sammaro e Fasanella, insieme, gonfiano la portata del Calore

LIUCCIO GIUSEPPINO I Viaggi del Poeta
Cilento - lunedì 01 ottobre 2018
Fiume Fasanella - Ponte delle Sette Luci
Fiume Fasanella - Ponte delle Sette Luci © n. c.

Lungo la strada del ritorno dal Cervati lo sguardo si perde verso la Sella del Corticato, che fu regno di briganti a taglieggiare mercanti tanto incauti quanto indifesi, e verso la sella arcuata del Passo della Sentinella, che si apre sul pianoro del Vallo del Diano fecondo di agricoltura intensiva e con tutto il carico prestigioso dei Lucani e dei Volcei. Oh, i tesori nascosti e sconosciuti della mia terra! Sulla sinistra in lontananza occhieggiano sui pendii delle colline case e campagne di Corleto Monforte, che vanta un bel Museo Naturale con quella impressionante testa di lupo, che, con gli occhi sbarrati ed impauriti nel terrore della morte, mi sollevò sanguigna indignazione per la barbarie di cacciatori incivili, e di Bellosguardo che porta già nel nome memoria di panorami di grazia e di bellezza.

La strada del ritorno caracolla giù tra tornanti comodi ad esposizione di coltivi assolati fino alla valle alluvionali del Ponte Sette Luci, dove Sammaro e Fasanella, insieme, gonfiano la portata del Calore, che qui conquista in rappresentanza visiva la dignità di fiume. Il Sammaro ha svenato le terre di Sacco, Roscigno e Bellosguardo, raccogliendone storia e storie. Il Fasanella erompe con salto fragoroso e festa di spruzzi d’argento dal ventre degli Alburni. Sulla sinistra, sui pianori scoscesi e pedemontani, Felitto e Castel San Lorenzo sono ricami di case e castelli e chiese a memoria e vanto di storia nobile e dirupano dolci fra le campagne a rigoglio di vigneti fino a margine di fiume. Dalla destra mi giungono gli echi delle belle tradizioni di Ottati e Sant’Angelo a Fasanellla con le figure di monaci e abati colti e santi e di feudatari arroganti, quasi sempre e, qualche volta illuminati.

Risaliamo verso Roccadaspide, che ci saluta con l’aria civettuola di città con il corso elegante e movimentato ad arredo di negozi ben forniti e di ritrovi accoglienti. Incombe sempre sulla piazza, possente di struttura, il Castello Filomarino, nelle cui stanze festose i nobili di censo e di casato vissero tormentate storie d’amore e strinsero alleanze ed ordirono congiure e tradimenti a dominio di un feudo potente e popoloso. Sulla balconata trivio della Serra il panorama s’apre a slarghi luminosi d’orizzonte con, da un lato, Acquaviva, Tempalta, Terzerie e Carretiello verso Albanella e reclamano protagonismo di lavoro e di nuova intraprendenza e con Doglie che caracolla verso il fiume fino all’oasi di Mainardi con sullo sfondo Aquara che reclama grazie da San Lucido Protettore e gonfia orgoglio con quel castello che vide ed ospitò feudatario illuminato Ettore Fieramosca.

Sugli Alburni si arrotola un nuvolame bianchiccio di fattura beniniana, che figura trombe d’angeli e Giudice assiso sul trono nella valle di Giosafat. Fanno da quinta a Controne Casielcivita con la gloria del Castello Angioino ed i capricci d’acqua nel cuore delle grotte. Costa Palomba è un altare all’ultimo sole ad esaltazione dell’ANTECE, silenzioso dio di pietra dei nostri padri pastori-guerrieri.

La macchina rotola giù verso la pianura. Fonte e Seude esaltano, a scialo di insegne intraprendenza di mini industrie e vivacità a margine di strada con frequenti inviti a specialità enogastronomiche nella ristorazione diffusa tra il verde della campagna. Una svolta a sinistra e penetriamo verso le falde del Calpazio, ci accoglie garbata e luminosa di sorriso Gina, regina incontrastata di casa Scandizzo, che si apre in ampi porticati a dominio di giardino curato. In un clima di calda ed amicale ospitalità gusto, anzi divoro salumi e caciocavallo, che la mattinata incerta nella capricciosa meteorologia mi ha sconsigliato di gustare nel rifugio di alta quota del Cervati. È sera e la chiacchiera si prolunga a commento di una giornata faticosa sì, ma ricca di emozioni metabolizzate a filo di memoria di una grande storia. Alle spalle penetra tra il tenerume del fogliame la luce diffusa del Santuario, dove dal carcere di una nicchia una Madonna nera, che fu ERA Aediva, Iside, Persefone, Semetra e Cibele nella ritualità pagana, promette e propizia grazie di fecondità ad esibizione di granato nel pugno di una mano. Ma anche questa è un’altra storia.

(Il pezzo è tratto dal mio opuscolo: VIAGGIO VERSO IL CERVATI – Plectica Edizioni)

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