Craco, piccolo borgo della Basilicata, è diventato un esempio brillante di come le comunità possano creare lavoro e stimolare sviluppo economico e turistico anche partendo dall’abbandono.
Grazie a un modello di gestione chiaro e coraggioso, il paese ha saputo trasformare il proprio capitale umano in una risorsa preziosa per il mercato del lavoro.
Oggi Craco conta 12-13 posti di lavoro stabili nel turismo, coinvolgendo giovani del luogo e della provincia.
Alcuni sono impegnati come guide all’interno del centro storico, altri operano nella biglietteria o nel museo locale.
L’impresa che assorbe più manodopera a Craco è proprio quella turistica.
Un risultato straordinario se si pensa che parliamo di un borgo fantasma, che ha saputo trasformare le proprie rovine in una fonte di reddito e speranza.
È questo il motivo per cui Craco è stata scelta come meta di studio da alcuni amministratori provenienti dal Comune di Roscigno, interessati a osservare da vicino come un borgo abbandonato possa diventare un motore di sviluppo, ricchezza e occupazione.
Tra questi, il consigliere comunale Bruno Ruotolo, che ha voluto toccare con mano un modello capace di ridare futuro a un territorio fragile e apparentemente destinato al silenzio.
Passeggiando tra le strade sospese nel silenzio di Craco, Ruotolo racconta la sua impressione: «La prima sensazione è il fascino straordinario del luogo. Craco colpisce per la sua atmosfera sospesa nel tempo, per il paesaggio, per la storia che si respira. Ma osservando con più attenzione, si percepisce che dietro a quel fascino c’è un lavoro strutturato, una visione chiara. La forza del modello di sviluppo si avverte, soprattutto per chi ha uno sguardo attento alle dinamiche territoriali».
La sua non è stata una semplice visita turistica.
Ruotolo è andato a Craco per comprendere da vicino il modello che ha trasformato un borgo abbandonato in una risorsa economica, capace di creare occupazione e ricchezza nel turismo.
Guardare con i propri occhi ciò che è stato realizzato lì significa anche interrogarsi su quale strada possa imboccare Roscigno Vecchia, evitando errori ma ispirandosi a un’esperienza concreta di rinascita.
Ed è proprio qui che nasce il confronto con il borgo cilentano.
L’esperienza di Craco diventa uno specchio in cui Roscigno Vecchia può riconoscersi: non per copiare, ma per comprendere che ogni pietra, ogni rudere e ogni storia possono tornare a generare vita, lavoro e speranza.
La sfida è trasformare l’autenticità in valore, la fragilità in opportunità e la memoria in un progetto condiviso di futuro.
Craco è riuscita a fare ciò che sembrava impossibile: trasformare le sue debolezze in punti di forza.
«I suoi abitanti hanno saputo valorizzare ciò che altrove era visto solo come un problema: l’abbandono, la fragilità del territorio, persino gli errori umani. Non si sono pianti addosso, non sono rimasti immobili. Hanno costruito un racconto identitario, hanno aperto il borgo alle produzioni cinematografiche, hanno creato percorsi esperienziali e, soprattutto, hanno regolamentato l’accesso. Nulla è stato lasciato al caso: tutto è stato progettato con una strategia di lungo periodo. Il risultato è stato speranza, sviluppo e reddito, grazie alla capacità di parlarsi, incontrarsi e unirsi».
Ruotolo individua tre elementi chiave:
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«Una narrazione forte e coerente, capace anche di leggerezza e fantasia»;
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«Una gestione professionale del turismo, con accessi regolamentati e guide formate, privilegiando competenze e valori umani»;
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«Il coinvolgimento dei giovani in attività culturali e turistiche, sostenuti da istituzioni e associazioni».
E avverte: «Roscigno Vecchia ha una storia diversa, ma altrettanto affascinante. Non è un semplice insieme di ruderi, è un luogo intriso di umanità e di storia. Come Craco, condivide autenticità, abbandono e fragilità, ma non bisogna copiare: bisogna adattare».
Il modello Craco ha creato occupazione.
«L’introduzione dei percorsi obbligatoriamente guidati ha generato una nuova domanda professionale: quella delle guide locali, formate e autorizzate. Si è creata occupazione diretta, ma anche indiretta, nei servizi turistici e negli eventi culturali».
Fondamentale è stato anche il sostegno delle istituzioni: «La Regione Basilicata ha finanziato la messa in sicurezza e la promozione turistica. Ma la vera forza è stata la sinergia tra istituzioni, enti culturali e comunità locale. Senza questo patto, Craco sarebbe rimasto un rudere».
Craco ha potuto contare su risorse importanti: «All’inizio i fondi europei, poi contributi ministeriali e regionali. Ma ciò che ha fatto la differenza è stata la capacità del Comune di intercettare bandi e costruire progettualità efficaci».
Ruotolo avverte dei pericoli: «Il rischio più grande è la perdita di autenticità. Bisogna ispirarsi al metodo e replicare il risultato economico e occupazionale. Prima di tutto, però, serve unirsi, senza ipocrisie e retorica. Partecipare, programmare, elaborare e lavorare concretamente. Altrimenti non accadrà nulla».
Ed è proprio a questo punto che Ruotolo sottolinea un aspetto decisivo: «Il modello Craco rientra a pieno titolo tra le buone pratiche per combattere lo spopolamento. È la dimostrazione concreta che anche da un borgo abbandonato può nascere lavoro, economia e nuova vita per una comunità. Roscigno Vecchia può fare altrettanto, ma deve saper adattare la lezione alla propria identità».
E immagina una rete dei ‘borghi sospesi’, aggiungendo un pensiero ancora più netto: «Roscigno Vecchia e Monte Pruno, l’area archeologica di Roscigno, devono diventare la risorsa e la riserva finanziaria e di riscatto sociale per la nostra comunità. Il nostro Comune non ha risorse proprie, non ha tante entrate derivanti da attività economiche o commerciali, tant’è che anche il semplice evento di piazza sarebbe di difficile attuazione se non fosse per la grande umanità, attenzione e vicinanza del Presidente della Fondazione Monte Pruno e per il sostegno, a volte, di alcuni privati. Governare in queste condizioni è estremamente complesso, se non impossibile».
La strada, secondo Ruotolo, parte da un gesto semplice e difficile al tempo stesso: «Unirsi. Poi elaborare una visione condivisa, ascoltare la comunità, valorizzare le specificità e costruire un’identità forte. Si può partire con poco: un centro visite e percorsi guidati. Serve volontà, impegno e crederci davvero. Coinvolgere tutti, senza creare ostacoli o confusione. Bisogna semplicemente iniziare».

L’esperienza di Craco è una buona pratica riconosciuta a livello nazionale per combattere lo spopolamento.
È la prova concreta che anche un borgo abbandonato può trasformarsi in una risorsa, generando lavoro, turismo e speranza.
Per Roscigno Vecchia la sfida è identica: scegliere se restare imprigionata nel silenzio dell’abbandono o se farsi guidare dal coraggio di unire comunità, istituzioni e giovani in un progetto condiviso.
Lo spopolamento non è un destino inevitabile: può essere contrastato, ma solo con visione, impegno e unità.
Roscigno ha nelle sue pietre e nella sua memoria il seme della rinascita.
Sta ora a chi governa e a chi vive questo territorio decidere se quel seme dovrà restare nascosto nella terra o germogliare in un futuro di vita, di dignità e crescita per l’intera comunità.




