Paestum: alla ricerca dell'identità perduta

Un esempio da imitare pensando a Saturnia, una terra bella nella maremma grossetana

LIUCCIO GIUSEPPINO I Viaggi del Poeta
Cilento - sabato 01 giugno 2019
Giuseppe Liuccio
Giuseppe Liuccio © Giuseppe Liuccio

Nell'ultimo fine settimana sono stato a Saturnia, là dove dal ventre misterioso della terra erompono fiotti d'acqua sulfurei e si fanno calda cascata per un bagno di salute. E' una bella fetta di maremma grossetana che espone ettari di vigneti in geometrici filari a gonfiare umori che rideranno di fresca ed inebriante allegria nei bicchieri di "Morello di Scansano". Gli uliveti si sbrigliano al vento della sera sui petti delle colline ricamate dai castelli/torrioni e dai campanili dei paesi, dove è passata la grande storia degli Etruschi. Ne è memoria sulle mensole di travertino lucide di sole come nelle muraglie d'ocra dei tufi a far da cinta fortificata a Pitigliano, che nelle "cave" conserva testimonianze di necropoli antiche di millenni di indigeni dediti all'agricoltura e alla pastorizia e di conquistatori venuti dal mare con esperienza di venti e navigazione e con la sapienza di lavorare l'argilla su anfore arabescate di scene di vita quotidiana. Me ne parla con entusiasmo e legittimo orgoglio la proprietaria dell'agriturismo dal cui terrazzo, a volo d'orizzonte sconfinato, ho dialogato a lungo con le stelle e con una mezzaluna che mi occhieggiava dal bigio del fogliame di un ulivo secolare e rifrangeva argento sul Fiona, il fiumiciattolo che raccoglie a monte l'eco dei campanacci delle mandrie alla pastura brada, i grugniti dei cinghiali a devastazione di coltivi inseguiti dai contadini che smadonnano e gli schiocchi delle frustate dei butteri a domare cavalli ribelli. E lo porta, con corso zigzagante, fino alla foce nel mare dell'Argentario popolato di vip danarosi di censo e di casato. Sono gli eredi dei Granduchi di Toscana, che hanno riconvertito prestigio e ricchezze di famiglia nelle nuove e fiorenti attività del turismo. Lo hanno fatto anche i contadini e i pastori, meccanizzando agricoltura e zootecnia e trasformando casali e fattorie in agriturismi, che sono gioielli di accoglienza, dove si dorme bene in camere dotate di tutti i confort e si mangia meglio a base di prodotti genuini, frutto di una terra generosa, che, almeno in collina, non conosce i veleni dei pesticidi.
Faccio colazione spalmando marmellate di ogni colore e gusto su pane fatto in casa, sbocconcello salumi e formaggi della casa e addento pere, mele primitive e pesche di vigna appena colte ancora fresche di rugiada. La signora mi snocciola, nella musicale cadenza toscana, una bella lezione di storia su Etruschi e Romani, su Granduchi latifondisti e briganti giustizieri senza processo, su Papi e Cardinali, che hanno fatto la storia d'Italia e la fortuna dei propri casati, su butteri e pastori, e sull'orgoglio contadino che recupera ed esalta le tradizioni della vita in campagna, conservando e trasmettendo ai figli i valori ereditati dai padri. Parla con passione, entusiasmo e grande proprietà di linguaggio la signora non più giovanissima ma contagiosa di simpatia. Su mia richiesta mi confessa che, come titolo di studio, ha solo la licenza media inferiore ma che legge molto e che le piace mantenersi aggiornata su tutto. Ne resto incantato. La saluto con l'impegno a tornare ancora una volta. Sulla strada che mi riporta a Roma, bypassando Capalbio, ritrovo di politici di sinistra e di intellettuali (!?) radical-chic e Tarquinia, dove nacquero un po' di re di Roma delle origini, il pensiero corre a Paestum per un confronto. E mi rammarico con me stesso con riflessioni, che ora faccio ad alta voce, sul territorio dove sono nato. Paestum ha affievolito, se non addirittura perduto, l'orgoglio di identità. Non lo si avverte più parlando con operatori e semplici cittadini. Ne hanno perso la memoria i giovani. Non lo recuperano con iniziative valide gli amministratori.
Non è così, per fortuna, per i paesi delle colline della kora. Tutti o quasi hanno frugato nella storia e nelle tradizioni e ne hanno tratto motivi di orgoglio e di identità. Spartaco per Giungano, il pane per Trentinara, i marroni per Roccadaspide, la "fanciulla offerente" ed il poeta Vernieri per Albanella, il Convento e Sant'Antonio per Altavilla. Paestum, ci dispiace doverlo dire, questo orgoglio lo avverte di meno. Eppure avrebbe solo l'imbarazzo della scelta per recuperarne ed esaltarne le motivazioni pescando a piene mani nello scrigno prezioso della sua storia. Ma tentenna e "traligna" e si lascia guidare, anche nel cartellone delle manifestazioni, quando ci sono e sono degne di questo nome più dalla logica del dio denaro che dallo spessore della cultura, più dalla quantità che dalla qualità della promozione.
PAESTUM ha due bacini in cui pescare a piene mani: IL MARE e LA MEDITERRANEITÀ. È questa la sua ricchezza a cui attingere tesori, ideando e realizzando grandi eventi di cultura nel segno del meticciato e dell'ibridazione delle civiltà. La strada ce l'hanno tracciata i Padri. Sta a noi riprenderla, imboccarla con determinazione e speditezza, aggiornandola ed arricchendola, ma senza mai far sbiadire o, peggio ancora, cancellare i principi guida ispiratori. Il discorso è serio e merita un approfondimento che mi riprometto di fare prossimamente con il solo intento di dare un contributo di idee per il futuro della mia città dell'anima. Ce n'è bisogno, anche perché mi giungono notizie di una crisi comunale in atto con probabile sfocio in elezioni amministrative anticipate. Forse sarà la volta buona per fare un dibattito approfondito sull'identità culturale sbiadita se non addirittura perduta di una delle città più belle e più importanti della Magna Grecia, per decidere con consapevolezza e determinazione quale sarà il suo futuro ed il suo ruolo in Italia, in Europa e nel mondo, perché i miei conterranei non hanno ancora realizzato quello che vado ripetendo a voce e nei miei numerosi scritti da molti e svariati decenni, che PAESTUM È UNA CITTÀ MONDO.

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