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    Cultura

    A chi serve una boccata d’arte (b’a)?

    Di Vito Pinto12 Luglio 20225 Min Lettura0 VisiteNessun commento
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    «Villaggio minuscolo, annidato in un angolo ridente del monte Falerzio, Albori si presenta tutto bianco tra verdi pendici coltivate ad aranci e vigne». Così scriveva lo storico e sacerdote don Attilio Della Porta nel suo ormai introvabile volume intitolato “Passeggiate vietresi” del 1969. Sono trascorsi oltre cinquant’anni ma il fascino di questo borgo, rimasto pressoché immutato, non è cambiato, se il poeta alborese Vincenzo Tafuri la canta così:
    «Il ritmo dell’era, spegne il silenzio.
    Albori bianca, poggi di luna.
    Arcate vuote, muri di pietra senza voci.
    Sentieri vergini di natura».
    Ad Albori “si sale come s’uscisse dalla vita e dalle sue pene per aprirsi unicamente ed interamente al prodigio di questo luogo unico ed inimitabile”, scriveva ancora il Della Porta, se non altro per riconquistare antiche visioni, come quella di un cielo stellato; gli uomini delle città hanno perso questa visione, sembra che l’infinito tappeto di stelle steso dal Creatore sia stato inghiottito in un “buco luminoso” che ha distrutto questa immagine capace di riconciliare l’animo con il creato.
    Questo borgo così appartato, visto dalla Costiera Amalfitana, sembra una Fata Morgana che appare in alto nella verde gola che s’apre alla piccola marina e subito si dilegua.
    Quassù il silenzio è tale che ogni gesto si fa più lieve ed ogni pensiero diventa grazia e serenità
    Scriveva il dimenticato canonico cavese Trezza: «Le case tutte a terrazze e logge o sormontate da caratteristici tetti a cupoletta, con linde scalinate esterne, si affacciano sul gran silenzio verde, estatiche in ascolto, perché appena il sole declina dietro l’irta cresta della giogaia, comincia limpido, gioioso, altissimo il canto dell’usignolo».
    Un paese che c’è, come una volta, con la sua frescura, il leggero stormire di foglie, l’allegro sgorgare delle acque dalla sua antica sorgente del Cesare.
    Un borgo che nell’ultimo squarcio di giugno è stato oggetto di una iniziativa nazionale, promossa dalla Fondazione Elpis nell’ambito del progetto “b’a”, una boccata d’arte, che ha coinvolti venti borghi d’Italia, in venti Regioni, con venti artisti. Una iniziativa che si “compone di cinque micro-progetti in cui sono state orchestrate anime differenti tra loro, con lo scopo di rafforzare l’identità del paese e di far riemergere il racconto di alcune tradizioni. Per questo progetto sono state attivate una serie di collaborazioni con alcuni artigiani e maestranze sia locali che di Vietri sul Mare”. 
    Per il borgo di Albori è stato definito “Il progetto diffuso” dell’artista Fabrizio Bellomo e nasce a partire da un interrogativo e da un dialogo che l’artista ha avuto con gli abitanti del posto. Tanto è scritto in una nota diffusa dall’organizzazione.
    Nasce così “Iconografia della sagra” con l’idea di voler diffondere e conservare nella memoria la tradizionale “Sagra de’ palle e ciuccio”, per cui è stato realizzato un discutibile piatto in ceramica; quindi “Gli scagnanome”, targhe di toponomastica in ceramica con i soprannomi di vecchi abitanti (due-tre) che vivevano in case prive di indirizzi precisi. Altro progetto è stato “La casa di Maria” un mini documentario fruibile tramite QRcode davanti alla casa un tempo abitata dalla signora Maria e i suoi figli, la quale tuttora ne parla con nostalgia e malinconia. L’insegna led “Hotel Fuenti” rimanda alla lunghissima e triste vicenda dell’omonimo albergo, abbattuto perché considerato Ecomostro.
    Infine “Dimenticare i propri antenati significa essere un ruscello senza fonte” realizzato in collaborazione con Emilio Pellegrino, opera di risanamento di una struttura preesistente lasciata in stato di abbandono presso la cosiddetta “sorgente del Cesare” (sic); in pratica scarti di piastrelle in ceramica ora rivestono la panchina e la fontana.
    Questo, dunque, il progetto per un borgo antico, simbolo di serenità, che non è stato sconvolto da questa iniziativa perché il giorno di inaugurazione vi erano al massimo venti persone compresi gli organizzatori, quando una manifestazione del genere dovrebbe avere almeno la capacità di coinvolgere duecento persone. Nella locale bruschetteria vi erano più persone!  E poi, ci si chiede, quale beneficio comportano al paese le targhe con gli “scagnanomi” che hanno registrato anche qualche malumore da parte di chi si è visto appioppare avanti alla sua abitazione una targa senza esserne informato. Per non parlare del mini documentario: quanti avranno la voglia e la possibilità (tra l’altro la casa di Maria è anche fuori mano) di vederlo con il QRcode?
    Senza voler rimarcare il discutibile disegno del piatto della sagra (dozzinale), si sottolinea l’obbrobrio, anzi lo scempio ceramico che è stato compiuto alla fonte del Cesare, che non era da considerare abbandonata, ma semplicemente rispettata nel contesto naturale dove madre natura l’ha posta.
    Una manifestazione, pertanto, da considerare un flop e che pone un interrogativo: a chi giova? Certamente non al paese né ai suoi abitanti. Forse solo ai fruitori di ennesimi finanziamenti dati senza prima aver verificata la validità del progetto ai fini di una reale promozione del borgo. Tanto paga pantalone! anche se questo è la Regione Campania e non il Comune.
    La memoria rimanda la mente all’indietro negli anni, quando in questo borgo montano del Comune di Vietri sul Mare, giungevano, ogni anno, pittori da varie parti d’Italia e dall’estero per l’appuntamento di pittura, omaggio ad uno dei borghi pittoreschi d’Italia: gli scorci paesaggistici e le suggestioni interne al paese sono indimenticabili e pane abbondante per gli artisti del colore.
    Per non parlare di quella importante manifestazione, il “Premio Albori”, che ogni anno vedeva affluire nella suggestiva piazzetta-sagrato di Santa Margherita attori, autori di libri, personaggi del bel mondo. E, come sempre succede da queste parti, due sindaci (ora ex), dopo averla tolta al faticoso impegno sociale ed economico privato, ne decretarono la fine per incapacità politica.
    Ma tant’è! Allora vanno bene anche queste manifestazioni che, alla fine… non disturbano nessuno.

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