Alla scoperta e relativa valorizzazione della Kora Pestana lungo il Solofrone

Un ricordo per Franco Palumbo

LIUCCIO GIUSEPPINO I Viaggi del Poeta
Cilento - lunedì 18 marzo 2019
Franco Palumbo durante la conferenza stampa di commiato
Franco Palumbo durante la conferenza stampa di commiato © Unico Settimanale

Da tempo non mi occupo di Trentinara e del suo territorio dove sono nato e dove spesso corre il pensiero per nostalgia d’amore. Ne avvertò la necessità e ne esalto il ricordo, recuperando immagini ed emozioni legate alle escursioni lungo il torrente/fiume della mia infanzia, al quale ho dedicato un bella testimonianza, in uno dei miei libri di maggiore successo.TERRE D’AMORE: CILENTO E COSTA D’AMALFI”. Lo ripropongo qui di seguito.

“…Solphon

qui vitreo exhilaras pinguia culta pedes…….

…con chiare acque allieti ricchi campi

tu, Solofrone, cui è padre il Sele,

a cui fa da madre Trentinara,

Giungano fa da moglie e Convignenti

se ne proclama nobile sorella...

I versi emersero per caso dall’attenta lettura di un vecchio libro sul Cilento. La Lucania, del barone Giuseppe Antonini, che Giuseppe Galzerano mi aveva mandato e dove giammai avrei immaginato di poter trovare citato il mio paese. Fu folgorazione improvvisa. La scoperta fece scattare il demone fecondo della curiosità. Ed iniziò il mio percorso di amore e di cultura alla scoperta di un concittadino illustre. Lo ritrovai e lo conobbi in un polveroso tomo, nel reparto Documenti e Manoscritti rari della Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele” di Roma, pubblicato a Napoli nel 1572.

E per una volta tanto apprezzai e mi sforzai di amare un marchese, Bernardino Rota, signore di Trentinara e di Giungano, forse un nemico della mia gente, probabilmente uno sfruttatore ed un oppressore dei miei antenati e degli antenati del mio popolo, ma per il fatto di averlo trovato “poeta” e cantore appassionato della mitologia di alcuni paesi del mio Cilento abbandonai le considerazioni(pregiudizi) sociali e politiche.

Mi aggirai con la sua ombra nelle campagne ridenti in riva al mio torrente/fiume, il Solofrone, le cui acque mi regalarono schiere di girini e di ranocchi, vittime innocenti dei miei perfidi giochi di ragazzo. Lo seguii tra il reticolo dei vicoli di un grumo di case che minacciano da secoli il volo nell’abisso. Ma cercai, invano, un segno del suo passaggio nelle lapidi di piazze, slarghi, vie e vicoli del mio paese. Ingiustamente dimenticato dagli uomini, emergeva, però, con la forza della poesia, squarciando le nebbie del passato, per reclamare il suo posto non solo nei libri e nelle biblioteche, ma anche lì, nella terra che lo vide, mi auguro, signore illuminato.

Lo amai e ne vendicai l’oltraggio in nome della comune frequentazione della poesia.

E con l’ammirazione/devozione per il poeta che lo aveva cantato amai ancora di più il mio fiume e resi più frequenti le mie escursioni lungo il suo corso zigzagante, dalla sorgente alle falde del Monte Vesole alla foce sul litorale tra Paestum ed Agropoli, a fecondare i coltivi di Trentinara e Giungano. Mi sono incantato spesso all’uragano, nella gloria della luce, che dirupa dagli arditi altari di pietra rovesciando cascate scintillanti di argento nella gola di Tremonti. là dove, secondo la leggenda, Spartaco urlò furente l’esortazione all’ultima battaglia.

Il Sottano è come un cono rovesciato e scarica a settentrione colate di lava verde dei lecceti in gara con i faggeti del Soprano, che, arcuato in cima, assicura passo agevole verso la Valle del Calore, attraverso i castagneti di Roccadaspide.

