Paestum: alla ricerca dell'identità perduta
Un esempio da imitare pensando a Saturnia, una terra bella nella maremma grossetana
Nell'ultimo fine settimana
sono stato a Saturnia, là dove dal ventre misterioso della terra erompono
fiotti d'acqua sulfurei e si fanno calda cascata per un bagno di salute. E' una
bella fetta di maremma grossetana che espone ettari di vigneti in geometrici
filari a gonfiare umori che rideranno di fresca ed inebriante allegria nei
bicchieri di "Morello di Scansano". Gli uliveti si sbrigliano al
vento della sera sui petti delle colline ricamate dai castelli/torrioni e dai
campanili dei paesi, dove è passata la grande storia degli Etruschi. Ne è
memoria sulle mensole di travertino lucide di sole come nelle muraglie d'ocra
dei tufi a far da cinta fortificata a Pitigliano, che nelle "cave"
conserva testimonianze di necropoli antiche di millenni di indigeni dediti
all'agricoltura e alla pastorizia e di conquistatori venuti dal mare con
esperienza di venti e navigazione e con la sapienza di lavorare l'argilla su
anfore arabescate di scene di vita quotidiana. Me ne parla con entusiasmo e
legittimo orgoglio la proprietaria dell'agriturismo dal cui terrazzo, a volo
d'orizzonte sconfinato, ho dialogato a lungo con le stelle e con una mezzaluna
che mi occhieggiava dal bigio del fogliame di un ulivo secolare e rifrangeva
argento sul Fiona, il fiumiciattolo che raccoglie a monte l'eco dei campanacci
delle mandrie alla pastura brada, i grugniti dei cinghiali a devastazione di
coltivi inseguiti dai contadini che smadonnano e gli schiocchi delle frustate
dei butteri a domare cavalli ribelli. E lo porta, con corso zigzagante, fino
alla foce nel mare dell'Argentario popolato di vip danarosi di censo e di
casato. Sono gli eredi dei Granduchi di Toscana, che hanno riconvertito
prestigio e ricchezze di famiglia nelle nuove e fiorenti attività del turismo.
Lo hanno fatto anche i contadini e i pastori, meccanizzando agricoltura e
zootecnia e trasformando casali e fattorie in agriturismi, che sono gioielli di
accoglienza, dove si dorme bene in camere dotate di tutti i confort e si mangia
meglio a base di prodotti genuini, frutto di una terra generosa, che, almeno in
collina, non conosce i veleni dei pesticidi.
Faccio colazione spalmando marmellate di ogni colore e gusto
su pane fatto in casa, sbocconcello salumi e formaggi della casa e addento
pere, mele primitive e pesche di vigna appena colte ancora fresche di rugiada.
La signora mi snocciola, nella musicale cadenza toscana, una bella lezione di
storia su Etruschi e Romani, su Granduchi latifondisti e briganti giustizieri
senza processo, su Papi e Cardinali, che hanno fatto la storia d'Italia e la
fortuna dei propri casati, su butteri e pastori, e sull'orgoglio contadino
che recupera ed esalta le tradizioni della vita in campagna, conservando e
trasmettendo ai figli i valori ereditati dai padri. Parla con passione,
entusiasmo e grande proprietà di linguaggio la signora non più giovanissima ma
contagiosa di simpatia. Su mia richiesta mi confessa che, come titolo di
studio, ha solo la licenza media inferiore ma che legge molto e che le piace
mantenersi aggiornata su tutto. Ne resto incantato. La saluto con l'impegno a
tornare ancora una volta. Sulla strada che mi riporta a Roma, bypassando
Capalbio, ritrovo di politici di sinistra e di intellettuali (!?) radical-chic
e Tarquinia, dove nacquero un po' di re di Roma delle origini, il pensiero
corre a Paestum per un confronto. E mi rammarico con me stesso con riflessioni,
che ora faccio ad alta voce, sul territorio dove sono nato. Paestum ha
affievolito, se non addirittura perduto, l'orgoglio di identità. Non lo si
avverte più parlando con operatori e semplici cittadini. Ne hanno perso la
memoria i giovani. Non lo recuperano con iniziative valide gli amministratori.
Non è così, per fortuna, per i paesi delle colline della
kora. Tutti o quasi hanno frugato nella storia e nelle tradizioni e ne hanno
tratto motivi di orgoglio e di identità. Spartaco per Giungano, il pane per
Trentinara, i marroni per Roccadaspide, la "fanciulla offerente" ed
il poeta Vernieri per Albanella, il Convento e Sant'Antonio per Altavilla.
Paestum, ci dispiace doverlo dire, questo orgoglio lo avverte di meno. Eppure
avrebbe solo l'imbarazzo della scelta per recuperarne ed esaltarne le
motivazioni pescando a piene mani nello scrigno prezioso della sua storia. Ma
tentenna e "traligna" e si lascia guidare, anche nel cartellone delle
manifestazioni, quando ci sono e sono degne di questo nome più dalla logica del
dio denaro che dallo spessore della cultura, più dalla quantità che dalla
qualità della promozione.
PAESTUM ha due bacini in cui pescare a piene mani: IL MARE e
LA MEDITERRANEITÀ. È questa la sua ricchezza a cui attingere tesori, ideando e
realizzando grandi eventi di cultura nel segno del meticciato e
dell'ibridazione delle civiltà. La strada ce l'hanno tracciata i Padri. Sta a
noi riprenderla, imboccarla con determinazione e speditezza, aggiornandola ed
arricchendola, ma senza mai far sbiadire o, peggio ancora, cancellare i
principi guida ispiratori. Il discorso è serio e merita un approfondimento che
mi riprometto di fare prossimamente con il solo intento di dare un contributo
di idee per il futuro della mia città dell'anima. Ce n'è bisogno, anche perché
mi giungono notizie di una crisi comunale in atto con probabile sfocio in
elezioni amministrative anticipate. Forse sarà la volta buona per fare un
dibattito approfondito sull'identità culturale sbiadita se non addirittura
perduta di una delle città più belle e più importanti della Magna Grecia, per
decidere con consapevolezza e determinazione quale sarà il suo futuro ed il suo
ruolo in Italia, in Europa e nel mondo, perché i miei conterranei non hanno
ancora realizzato quello che vado ripetendo a voce e nei miei numerosi scritti
da molti e svariati decenni, che PAESTUM È UNA CITTÀ MONDO.