Il mare non bagna Paestum

Il mare non bagna Paestum

Per un progetto elettorale

LIUCCIO GIUSEPPINO I Viaggi del Poeta
Cilento - venerdì 29 marzo 2019
Pineta di Paestum
Pineta di Paestum © Unico Settimanale

Come promesso, pubblico qui di seguito un mio contributo al programma elettorale come riflessione per candidati ed elettori.

Fu l’orizzonte dei miei sogni di bambino a gonfiare di fantasia i viaggi di evasione a fuga dalla cova del nido sugli abissi di montagna del paese: Trentinara. Fu la prima confidenza con l’acqua salata a stropiccìo di battigia a ricerca di stupore di conchiglie screziate e pietre multicolori levigate dal lavorìo paziente della risacca. Mi alimentò gli studi rigorosi a scoperta di radici nel Mediterraneo del mito e della storia. È il porto degli approdi da ritorno a sosta di vagabondaggi con l’ansia della curiositas di Ulisse inquieto. È la mia Itaca. È il mare di Paestum. Baluginò di luce nelle albe chiare e conflagrò di fuoco nei tramonti di agosto dall’ultimo avamposto della kora, dove nacqui ad eredità di fierezza dei Padri Lucani aperta a porosità di penetrazione di grazia, armonia ed eleganza dei Greci invasori.

Dal Sele al Solofrone ed oltre quel mare ha scritto la grande storia della mia terra. E narra di Giasone che vi approdò, carico di gloria e di bottino, a sacrificare devoto ad Era Argiva per la conquista del vello d’oro. E sulle ali del vento s’impiglia nel fogliame della pineta e trasmigra a carezza di templi, fori e terme il canto di vittoria degli Achei a fondazione di una città prospera e potente.

Eppure, mutuando il titolo di un fortunato romanzo di Anna Maria Ortese dedicato a Napoli, “Il mare non”, semplicemente perché i Pestani non hanno un buon rapporto con il mare. Sarà per la naturale diffidenza di chi, nel corso dei secoli, quel mare lo ha visto spesso imbufalirsi e, in una perfida gara di complicità con i corsi d’acqua a displuvio di montagne, impaludare la pianura. Sarà perché spesso quel mare si è popolato di predoni assetati di sangue e razzie. Sarà perché la mancanza di approdi sicuri non ha consentito di scrivere sulle acque la grande epopea del lavoro dei traffici, dei commerci, della pesca. Certo è che i Pestani non hanno un rapporto di confidenza con il mare, come, invece, i loro antenati che la città la fondarono sulle acque; e ne è testimonianza la “Porta Marina”, che di sicuro si affacciava sul “sinus” brulicante di traffici sulle rotte da e per il Mediterraneo. Non si spiega diversamente lo scarso utilizzo della straordinaria riserva di natura della “fascia pinetata”: un grande polmone verde, che nel recente passato ha conosciuto la violenza dell’abusivismo edilizio, per latitanza o, addirittura, complicità dei Pubblici Poteri, ed in più parti porta ancora i segni dell’abbandono. E, forse, meriterebbe di essere trasformata in “zona protetta”.

Non ha alte ragioni la fiera vociante degli stabilimenti balneari, cresciuti a dismisura e, spesso, senza gusto negli ultimi anni con la sfacciata voracità di quanti hanno fiutato il business della vacanza ed hanno occupato porzioni di demanio con, ma spesso anche senza, la legittimità delle concessioni. Eppure quei chilometri di pineta potevano e dovevano consentire di far nascere e sviluppare una “Versilia del Sud” con una marcia in più rispetto a quella del Centro Nord: la grande archeologia e i preziosi contenitori di cultura dei centri storici delle colline circostanti.

