Lettera a Zenone: Si vanti pure e gridi alto di Zenone la magnifica città di Cizico il nome!

A Zenone ( 332 a.C. - 264 a.C. circa) figlio di Mnesea della città di Cizico che della sapienza ne fece saggezza consegnando all’uomo l’universale suo destino … il mio fiore!

GAETANO RICCO La Scvola di Atene
Cilento - martedì 11 dicembre 2018
Zenone
Zenone © web

Come potevo, maestro Zenone, tu che della sapienza al mondo ne facesti saggezza tacere il tuo nome e non venire e scrivere se pure tarda ed avara la lettera che di diritto spetta al tuo genio immortale?

Come potevo tu che per l’armonia della natura consegnasti all’uomo l’universale suo destino universale non recare ed avvisare al tuo altare il mio presente tempo che si fa sempre più di ferro ?

Come potevo,maestro,oggi che la scienza, è di questi giorni la notizia dello scienziato cinese che ha fatto nascere i primi bambini con il DNA modificato, si è fatta più arrogante nella sua potenza, non appellarmi alla tua lontana lungimiranza e non gridare forte al mondo quel tuo tesoro più prezioso che non la scienza con la sua sapienza è il fine ultimo dell’umano camminare ma la virtù dell’etica responsabilità: intesa come la consapevolezza condivisa di trovarci tutti iscritti in una superiore necessità che nessuna malintesa libertà della ricerca dovrebbe mai violare. Perché solo chi si fa veramente parte responsabile e sei tu maestro l’alfiere di questo nuovo quanto antico panteismo, del disegno universale della natura può realmente farsi padrone del proprio destino e “liberamente” disegnare il senso ed il cammino della propria vita. Una più rigorosa ed è questa, maestro, la tua gloria, e concorde “etica” il cui fine ultimo non sarà più quello assicurare all’uomo una libertà illimitata e sciolta da ogni limite quanto il compiersi armonico di quella nostra natura di esseri “razionali” che fortunati tra tutti gli esseri viventi solo gli uomini possiedono e che cadute,era il tuo tempo,maestro, le sicure mura della “polis” dovrà d’ora in poi impegnarsi in un mondo nuovo che venuto con l’avanzare delle armi di di Alessandro Magno non avrà più confini e sarà, maestro, il tuo “illuminato”cosmopolitismo: non una fola ma la tua stessa vita!

Solo l’uomo che corrispondendo al “logos” che tutto regge e governa ed in accordo per l’esercizio quotidiano della virtù potrà recare alla sua natura essere razionale la perfezione della sua ragione e raggiunge quel fine ultimo del “bene supremo” che gli proprio ed essere felice!

