Si vanti pure e gridi alto di Taranto la magnifica città di Aristossene il nome!

Ad Aristossene (Taranto, 375 a.C. circa – dopo 322 a.C. circa) figlio di Spintaro della città di Taranto che della musica gran maestro seppe e fu dell’armonia il primo custode ...il mio fiore!

GAETANO RICCO La Scvola di Atene
Cilento - domenica 01 settembre 2019
Aristosseno
Aristosseno © web

“Così infatti dice Aristosseno di Taranto: "Ed invero, nella musica, la grandezza delle misure varia in rapporto all'intensità del movimento"

Ed è per la tua musica perduta ed all’armonia che prorompe e sfida il Dio che la creò che io, maestro Aristossene, sono qui ad onorare la tua grandezza che non fu di tutti se … delle tue quattrocentocinquantre opere venne il tempo a trattenerci solo i tuoi “Elementi di Armonia” e fosti capitale se … dopo tanti secoli e da soli possono gridare il tuo nome e alla storia della musica consegnarti maestro assoluto. La tua opera sopravvissuta in forma di molte epitomi ci rivelano uno studio ed una analisi così profonda e dettagliata del fenomeno della musica da eccellere su tutto quello che fino ad allora era stato scritto. E fu tanta e quanta la tua capacità di vaglio, come, per teoria e prassi, comandava il tuo grande maestro Aristotele, che l’osservazione dei suoni che tu generasti fu unico con il tuo vanto universale. La tua idea della musica fu così alta da ritenerla obbligatoria per ogni città, “polis” che volesse definirsi civile. Tu stesso infatti interrogato una volta sui costumi degli Arcadi che ben conoscevi e forse amavi, dedicasti loro due “Elogi” rispondesti che la rozzezza dei loro costumi fatalmente forgiati alla condizione di un paese di montagna per sua natura aspro e gelato era del tutto soppiantata e rimpiazzata dalla pratica ( a Mantinea infatti lo studio della musica, della danza e del canto erano obbligatori dai dieci a trenta anni!) e dalla bellezza della loro musica, che legata ai valori della grande tradizione dell’austero “tetracordo” che tu, maestro, sovra tutti gli strumenti amavi, educava i giovani non solo all’amore ed alla difesa per la loro città ma in più “alto loco” alla cura dell’anima, intesa nella sua più alta accezione etica . Ed anche se di Platone che tu, maestro, dicevi essere solo un “volgare plagiaro” per aver lui, senza nessuno contributo dioriginale pensiero, semplicemente “assemblato” le teorie di Eraclito, Pitagora e Socrate e di averne fatto fortuna, pure a lui ti legavano vincoli profondi per quella tua idea dell’anima che plasmata dal Demiurgo secondo dei precisi rapporti matematici pure ti apparteneva se poiconfortato dal tuo genio “aristotelico” che venne a comandare tu ti precipitasti nello studio scientifico della musica e ne facesti ricerca di così ardita analisi da avanzare non solo i tuoi contemporanei ma anche noi stessi che più volte tra toni, semitoni, scale ascendenti e discendenti ed astratti principi intervallari tentando di conquistare quel tuo “meraviglioso ordine”(thaumaste taxis) ci siamo persi. La tua predilezione per il più austero “tetracordo” (una cetra a quattro corde registrato di “quarta”su ritmi e suoni matematicamente impostati) a fronte del molto più molle “aulos” che già nel tuo tempo inclinava volentieri all’impazzimento delle movenze dionisiache cui tu, maestro Aristissene, opponevi quelle apollinee, ti rese ancora più solenne al culto della tradizione musicale greca tanto da diventare il primo alfiere di quella gloriosa tradizione epica e molte delle tue opere furono poesia, che ispirata alla solenne e cadenzata“misura” musicale del “piede” antico da sempre aveva accompagnato e fatto crescere quel lungo cammino della Grecia, che, ai tuoi tempi altrimenti abbandonata, insieme al non mai dimenticato Ateneo di Naucrati, ti fa apertamente lamentare che “dopo che i teatri si sono imbarbariti e questa nuova musica è caduta in grande corruzione” siamo diventati, ahimè, come i Poseidonati, che abitano sul golfo tirrenico che anche loro una volta “originariamente Greci, è accaduto di imbarbarirsi, diventando popolo in decadenzza Tirreni o Romani, e di cambiare lingua ed ogni altra abitudine”. Un lamento il tuo,maestro Aristossene, che toccato in tempi moderni dal genio del grande poeta greco Costantinos Kafavis, cui, in un tempo non remoto io fui vicino, dedicandogli in Albanella un “Cenotafio” è diventato una struggente,appassionata poesia in veste viola che mi piace, in