Di Luigi Rossi
Il Cilento come laboratorio di un nuovo umanesimo ecologico
Crisi europea, tutela ambientale e centralità delle aree marginali
Un continente in crisi di identità
L’Europa è un continente malato delle malattie che autoproduce. Necessita di cure energiche, coordinate ed equilibrate, fondate su un serio esame di coscienza e sulla collaborazione di tutte le organizzazioni nazionali e internazionali, ufficiali e volontarie: culturali, scientifiche, tecniche, religiose, sociali, economiche e finanziarie.
La questione ambientale è divenuta ormai questione politica, perché l’unità europea non può reggere se si riduce a un gigantesco mercato di scambio di merci e denaro, governato da leggi finanziarie che dividono gli abitanti in ricchi e poveri, senza una vera identità unificatrice dei popoli.
Ecologia come fondamento dell’unificazione europea
Una reale unificazione dell’Europa passa anche attraverso una pace ecologica globale, capace di armonizzare interessi e culture adottando regole concrete di pratica ambientale: salvare il salvabile, frenare le azioni dannose in corso, impedirne di nuove, ricostituire ambienti degradati, razionalizzare le attività umane.
Difendere la natura non è poesia né misticismo, ma una necessità vitale per la sopravvivenza dell’umanità, come emerse chiaramente durante l’Anno Europeo della Conservazione della Natura.

Un’utopia realistica: sviluppo e dignità della persona
Conciliare interessi ecologici comuni e costruire una nuova sensibilità concettuale e operativa per lo sviluppo e la dignità della persona – al di sopra di ogni differenza di origine, fede, cultura o condizione economica – è un’utopia realistica, solo apparentemente contraddittoria.
In questo quadro, il Mezzogiorno, e in particolare il Cilento e il Vallo di Diano, pur segnati da una condizione socio-economica depressa, custodiscono un patrimonio straordinario di tradizioni popolari, consuetudini religiose e qualità socio-culturali che rappresentano una risorsa strategica.
Aree marginali e protagonismo delle comunità
Lo sviluppo non può essere una pedissequa imitazione di modelli urbani destinati a fallire perché estranei alle potenzialità locali. È necessario favorire una presa di coscienza delle popolazioni, affinché diventino protagoniste del proprio futuro, confrontandosi con altre aree accomunate da analoghe problematiche culturali ed economiche.
La crisi dell’industrializzazione impone di valorizzare sempre più i servizi e la cultura, come dimostra il crescente interesse per la qualità della vita e per le tematiche ambientali.
Territorio, cultura e pianificazione partecipata
I territori del Mezzogiorno, cerniera naturale tra Nord e Sud del Mediterraneo, condividono caratteristiche ambientali e culturali complementari. Sottoporli a ipotesi culturali che pongano l’ambiente al centro è una necessità improrogabile.
Occorre integrare competenze tecniche e amministrative con una profonda cultura storica, evitando derive tecnocratiche o “illuminismi” calati dall’alto. La progettazione senza conoscenza del territorio è una grave aporia, responsabile di molte disfunzioni.

Il Parco come progetto culturale
Da questo dibattito è nata la costituzione del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, non come semplice vincolo ambientale, ma come progetto culturale complesso.
La conservazione della natura non si realizza escludendo l’uomo, ma promuovendo una presenza umana stabilizzatrice, soprattutto dove l’abbandono può produrre degrado. Il Parco diventa così cornice viva di grotte neolitiche, boschi sacri, iazzi pastorali, agorà filosofiche, monasteri, castelli e piazze: segni della stratificazione millenaria di una civiltà.
Educazione ambientale e responsabilità collettiva
La tutela dell’ambiente richiama direttamente il tema dell’istruzione e dell’educazione ambientale dei giovani, futuri gestori del territorio. Non si tratta di una spesa, ma di un investimento necessario e produttivo.
Il turista, come il residente, non ha solo diritti ma anche doveri. Vincolo e gestione devono dialogare in una prospettiva di responsabilità condivisa, fondata su una comunicazione partecipata e non autoritaria.
Dal museo a cielo aperto al nuovo umanesimo
Il Parco non è soltanto uno strumento di conservazione biologica, ma un invito culturale affinché l’homo oeconomicus torni ad essere homo sapiens.
È tempo di una nuova Odissea cilentana: liberarsi dei “Proci” moderni – interessi forti, speculazioni, burocrazie autoreferenziali – e restituire centralità a Penelope, cioè alle comunità locali, troppo spesso lasciate sole. Serve un Ulisse capace di ascolto, giustizia e misura, non un conquistatore metropolitano.
Verso una nuova ripartenza

Riattualizzare questa visione significa compiere un nostos, un viaggio di ritorno che consenta di recuperare valori fondamentali e di evitare interventi meramente burocratici.
Il Parco può diventare strumento di rinascita se affiancato da maestri, scuole, associazioni e operatori culturali, capaci di guidare le giovani generazioni e di mantenere viva la speranza in un futuro possibile anche nelle aree marginali.



