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    Ambiente

    Un treno verde cilentano

    Di Veronica Gatta26 Novembre 20157 Min Lettura0 VisiteNessun commento
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    di Giuseppe Liuccio

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    In un passato piuttosto recente di pochi mesi, le Ferrovie dello Stato hanno comunicato di voler dare in comodato d’uso a titolo gratuito l’enorme patrimonio immobiliare delle vecchie stazioni ferroviarie “impresenziate”, a condizione che gli eventuali destinatari, che ne faranno richiesta, si impegnino alla manutenzione del bene e lo destino ad iniziative di valore sociale e culturale. Questa notizia mi consiglia,ancora una volta, di riprendere e riproporre un mio vecchio articolo, che pubblicai per la  prima volta circa 15 anni va o giù di lì e che ho riproposto a più riprese nel corso degli anni.  Avanzava una proposta che andava nella stessa direzione decisa, di recente, dalle Ferrovie dello Stato. Lo ripropongo qui di seguito non tanto per un pizzico d’orgoglio nel  constatare che anticipavo i tempi, quanto per stimolare enti pubblici e singoli cittadini che ne abbiano i requisiti a cogliere a volo l’occasione per utilizzare al meglio il patrimonio immobiliare delle tante stazioni ferroviarie “impresenziate” del Cilento immesso nel circuito fecondo del mercato dalla Società delle Ferrovie, che ne è proprietaria.