Ma non tutto è andato perduto. Basta mettere mano con coraggio ad una bonifica totale della fascia pinetata ed esaltarne il ruolo e le funzioni per una offerta turistica di qualità. Basta mettere ordine negli stabilimenti balneari imponendo ai gestori buon gusto ed omogeneità negli arredi ed eliminando i frequenti suk da baraccopoli. Questo nell’immediato. Ma a medio e a lungo termine, forse è doveroso ed opportuno porsi il problema di una politica del e per il mare che ipotizzi:

  • approdi alle foci dei corsi d’acqua: a Sele (che ne è dell’ambizioso ed esaltante progetto del porto canale?), a Varolato, al Solofrone, per consentire un minimo di diportistica
  • creazione di una o più piazze: Laura, Torre di mare, Licinella, che si spalanchino sul mare consentano vita di socializzazione con iniziative di grande effetto spettacolare e di sicuro impatto mediatico, d’estate certamente, ma anche d’inverno, quando la costa à desolatamente vuota ed assume l’aspetto di paesaggio fantasma.
  • Invogliare, per intanto, i gestori degli stabilimenti balneari ad utilizzare gli incentivi di legge e tenere aperti i propri esercizi il più a lungo possibile, trasformandoli in “solarium” di giorno e ritrovi per iniziative culturali e spettacolari di sera.
  • Organizzare una grande “Festa del Mare” nella prismaticità dei significati: storia, letteratura, arte, sport, lavoro e che sia a dimensione nazionale come storia e tradizione di Paestum consigliano e consentono.

Il discorso potrebbe continuare a lungo, ma lo spazio limitato di un fondo di giornale non lo consente. Spero, però, che il tema susciti un qualche interesse ed apra un dibattito tra Enti Pubblci ed associazioni professionali e di categoria, operatori economici ed intellettuali.

Non so, ad esempio, se come e quando Assessore al Turismo e alla Cultura, Amministratore all’Azienda del Turismo, Presidente degli operatori turistici si siano parlati o si parlino ed, eventualmente, quali argomenti abbiano affrontato o affrontino. Ma quello del mare, che va vissuto e valorizzato appieno non è di secondaria importanza. Come non lo è su di un altro versante, quello di Paestum e Velia, grandi attrattori culturali, di cui si stanno perdendo le tracce, dopo gli entusiasmi iniziali.

Ecco alcuni temi da riempire di qualità e spessore la campagna elettorale che batte alle porte, reclamando impegni concreti su programmi precisi da quanti aspirano ad uno scranno nel Consiglio Comunale… Con un augurio che tutti gli Ulisse feriti, come me, da una scheggia d’amore per la propria terra, tornino a vivere con e sul mare del mito e della Storia destinato più che mai a recitare il suo ruolo di orizzonte sconfinato ad alimentare sogni e gonfiare fantasie sulle grandi rotte del Mediterraneo.


Post Scriptum

Ho scritto spesso sia in prosa che in poesia che i luoghi hanno anima, hanno cuore ed hanno voce. Questa riflessione vale più che mai per la pineta di Paestum. Che ha un suo fascino carico di misteri, di leggende, di tradizioni e comunica ricordi, scatena emozioni, agita preoccupazioni e, spesso anche paure. Anche per questo va vissuta di giorno certamente, ma anche di sera. Con la pioggia e con il vento, nentrico della vegetazione per ascoltarne il fruscio, per catturare il profumo degli eucalipti e la resina dei pini, ne va vissuta ed interiorizzata la battigia con lunghe passeggiate con il prumo di iodio e sale che solletica le radici all'imbrunire e con lo spettacolo della luna piena che festona d'argento il mare sulle creste dei marosi con sullo sfondo da una parte il lunato golfo di Salerno con i paesi della costiera, lucciole che scivolano sul mare, come festa di lampare, e dall'altra accendono ricordi di miti verso Tresino ed oltre verso Licosa e Palinuro. Allora l'anima parla e si fa voce di bellezza, di mistero e poesia. Sono sensazioni che avverte e metabolizza chi la pineta la vive e che solo chi per ragioni di vita quotidiana e per esperienza di lavoro e di attività economiche frequenta. Sono sensazioni frequenti per i cittadini di Capaccio Paestum, ma molto meno, o addirittura inesistenti nell'anima, nel cuore e nella sensibilità dei cittadini di Ebol, Santa Cecilia, Pontecagnano, ma anche di Agropoli, ai cui cittadini non è certo consigliabile affidarne il governo del territorio, su cui pure si appuntano, desideri concreti di mire espansionistiche. Di qui la necessità della gelosa ed orgogliosa vigilanza dei residenti, che hanno sensibilità affinata per ascoltarne voci, aspirarne profumi e interiorizzarne incanti di bellezza.

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