Lo scenario delle Dolomiti Bellunesi dopo il recente maltempo

Lo scenario delle Dolomiti Bellunesi dopo il recente maltempo

I boschi devono avere un equilibrio per vivere in armonia con l’alma mater terra; io ne sono fermamente convinto, anche perché mi sono formato alla scuola di un Grande Maestro, Il prof. ENZO LA VALVA

LIUCCIO GIUSEPPINO I Viaggi del Poeta
Cilento - martedì 13 novembre 2018
Faggi - Cilento
Faggi - Cilento © n. c.

Lo descrive così il capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli. “Situazione apocalittica: boschi spazzati via, strade devastate, tralicci piegati come fuscelli”. Il linguaggio è tanto efficace quanto drammaticamente realistico. Tutta la gente di montagna lo usa senza retorica. E mi viene in mente la descrizione del “vento Matteo” ne “Il segreto del Bosco vecchio”, Dino Buzzati che conosceva ed amava la montagna. “Quando si avvicinava, gli uccelli smettevano di cantare, le lepri, gli scoiattoli, le marmotte e i conigli selvatici si rintanavano, le vacche emettevano lunghi muggiti”. Era il vento furente che ha infuriato ancora una volta su vaste zone dagli altipiani delle dolomiti bellunesi al Trentino, alla Carnia, con case scoperchiate e tetti volati via ed alberi sparpagliati a terra come grissini. Ma per parlare dell’amore per le montagne della gente dei luoghi ricorro al linguaggio di un grande scrittore Mario Rigoni Stern, i cui boschi dell’altopiano di Asiago sono ora stati devastati dalla tempesta. Amava l’abete rosso, e ne scriveva così “È l’albero che è stato sempre presente e mi è stato compagno nella vita. Nella casa dove sono nato e ho trascorso la mia giovinezza, i mobili, le suppellettili, i pavimenti, le scale, le grandi e geometriche capriate del tetto, tutto era stato ricavato dai pecci”, chiamava così gli abeti rossi dei nostri boschi; erano alberi feriti dalla guerra che per necessità di coltura, tra il 1919 e il 1922 si divette abbattere… Chissà se i boschi che saranno ripiantati siano diversi; non solo pecci ma più larici, faggi, aceri, magari ciliegi selvatici, come sottolinea e spera Daniele Zovi, generale della Forestale, autore di “Alberi sapienti antiche foreste” in cui parla delle piante non come oggetti ma come esseri sensibili che comunicano tra di loro, esseri, cioè, capaci di provare dolore; cos’è, d’altronde, l’odore della resina di questi giorni, se non un urlo di dolore? Come ricorda Rigoni Stern in “Arboreto selvatico, “È il caso di ricordare che l’albero ha sempre esercitato sugli uomini sensazioni di mistero e di sacro ed il bosco è stato il primo luogo di preghiera”. Non a caso, Infatti, Plinio il Vecchio che di natura se ne intendeva nella sua Historia naturalis scriveva che non meno degli dei, non meno dei simulacri d’oro e d’argento, si adoravano gli alberi maestosi delle foreste. Lo sapevano i nostri nonni che si prendevano cura dei boschi, dal Pollino alla Garfagnana, dalla Mesola al Cadore. I boschi dovevano avere un equilibrio per vivere in armonia con l’alma mater terra; io ne sono fermamente convinto, anche perché mi sono formato alla scuola di un Grande Maestro, Il prof. ENZO LA VALVA, il primo impareggiabile ed insostituibile Presidente del Parco del Cilento e Vallo di Diano. Ho collaborato con lui per anni visitando, recuperando ed esaltando tutto il vasto territorio della nostra area protetta. Insieme abbiamo ipotizzato con ReteSette di Vallo della Lucania, circa 60 trasmissioni del PARCO DELLE MERAVIGLIE: Ogni trasmissione era una lezione magistrale a cielo aperto per parlare dei tesori del nostro Cilento che coinvolgevano storia, geografia, arte, bellezza. Me ne sono ricordato guardando in tv su RAI1 le immagini apocalittiche del dissesto idrogeologico delle dolomiti bellunesi ed ho avuto nitido ricordo di una trasmissione che registrammo sulla strada che dal Passo del Corticato, scivola verso il Vallo di Diano e si apre su quel monumento straordinario della Certosa di Padula e lungo la discesa che scende a Prato Perillo ci imbattemmo in una colonia di abeti bianchi sui quali Enzo La Valva tenne una lezione magistrale, prima di fare la scalata verso il Passo della Sentinella, che si apriva allo spettacolo unico verso Atena Lucana. Mi piacerebbe molto se quelle trasmissioni fossero recuperate e ritrasmesse per rivederle e rigustare storia e storie del Parco nello splendore della sua bellezza. Qui di seguito estrapolo schegge di ricordi, ripromettendomi di rifarne una sintesi più vasta e articolata.


