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    Percorso:Home»Cultura»Il dio Alburno: La divinità dimenticata dell’antica Lucania
    Cultura

    Il dio Alburno: La divinità dimenticata dell’antica Lucania

    Di Vito Gerardo Roberto11 Febbraio 20254 Min Lettura11K VisiteNessun commento
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    Nel cuore dell’antica Lucania, tra fitte foreste e montagne selvagge, si erge il Monte Alburno, una maestosa vetta che ha dato il nome a una divinità ormai dimenticata: il dio Alburno.

    Un culto avvolto nel mistero, menzionato solo in poche fonti, ma che ancora oggi affascina chiunque voglia scoprire le radici più profonde della spiritualità italica.

    La prima e più importante menzione del dio Alburno la troviamo in un testo del II-III secolo d.C., scritto da Tertulliano, un autore cristiano che denunciava l’arbitrarietà del Senato Romano nel riconoscere o meno le divinità.

    Egli racconta di un comandante romano che, durante una battaglia, fece voto di costruire un tempio al dio Alburno in caso di vittoria.

    Tuttavia, quando chiese al Senato il permesso di erigere il tempio, la richiesta venne respinta.

    Ma chi era questo misterioso dio Alburno?

    Le fonti antiche non ci danno molte informazioni dirette, ma grazie a Virgilio, il celebre poeta romano, possiamo intuire che il Monte Alburno fosse un luogo sacro.

    Nelle Georgiche (Libro III, vv. 146-148), Virgilio descrive il monte come un’area ricca di boschi e popolata da insetti fastidiosi, chiamati Asilus in latino e Oestron in greco.

    Questo potrebbe suggerire che il monte fosse ritenuto sacro da antiche popolazioni italiche, che vi veneravano una divinità legata alla natura, ai boschi e forse alla protezione dei viandanti e degli allevatori.

    I culti locali come quello di Alburno raramente si diffondevano oltre le regioni d’origine.

    Questo spiega perché il Senato romano rifiutò la richiesta di costruire un tempio in suo onore: Roma controllava rigidamente l’integrazione delle divinità nel proprio pantheon e non voleva dare spazio a culti che sfuggissero alla sua autorità.

    Il rifiuto del tempio segue la stessa logica di altri provvedimenti simili, come il celebre Senatus Consultum de Bacchanalibus del 186 a.C., che limitò drasticamente il culto di Bacco per timore che diventasse una minaccia politica e sociale.

    Anche nel caso di Alburno, il Senato non voleva riconoscere un culto regionale senza una reale necessità politica o strategica.

    L’area del Monte Alburno era abitata dai Lucani, un popolo italico spesso in conflitto con Roma.

    Il culto del dio Alburno potrebbe essere nato proprio tra queste popolazioni, che vedevano nel monte un luogo sacro, protetto da una divinità benevola ma anche potente.

    Il voto pronunciato dal comandante romano potrebbe essere avvenuto durante uno dei numerosi conflitti che coinvolsero la Lucania.

    Tuttavia, la documentazione storica è scarsa e servirebbero ulteriori ricerche per individuare con precisione i periodi e gli eventi coinvolti.

    Ciò che è certo è che la presenza di guerre e battaglie nella regione potrebbe aver rafforzato la percezione di Alburno come divinità protettrice, legata alla guerra e alla natura.

    Oltre alle antiche menzioni testuali, il culto del dio Alburno sembra aver lasciato tracce tangibili nelle sculture rupestri degli Alburni.

    Nel comune di Sant’Angelo a Fasanella si trova, infatti, una scultura rupestre che raffigura l’antica effige del dio Alburno, rappresentato come un guerriero armato di lancia, scudo e scure.

    Questa scultura, risalente al V-IV secolo a.C., è un esempio straordinario della spiritualità italica legata ai monti Alburni.

    La posizione del rilievo, situato in un luogo isolato e sacro, conferma il ruolo di questa divinità come protettore dei viandanti e simbolo della forza naturale delle montagne.

    Dopo il rifiuto del senato, il culto di Alburno cadde nell’oblio.

    Nessuna grande opera o tempio fu mai dedicata a lui, e con il tempo, la sua memoria si perse tra le pieghe della storia.

    Tuttavia, il Monte Alburno rimane, testimone silenzioso di un passato in cui gli uomini guardavano alla natura con rispetto e timore.

    Oggi, il Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni custodisce questo antico paesaggio, con le sue foreste secolari e la sua maestosa bellezza.

    Chissà che, nelle pieghe del tempo, non si nascondano ancora altre tracce di questo antico dio dimenticato, che un tempo regnava sulle montagne e sui boschi dell’antica Lucania.

    Le istituzioni locali, provinciali e regionali dovrebbero partecipare alla promozione e alla diffusione delle informazioni legate all’Antece, al fine di valorizzare ulteriormente la ricca eredità culturale e spirituale del territorio.

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