Il mio paese dell’anima, Trentinara: reclama la via della libertà

Il mio paese dell’anima, Trentinara: reclama la via della libertà

C’è per tutti un paese dell’anima. Il mio è aperto al mare e ai venti in bilico sui dirupi. Ginepri, lentischi e mirti. Arabescano di verde il bianco lunare delle pietre, anatre in cova ossificate dal tempo

LIUCCIO GIUSEPPINO I Viaggi del Poeta
Cilento - mercoledì 11 luglio 2018
Costabile Carducci
Costabile Carducci © n. c.

C’è per tutti un paese dell’anima. Il mio è aperto al mare e ai venti in bilico sui dirupi. Ginepri, lentischi e mirti. Arabescano di verde il bianco lunare delle pietre, anatre in cova ossificate dal tempo. La tramontana è carezza lieve di profumi: lavanda erica, ginestra e rosmarino. Rotola dalle colline, intermittente, e si frantuma con l’eco sul greto dei torrenti il campanaccio delle mandrie alla pastura. Sfavilla nella gloria del sole il Solofrone e scivola a cascata a levigare altari di pietra. Nella gola risuona il grido di battaglia di Spartaco, liberto-eroe qui spentosi all’ultima battaglia. Fuoriescono dalle lapidi ed animano vicoli, slarghi e piazza a rievocare l’epopea cilentana del 1848, artigiani e contadini consacrati eroi dalla fucileria borbonica Nelle notti illuni la civetta lacera silenzi, ed è canto disperato di briganti: tarlo truce di vendetta e slancio generoso di giustizia. Nelle notti serene, il mare da Capri a Punta Licosa narra di Sirene alla impossibile cattura di Ulisse. Da Vatolla l’ombra di Giambattista Vico scende alla Conca di Elea a riannodare fili di Pensiero con Parmenide e Zenone. Giù nella pianura il sole del tramonto conflagra con il mare greco ed accende bagliori di storia alle colonne doriche dei templi maestosi. Scie iridescenti popolano le vie del Mediterraneo ed esaltano Paestum città di approdi e partenze, crocevia e snodo di civiltà. Nei vicoli che, di notte, s’aprono alla luna e, di giorno, giocano a nascondino tra ombra e luce, nella bella stagione le finestre ostentano in allegro disordine vasi di basilico, garofani e gerani; e dalle ferite dei muri sbrecciati succhiano linfa di vita e di bellezza violacciocche e bocche di leone. Sull’acciottolato dormono indisturbati gatti screziati, ladri di sole, là dove, a più riprese, nel corso dell’anno, vi caracollano nelle danze dei portatori le statue lignee alla rifrangenza delle luminarie.

Hanno suggestioni poetiche le processioni: momenti magici di abbraccio corale tra Santi protettori e fedeli. Nel piccolo camposanto, aperto ai silenzi profumati della campagna, le ombre dei morti materializzano vita accendendo sorrisi ai “ritratti” ad eternare stagioni felici nei vestiti della festa. E voci e risa e volti vecchi e nuovi popolano paese e campagne nel girotondo allegro dei mestieri a strappare povera ricchezza alla fatica del vivere. E l’universo si fa paese e il paese si dilata a mondo nella dimensione universale dello spessore dei sentimenti, delle emozioni e dei valori.

Eppure, anche nella universalità del comune sentire, ognuno ha bisogno di un luogo fisico che dia giustificazione e slancio alle partenze cariche di entusiasmo e reclami la quiete degli approdi. C’è per tutti il momento dell’ebbrezza del volo a fuga dalla cova come della nostalgia del ritorno al nido. E la poesia/vita si carica di fuga di libertà, che è anche lacerazione di partenza e dolore di lontananza. E, insieme, di ricongiungimento da memoria a riconquista orgogliosa di identità. È Trentinara il mio paese dell’anima, assurto a simbolo, spesso mitizzato per orgoglio d’amore.

Trentinara fu protagonista della rivoluzione cilentana del 1848 e, sotto la guida di Costabile Carducci gli insorti scrissero luminose pagine di storia risorgimentale: E tante volte ho ripercorso a passi lenti piazza, slarghi e vicoli con il naso all’insù a leggere lapidi che rievocano eventi ed immortalano eroi, Sono nomi a me familiari. E mi risuonano dentro quasi per un appello d’amore convenuto… Marino, Passaro, Paolino, Cavallo… Scandirono i ritmi della mia infanzia, mi accesero l’interesse per la ricerca storica, mi consentirono scoperte di un vissuto in cui mi identificavo con legittimo orgoglio di appartenenza ad una comunità, che nell’ora della storia aveva risposto all’appello con dignità e fierezza. E dalle pagine dei libri fuoriuscivano i miei eroi forti e generosi a difendere fino al supremo sacrificio della vita la fedeltà agli ideali di libertà, a contrastare, pochi di numero ma carichi di ardimento, l’armata del colonnello Recco, arrogante di mezzi e di uomini e determinato a riportare l’ordine nel Cilento inquieto, in nome del Re Borbone e dei baroni reazionari, timorosi di perdere prestigio ed averi. Era il 12 luglio del 1848, appunto, e con la disfatta di Trentinara tramontavano i sogni generosi dei tanti che avevano combattuto lungo le marine e sulle balze del Cilento interno, da Agropoli a Pisciotta, da Torchiara a Vallo, da Roccadaspide a Laurino. Sul sangue ancora caldo dei caduti di Trentinara si aggrumavano e si avvizzivano le ardimentose speranze di libertà e di indipendenza del Cilento intero. Ho sollecitato a più riprese il Sindaco Rosario Carione ed il presidente della ProLoco, Alfonso Guazzo, di celebrare quella data e in ricordo dell’evento creare una Via della Libertà e ne ho anche ipotizzato il percorso e l’articolazione nei minimi particolari. Chi ha interesse e voglia può rileggere il progetto che ho pubblicato su questo stesso giornale; ed, eventualmente operare di conseguenza. Mi piacerebbe vederlo realizzato in un lasso ragionevole di tempo. Comunque, ne scriverò ancora.

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