Il Cilento interno è uno straordinario palcoscenico, dove da millenni uomo e natura, geografia e storia danno spettacolo prismatico di voci e suoni, colori e profumi nell'alternarsi cangiante delle stagioni. Basta accendere le luci della ribalta e la recita parte da sola: bella, ricca, varia, coinvolgente, entusiasmante E sì, perché chi dei monti con le sterminate faggete delle alture, i lecceti di media montagna, i castagneti delle falde a ridosso e a corona dei paesi si accendono i riflettori del sole che filtra a lamine d'oro tra il fitto fogliame e rifrange luce su frutti e fiori del sottobosco e, se sbrigliati dalla brezza o squassati dalle raffiche impetuose di venti di tempesta, a seconda delle stagioni, fremono di vita e danno voce al fluire dei secoli: E narrano storie di legnaioli e carbonai alle prese con il pane stento in tutte le stagioni, di briganti al riparo dei covi a continua minaccia di giustizia sommaria, protettivi e generosi con i deboli, spietati con i potenti e gli arroganti, di pastori a guardia di armenti alla pastura brada di giorno e all'addiaccio gelido a custodia di stazzi di notte con la sola compagnia dell'alito caldo del cane amico e con la incerta coperta del tabarro di panno ruvido, di migrazioni bibliche lungo i tratturi della transumanza verso i pascoli della pianura ad animare poveri commerci di cagliati, lana di fresca tosatura e capretti ed agnelli belanti al sacrificio annunziato, ad illudersi al fiorire di nuovi amori; di artigiani alle prese con il miracolo di trasformare tronchi in botti e tini, rami in sporte, cesti e panieri e, all'occorrenza, in cucchiai da raccogliere tome e ricotte fumanti di siero; di recenti escursionisti appassionati di trekking alla scoperta di paesaggi da brividi di piacere su cocuzzoli a volo d'abisso, a fremere di emozioni profonde alla visione di pianori di lavanda in fiore o di tappeti rosa/viola di ciclamini a festonare fossati umidicci o al riso odoroso delle fragoline a pigmentare di sangue le verdi barriere delle felci o alla mite vanità dei funghi che s'incappellano alle radici della macchia o delle castagne pigmentate, pulcini lustri a fuga dalla cova del riccio a spine d'oro un po’ brunito.

E sono concerti i canti della fauna che piroetta a slarghi azzurri d'infinito ed ha la maestà dell'aquila reale e del falco pellegrino o pigola alle nidiate dei passeracei o ulula con la fame del lupo a falcate soffici sulle nevi d'inverno e si muove con i passi felpati della volpe a caccia di pollai e grumisce con i cinghiali a devastazione di coltivi, ma incanta anche con la coda di champagne degli scoiattoli o incuriosisce nel letargo pacioso dei ghiri.

Ed è musica il corso di fiumi e torrenti che caracollano a valle, s'inabissano e riemergono nei brevi tragitti carsici o si caricano di sali nelle grave e nelle grotte nel ventre nero della terra per esplodere con la gloria della luce nei capricci delle risorgive a cesellare stupende sculture di stalattiti e stalagmiti a materializzare cupole di chiese o minareti di moschee, scintillano in effimeri coralli d'argento a rompere e superare con fragore barriere di pietre levigate nei secoli e la musica rotola e si frantuma sotto ponti umbratili o in pozze lacustri regno di eserciti di trote sguscianti a gara d'arditezza vanesia nei colori cangianti o di lontre a timida fuoriuscita dalla tana lipposa.

Oh, la bellezza sconosciuta della mia terra! Oh, la forza travolgente delle emozioni di una natura immacolata nella sua verginità! Oh, la ricchezza da immettere con intelligenza nei circuiti del ricco mercato dell'ecoturismo se solo si avesse la sensibilità di attivare una promozione tesa ad esaltare flora e fauna di un territorio che espone con generosità e naturale disinvoltura i suoi tesori!

E non sono i soli, perché sul territorio del Parco è vissuto e vive l'uomo, che, con fertile inventiva azionata dal bisogno, ha vangato, sarchiato, piantato, potato una flora per dare vita ad una agricoltura di sussistenza contando non sulla meccanizzazione, che ha toccato da pochi decenni e solo in parte il mondo dei nostri campi. Urge riprendere lo spirito degli inizi e ricreare entusiasmo, attese e fiducia negli abitanti. Compito questo, che spetta soprattutto ai sindaci, che sono, o dovrebbero essere, le voci più autorevoli e rappresentative del vasto territorio, tenuto conto delle colpevoli latitanze di altre istituzioni, spesso nel colpevole silenzio della stampa amica o addirittura compiacente: il tema è interessante e mi riprometto di fare a breve ulteriori riflessioni sul tema.

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