A mezzogiorno, le campagne coltivate che scivolano giù dalle radici dei contrafforti del monte si aprono agli orizzonti sconfinati del mare lontano. Qui è già demanio di Capaccio, ma storia, tradizioni, memorie antiche dei signori dei feudi, tutto riporta a Giungano: una manciata di case ai piedi del Cantenna che scivola con il verde bottiglia dei lecceti a protezione dalle rocce a catapulta dai dirupi ventosi di Trentinara. La contrada è Cannito, già dominio dei Picilli che vantavano all’ingresso del paese,un bel palazzo con portale di pietra con all’interno ampio cortile e scalone monumentale a testimonianza di fasto di casato. Di qui partiva il biroccio dei “signori” con a cassetta i i giovani rampolli, invidiati dai coetani meno fortunati e “mangiati” dagli occhi delle ragazze a caccia di marito.. Destinazione la masseria di Cannito, appunto, simbolo della potenza del latifondo, a controllo di lavori e sudori di coloni e salariati. Oggi la masseria ha cambiato padrone e destinazione d’uso ed espone ettari di filari di geometrica fattura con vitigni forti e generosi da far invidia finanche ai vignerons provenzali, carichi di professionalità ed esperienza, a dimostrazione che anche qui da noi si possono correre con successo le avventure fecondate da intuito, intraprendenza e lungimiranza, se si può contare su imprenditori del livello di Peppino Pagano, che produce già da alcuni anni vino di qualità apprezzato sui mercati e che anche nel nome richiama ed esalta il territorio. “IUNGANO” e “TRENTENARA”. La contrada è in bella posizione panoramica con i contrafforti dei monti alle spalle a far da quinta e davanti la pianura che si estende, ridente di masserie e coltivi di agricoltura di qualità, verso il mare dei Miti e della Grande Storia. Forse anche per questo vi si erano appuntati gli appetiti di speculatori famelici, dalle contiguità sospette (nessuno, o quasi, fa più mistero della ramificazione negli affari del territorio della “camorra in doppiopetto”), e che pressavano per l’adozione di un Piano Regolatore bocciato dalle Sovrintendenze (archeologica e paesaggistica) e sul quale si sono giocato il futuro politico amministratori locali compiacenti o lungimiranti, a seconda del giudizio delle opposte tifoserie/fazioni. E la telenovela non è ancora finita, perché, forse, l’ultima puntata è ancora tutta da scrivere ed interpretare nella futura campagna politico/amministrativa già in atto. Anche per questo l’esito delle elezioni, forse, della prossima primavera non è indifferente per i paesi della kora pestana, a cominciare da Giungano, che per contiguità di territorio, convergenza di economia, memoria di storia, di cultura e di tradizioni è legittimamente preoccupata della qualità dello sviluppo della zona. Nessuna meraviglia, quindi, se reclamano protagonismo più che legittimo nelle decisioni.

Queste riflessioni mi rimbalzano dentro, mentre da un’altura di Cannito mi gusto un tramonto da emozioni forti nella conflagrazione di cielo e mare in questo anticipo di primavera già a metà febbraio.

“Questo scrivevo, circa tre anni fa, o giù di lì. Lo ritengo ancora attuale e per questo lo ripropongo all’attenzione di tutti gli amministratori locali, degli operatori economici e di tutta la più vasta società civile e sarò felice se tutto il vasto bacino del “mio” fiume Solofrone, che tocca i demani di Trentinara, Capaccio, Giungano, Cicerale. Ogliastro possa realizzare questo progetto che va nella direzione di un ulteriore e rapido decollo dello sviluppo. È la mia speranza ed il mio augurio, che faccio di tutto cuore per l’Anno Nuovo ai cittadini della mia terra”. E prometto che ritornerò sul tema in corso d’opera.

P. S.: Mentre recuperavo nella memoria del computer il pezzo di qualche anno fa dedicato alla Kora pestana, mi è giunta la notizia della morte del Cavaliere Franco Palumbo. Che alla riscoperta e valorizzazione della Kora pestana e del conseguente Patto del fiume Solofrone ha dedicato buona parte della sua attività amministrativa come sindaco di Giungano prima e di Capaccio, poi. È stato amministratore capace, intelligente, immaginifico ed operativo. Mi ha coinvolto in molti dei suoi progetti, che io ho fatto miei con entusiasmo. Con lui scompare un protagonista generoso del territorio di Capaccio – Paestum e della kora pestana. Ho di lui un gradevole ricordo e continuo a ritenere che alcune sue felici intuizioni vanno recuperate, riprese e valorizzate, perché costituiscono il futuro del territorio. Appena eletto sindaco di Capaccio Paestum per inspiegabili incomprensioni non mi ha più cercato ed io, come è mio costume, mi sono fatto da parte rispettando le sue decisioni. Ne onoro la memoria con rispetto, stima e calda memoria e continuerò a sostenere che da quelle sue originali e feconde intuizioni bisogna riprendere il cammino, coinvolgendo le comunità della kora che per ragioni, storiche, economiche, culturali, geopolitiche da sempre fanno riferimento a Capaccio Paestum ed alla sua pianura, nella consapevolezza che chiunque voglia fare politica in questo territorio debba fare riferimento a questa tradizione che recuperata e valorizzata, perché è stata, è e resta il patrimonio identitario per il quale bisogna battersi con forza. Io lo farò con determinazione e mi batterò con tutte le mie forze contro chi mira a lacerare il tessuto sociale, economico, politico e culturale per difenderne l’unità. Noto con disappunto che è già in atto una coriandolizzazione, parcellizzazione delle comunità di Capaccio Paestum e della sua vasta kora durante il dibattito della campagna elettorale nella quale mi riprometto di essere presente con il mio contributo di idee per difenderne l’identità che mi appartiene come formazione culturale. Lo sento come dovere e come etica della responsabilità, di cui a breve elencherà motivazioni e ragioni storiche, geopolitiche e culturali.

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