una originale e congiunta traduzione con l’amica Elena Kakurou qui di riportare e per intero :” Dimenticarono mescolati com’erano ai Tirreni, ai Latini e a tutte le altre genti /i Poseidonati la loro lingua greca. Della antica grandezza non rimaneva /altro che una festa: lire, flauti, lotte, corone, libagioni e alla fine (abitudine di pochi!) / si riunivano in qualche luogo remoto della città e lì piangendo sugli usi aviti, ricordavano, / chiamandosi alla maniera greca e tutta per ogni nella melanconia si consumava la loro festa, / che un tempo anche loro furono Greci, favorevoli, alla sorte dell’Italia. / Come abbiamo potuto mai decadere, vivere e parlare barbaro? / Com’è potuto mai succedere? A noi che pure sfortunati tenemmo radici greche? …nostalgia di un popolo che non c’è più e che la tua musica, maestro, aveva forgiato nella pitagorica armonia della cura dell’anima tentando ancora di trattenere quella ide della “polis” oggi “stato etico” che verrà solo molti secoli dopo e nella fiera filosofia teutonica di quel grande Maestro idealista che nello “Stato” lesse appunto la suprema incarnazione morale dello spirito di un popolo che facendosi “anima collettiva” si eleva a legge universale diventando nella storia il “cammino di Dio”. Etu, maestro, che eri filosofo e certamente uno dei primi, se, come ricorda la “Suda”, morendo il tuo maestro Aristotele sperasti di succedergli alla guida del Liceo, non potevi rischiare che la “polis” sempre più pericolosamente aperta alle mollezze d’oriente decadesse e… così poiché tu ritenevi “che il vero amore del bello sta nelle attività pratiche e nelle scienze; perché l'amare e il voler bene hanno inizio dalle buone usanze e occupazioni” non potevi arrenderti e ostinato continuasti sempre più profondo a promuovere con lo studio l’ascolto della musica, alla cui maniera “dinamica” dedicasti una opera, sostenendo che“di queste due cose, invero, la musica e coesistenza: sensazione e memoria :Bisogna infatti sentire ciò che accade e ricordare ciò che è accaduto” e che solo un vigile e costante raffronto memoriale tra i suoni passati, quelli presenti e futuri fanno la musica maestra. E così ancora come il tuo primo maestro Archita, sette volte nominato stratega e mai vinto in battaglia, anche tu, maestro, della tua città ti prendesti cura e mettendo al centro dei “Versi Aurei” il primo precetto che ai discepoli comandava quotidianamente la “memoria” tu tentasti, maestro Aristossene, per la memoria la via della tradizione. Una memoria che non fu solo una continua coscienza di sé come ci ammonisce oggi il nostro cattolico “esame di coscienza” ma anche un atto d’amore verso tuo padre che i tuoi concittadini chiamavano per la sua grande memoria il “Mnesias”. Una memoria, maestro, che esercitata dal grande potere della musica si potenziava non solo in capacità di “riminiscenza “che per il tuo “plagiaro” amico, lo ricordiamo ed il “Menone” ne è testimone è “conoscenza” ma anche emozione sentimento, cura di quello spirto antico greco che solo la nobile tradizione della musica, nella sua armonia misurata delle parti, aveva saputo e sapeva custodire e che tu, maestro, non potevi, apparecchiandosi il trascersale, molle oriente del grande Alessandro, abbandonare…ah, come nella furia delle “reti sociali” , maestro, il mio tempo “warholliano” somiglia al tuo e come in quella “Scuola di Atene” che con Anassimandro e Senocrate ti contende il nome, alto si alza e risuona ancora il tuo grido in quel libro che reggi tra le mani e come il divino Pitagora ti vuole attento forse a raccogliere quella sua prima verità che fondamentale all’essere si riconosce in quella arcana “misura matematica” che in armonia con le parti si fa ordine e unità o come a te piaceva, maestro, custode e fondamento del mondo…come poi qualche secolo dopo alla tua parte verrà il verso traverso di Verlaine “la musique avant toute chose” e forse…noi!

Questo, maestro Aristossene, mancando il mio grande maestro che pure nella sua “Vita dei Filosofi” ama e più volte chiamarti “Il Musico”, il mio epigramma per te:” Dei tuoi quattrocentocinquantre libri tutti meno uno travolse Crono, che qui giace sepolto, sconfitto dal tuo tetracordo!

Questo, maestro, nei giorni pieni di agosto dalle febbri al riparo l’amore nascosto … il fiore che ti porto!

(Chiusa nelle prime ore antimeridiane del giorno 8 agosto 2019)

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