    Ne ho parlato e scritto in altre occasioni. Ritorno sul tema, perché lo ritengo di scottante attualità.
    Per molti erano il capolinea di un’avventura, una fuga verso la libertà e la civiltà. Per tanti una lacerazione verso l’ignoto dell’emigrazione.  Per tutti i giovani, o quasi, il primo impatto con l’obbligo imposto dalla cartolina precetto. Per una nutrita schiera, l’appuntamento quotidiano con il pendolarismo del lavoro. Erano le stazioni ferroviarie dove si scendeva dalle montagne e dalle colline dell’interno ai primissimi chiarori dell’alba, caracollando, su mezzi di fortuna, giù tra povere campagne di agricoltura di sussistenza. Le complici confidenze della sala d’aspetto, il caffè sorseggiato tra fili di fumo (sigarette, vapori, aliti), la minzione ai gabinetti pubblici, i binari lividi, lo sbuffo svaporante degli stantuffi del treno in arrivo, la mitria rossa del capostazione, la paletta verde, il fischio, lo sferragliare della partenza e le campagne arabescate di brina con gli alberi a contagiarti di fredda solitudine o di fresca solarità da scialo di fioritura, a seconda delle stagioni, a correrti contro, a filo di finestrino: sfumati fotogrammi di poesia della memoria!
    Sono tante le stazioncine aperte al mare e alle brevi pianure o chiuse nelle valli a ridosso di torrenti limacciosi d’inverno e aridi d’estate. I nomi hanno ritmato tappe importanti della vita dei cilentani: Capaccio-Roccadaspide, Ogliastro, Torchiara, Rutino, Omignano, Casalvelino, Caprioli, San Mauro La Bruca, Centola, Celle di Bulgheria, Torre Orsaia, Policasro. Oggi  niente, o quasi, resta dell’antica vitalità: sportelli chiusi, sale d’attesa al degrado, sottopassi campi di esercitazione dei maniaci dei graffiti con la fregola dei messaggi. Si salvano i centri più grossi o baciati dal miracolo turistico: Agropoli, Vallo, Ascea, Pisciotta-Palinuro. Sapri. Per il resto l’abbandono. Ai malcapitati viaggiatori lo squallore indifeso di soste senza un minimo di confort con gli annunzi metallici megafonati non si sa da dove nè da chi. Una fredda lunarità tecnologica sperimentata nelle assolate e serene campagne del Sud!
    Eppure le tante solitarie stazioni ferroviarie cilentane costituiscono un patrimonio immobiliare di enorme valore e sarebbero ancora utilissime se ripensate in un riuso intelligente, fecondo e funzionale a supporto del territorio. Cominciamo con una constatazione, addirittura banale, ma che vale la pena sottolineare: la ferrovia attraversa il cuore verde del Parco del Cilento ed il treno è un mezzo comodo e non inquinante per accedervi e fruire dei beni paesaggistici, storici, artistici, monumentali, enogastronomici.
    Il patrimonio immobiliare delle stazioni ferroviarie in disuso (uffici, sale di aspetto, sottopassi, magazzini, ecc:) può essere trasformato in punti di accoglienza con tanto di pannelli luminosi e poster, uffici/informazioni e vetrine dei prodotti tipici artigianali ed enogastronomici del territorio. Ecco una strada da percorrere fino in fondo come  concreta opportunità di lavoro per giovani, che vogliano correre l’avventura stimolante del rischio d’impresa: Ma la rianimazione delle vecchie stazioni come centri di accoglienza e di smistamento verso le zone interne con una opportuna rete di ecobus (ecco un’altra opportunità di lavoro per giovani e non) presuppone un Protocollo d’Intesa con la Società delle Ferrovie, che troverebbe utile e conveniente, suppongo, immettere nel circuito della fruizione un patrimonio enorme diversamente destinato al degrado totale. Così come sarebbe utile e necessario ipotizzare un “Treno Verde”, che, partendo da Napoli, trasferisca nel territorio del Parco carovane di turisti con itinerari prefissati e organizzati almeno nel weekend.
    Un esperimento in questa direzione  fatto con successo dal Consorzio degli operatori turistici della Piana del Sele ha avuto successo. L’iniziativa dovuta alla determinazione ed all’impegno di Bartolo Scandizzo, che del Corsorzio è cuore, anima ed intelligenza creativa, va ripreso ed esteso ad altre zone, per penetrare nel cuore verde del Parco e non solo in quello dei paesi della chora pestana.
    C’è il rischio che si identifichi la zona protetta solo con la costa, che è già di per sè conosciuta ed apprezzata. E’ l’interno che va riscoperto e valorizzato,soprattutto nella bassa stagione. L’enorme patrimonio ambientale, storico, culturale è spalmato su tutti i 180.000 ettari di un territorio totalmente, o quasi, antropizzato, caratteristica che distingue il nostro Parco e ne fa quasi un unicum tra le aree protette del nostro Paese, per la delicatezza degli interventi, per il rapporto equilibrato uomo-ambiente, per la tutela ed il rilancio degli antichi mestieri, per la valorizzazione dei centri storici, per l’esaltazione della ricca e varia architettura minore. E’ nelle zone interne che va rivissuta la stimolante avventura, ancora tutta da rileggere, dei nostri Padri Lucani, come quella di chiese e conventi, eremi ed abbazie, testimoni della storia straordinaria, anche se non opportunamente conosciuta, del monachesimo italo/greco e benedettino; ed ancora delle dimore gentilizie, dei castelli, fortilizi di montagna e torri di mare, tasselli di un unico mosaico con le figure di baroni e popolo, rivoluzionari temerari e tiranni sanguinari, pirati e briganti. E potrei continuare con i santuari mariani, le chiese rupestri, i musei della civiltà contadina; e, infine, i capricci della natura nei miracoli di bellezza dei fenomeni carsici di Pertosa e Castelcivita, della Grava del Fumo e del Bussento, delle grotte marine di Palinuro e Camerota, delle gole orride e bellissime del Calore e del Mingardo. Lo farò nell’immediato futuro con itinerari tematici motivati. Lo farò come testimonianza d’amore e di cultura per la  mia terra, le cui vicende politiche/amministrative seguo con la passione del cuore ed il logos dell’intelligenza anche dal mio dorato esilio romano. Lo farò anche se ai piani alti del Parco questo mio interesse/testimonianza è guardato con  insofferenza e sopportato con malcelato fastidio. Lo farò, come sempre, con spirito libero, guardandomi bene dall’intrupparmi tra i corifei del potente di turno, nella consapevolezza che nella gestione del Parco si continua a navigare a vista, senza un progetto d’insieme che gonfi di entusiasmo le popolazioni del territorio e ne stimoli la partecipazione attiva. Il Parco cresce e diventa autentico motore di sviluppo se i Cilentani ci credono e se ne riappropriano con determinazione ed orgoglio di identità e di appartenenza al territorio. Probabilmente la prima battaglia da fare e da vincere è quella di far conoscere il Cilento ai cilentani: conoscere per amare, amare per difendere, difendere per propagare. E’ la più elementare forma di comunicazione che, probabilmente, dalle parti del Parco ignorano e/o comunque non applicano.

    Questo scrivevo alcuni anni fa. Ora la decisione delle Ferrovie dello Stato di liberalizzare ed immettere sul mercato della fruizione feconda l’enorme patrimonio immobiliare delle stazioni “impresenziate” ne rende attuale il discorso, che per una felice coincidenza cade alla vigilia, si spera, del rinnovo della “governance” del Parco Nazionale del Cilento e Vallo del Diano, che è in prorogatio già da circa due anni. Un motivo in più per augurarsi che le Forze Politiche ed Istituzionali operino una scelta oculata privilegiando merito, capacità e professionalità e non  le vecchie logiche della clientela improduttiva e del familismo amorale.

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