Solo l’uomo che si ispira e fu ai tuoi tanti allievi il tuo ammonimento capitale e in armonia si conforma alla ragione universale vive infatti felicemente ( solo chi vive in contraddizione con la natura è infatti infelice) perché, per te, maestro, la felicità, che il tuo discepolo narrante Crisippo precipitò in quella massima capitale del “vivi secondo natura” altro non era che la pienezza completa del vivere che viene dalla coscienza di agire in armonia perfetta con la natura. Una natura, che scolarca dopo di te nella tua amata “Stoà”, il tuo allievo Cleante di Asso tenne a dichiarare talmente perfetta nel suo ordine razionale e necessaria che continuando Stobeo nei suoi “Fiori” così lo fa pregare: “Conducetemi, o Giove, e tu Destino, ovunque da voi sono destinato e vi servirò senza esitazione : giacchè anche se non volessi,vi dovrei seguire ugualmente da stolto” avanzando quella tua misura esistenziale che fu poi il pilastro fondante della tua etica che posta a guardia della razionalità della natura dopo tanti secoli e penso all’esperimento cinese, ancora mi colpisce e mi stupisce per la sua lungimiranza quando affermando che all’uomo ancorchè alla scienza compete quel principio della “convenienza” altro non è che quel libero confarsi all’ordine razionale della natura che tu chiamavi, maestro, il “dovere” di ogni uomo. Scrive Diogene Laerzio: “inoltre gli Stoici (così furono chiamati,maestro, i tuoi seguaci) intendono per “dovere” l’atto la cui scelta può essere razionalmente giustificata in quanto conforme alla natura nella vita e che si estende anche alle piante ed agli animali. Fu Zenone il primo ad adottare il termine kathékon, che deriva da "kata tinas ekein” ( lett. “convenire a qualcosa") in quanto il dovere si dirige o incombe su certi uomini ed è un atto coerente alle disposizioni della natura. Delle azioni ispirate dall'impulso alcune sono conformi al dovere altre sono contrarie al dovere, altre né conformi né contrarie al dovere Sono conformi al dovere le azioni dettate dalla ragione, per esempi onorare i genitori, i fratelli, la patria, avere buoni rapporti con gli amie non sono conformi al dovere le azioni non ammesse dalla ragione, per esempio trascurare i genitori, non curarsi dei fratelli, non essere d'accordo con gli amici, disprezzare la patria e simili. Né conformi né contrarie al dovere sono quante azioni la ragione né impone né vieta di fare, per esempio togliere gli sterpi, tenere lo stilo o lo strigile e simili”. Solo chi segue dunque liberamente abbracciando il suo destino la “ragione” compie il proprio dovere e tiene quel “kathekon” che solo è conveniente al raggiungimento di quel “sommo bene” che farà gli uomini non scienziati ma nella misura della saggezza sapienti. Solo avanzando in modo conforme all’esperienza degli avvenimenti naturali” ed in armonia con la natura il mondo avrà un futuro e tu, maestro, che gloria ed onore hai sempre in vita disegnato potrai, non mai eguagliato ma solo seguito, “finchè il sole risplenderà su le sciagure umane” vantarti se come testimonia Diogene, Atene, la più dotta della Grecia fra tutte le città, si onorò di “ depositare nelle tue mani le chiavi delle sue mura” e tributarti con una grande statua di bronzo eretta nell’agorà una corona d’oro. Perché scrive ancora Diogene: “solo il sapiente è libero, gli stolti sono servi, la libertà è la facoltà di agire in modo auto­nomo, la servitù è la privazione di questa facoltà … i sapienti non so­no soltanto liberi, ma sono anche re, perché il regnare è un dominio non soggetto a rendiconti, che può sussistere solo se è retto dai sapienti …. questa è la tesi di Crisippo che sostiene che il capo deve avere una chia­ra scienza del bene e del male e che nessun uomo cattivo possiede que­sta scienza..” Egualmente solo i sapienti sono in grado di governare, di amministrare la giustizia e di esercitare l'oratoria, ma degli uomini cat­tivi nessuno … il virtuoso non ha solo una formazione teoretica, ma sa anche tradurre in pratica le sue convinzioni dottrinali” e quindi non osi lo scienza di sfidare la sapienza ché nella misura della saggezza e la sola che è capace di vincere le “passioni” che nascono (come il nostro esperimento cinese!) sempre dall’errore. La superbia, il delirio talvolta della scienza unita alla stoltezza ed all’ingiustizia sono infatti errori, vizi e sappiamo, maestro, quanto ti furono reietti assimilandoli, come i tuoi grandi maestri Platone ed Aristotele, a quella volgare schiavitù del corpo che solo l’esercizio quotidiano della vera “virtù” può veramente combattere e vincere… “intendendo- scriveva ancora il tuo discepolo diletto Cleante : “per virtù una disposizione spirituale armoniosamente equilibrata, degna di essere scelta in sé e per sé, non per qualche timore o speranza o impulso esterno” ma assoluta ed autosufficiente perché la virtù bastando a se stessa volentieri si precipita nell’azione virtuosa dichiarando l’uomo virtuoso felice e realizzando sulla terra quel “bene”,continua ancora il tuo allievo, che “gli è proprio”. Un bene relativo eppure assoluto nella sua pienezza di felicità, non un ossimoro come qualcuno ha scritto ma la condotta esistenziale di ognuno di noi e dello stesso Paradiso se come mi sembra per quel tuo “bene che gli è proprio” di sentire l’eco di Dante quando, innalzandoti con gli altri “spiriti magni” in quel Limbo, per te, maestro, immaginò quella relativa felicità assolutamente piena che vivono le anime beate pur salienti a Dio per cieli sempre più perfetti … perché come per te, maestro, la vera felicità era liberamente assecondare la natura“duce naturam” così per Dante la vera felicità era la volontà di Dio e“per nulla” anticipandolo il tuo discepolo di molti secoli “ la felicità di Zeus è preferibile, né più bella, né più perfetta di quella dei sapienti!”

Una felicità che fuggendo le “torme” del mondo si conquista con la lontana, atarassica indifferenza che fu la tua proverbiale imperturbabilità contro le passioni umane e che anche tu, grande maestro Raffaello, che sopra ogni cosa invece amavi la vita, cogliesti quando ritraendolo in quella estrema sinistra della tua “Scuola di Atene” lo volesti con lo sguardo assorto e l’aspetto grave con accanto solo un bambino che reggendo un libro, a me che ti leggo oggi, ti fece emulo di quel Zenodoto stoico che raccogliendo in un epigramma la vita del maestro così con queste parole lo consegnò alla gloria: “Fondasti l'autosufficienza e disprezzasti la boriosa ricchezza, o Zenone, col tuo aspetto grave e il canuto sopracciglio. Inventasti una dottrina virile e con la tua previdenza né senza travaglio fon­dasti una nuova scuola, madre di intrepida libertà. Se la tua pa­tria è la Fenicia chi potrebbe apportelo a male ? Anche quel Cadmo, da cui l'Ellade ebbe il dono della pagina scritta” ed a me che saccheggiando il mio maestro Diogene Laerzio continuai senza risparmio l’… occasione e perdoni ancora la mia insolenza, di licenziare con il suo famoso epigramma la mia lettera che insuperbendosi si farà ora ancora più grande : “anche noi cantammo la morte di Zenone nel “Libro di Metri di ogni sorta” con questi versi: Narrano alcuni che Zenone di Cizio morì consunto dalla vec­chiaia dopo aver molto travagliato rimanendo digiuno; narrano altri che una volta inciampò e urtò la terra con una mano gridando:vengo, perché mi chiami?

Questo,maestro, nei giorni del dicembre abbagliante l’amore pellegrino … il fiore che ti porto!

(Chiusa nelle prime ore antimeridiane del giorno 5 dicembre 2018)

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