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    Percorso:Home»Attualità»Dialetto: salvarlo o abbandonarlo?
    Attualità

    Dialetto: salvarlo o abbandonarlo?

    Di Antonella Casaburi26 Febbraio 20255 Min Lettura333 VisiteNessun commento
    Dialetto: simbolo identitario di un patrimonio culturale
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    In un mondo cosmopolita in cui la stessa lingua nazionale, l’ italiano, è offuscata dall’imperante lingua inglese, si sente ultimamente molto parlare di tutela dei dialetti locali. Vale ancora la pena parlare in dialetto?

    La nobile lingua italiana, che in quanto lingua romanza deriva direttamente dal latino, così come la conosciamo oggi è il risultato di di un lungo processo di evoluzione, è frutto di accesi dibattiti su quale dovesse essere la lingua ufficiale, fra le tante parlate in uso in un Paese diviso in tanti stati diversi e governati da stati stranieri. Dopo l’Unità d’Italia fu scelto il Toscano come lingua nazionale. E che ne è stato delle altre parlate, delle altre lingue, di quelli che sono stati poi definiti dialetti? Sono stati forse dimenticati o piuttosto sono rimasti vivi, liberi di evolversi attraverso i secoli che si succedevano?

    I dialetti hanno continuato ad essere presenti nella lingua di tutti i giorni. Anche gli italiani più istruiti, quelli che conoscevano l’italiano, parlavano il dialetto. Tutti. Gli aspetti fonetici, grammaticali e lessicali dell’italiano sono stati per secoli influenzati in maniera diretta dai dialetti regionali e dai dialetti locali. Fino a pochi decenni fa, tutti parlavano in dialetto e le persone istruite parlavano anche in italiano. Al tempo d’oggi, in cui pressoché tutti in Italia sanno leggere e scrivere in italiano, si sta diffondendo la moda di abbandonare il dialetto. Una moda… la stessa, modernissima quanto pericolosa moda che impone il rifiuto della lingua della tradizione di qui a breve potrebbe perfino spingere verso l’isolamento della lingua nazionale a favore della più internazionale lingua inglese; perchè di quel provincialismo di cui oggi è tacciato il dialetto potrebbe un giorno essere accusata la stessa lingua italiana. Difendere il dialetto significa difendere l’italiano.

    La timida, ma sempre più crescente tutela del dialetto inizia a farsi strada, in tutt’Italia, in quei coraggiosi che vogliono difendere la lingua locale che tutti hanno sempre parlato, fino alla generazione che ci ha preceduto.

    Il dialetto è il simbolo identitario del patrimonio culturale di un territorio: è il custode antico di tradizioni, legami e valori che rendono unica una terra; è la voce di una memoria inesauribile e preziosa fatta di ricchezze storiche, enogastronomiche, culturali, artigianali, artistiche.

    La lingua locale è quella dei nonni, è quella dei ricordi. Comunichiamo in dialetto le nostre emozioni con i familiari, con le persone che da sempre fanno parte della nostra cerchia di amici, con chi abita nei luoghi in cui siamo nati, in cui siamo cresciuti, in cui abbiamo ricordi che ci accompagnano dall’infanzia alla vita adulta. Quando si parte, quando si emigra, si cerca di tenere chiusa nel cassetto dei ricordi la lingua con cui i nostri nonni ci hanno cantano la ninna nanna e raccontato storie, la lingua in cui abbiamo riso e scherzato con i nostri più cari amici, quelli che forse non rivedremo più. E quando si sente la mancanza viscerale dei luoghi cari, ovunque ci si trovi si scrive e si canta in dialetto, nella lingua della propria terra, valorizzandone il lessico e il repertorio dialettico. Sono infatti le opere di scrittori, cantanti e poeti, di oggi e di ieri, che mettono in risalto, tramandano e testimoniano il patrimonio lessicale dialettale: una preziosa testimonianza del tesoro culturale di un territorio e della sua comunità.

    Le opere in dialetto, supportate da studio e da un’ attenta ricerca, producono opere di assoluto valore dal fitto reticolato linguistico che restituisce una preziosa testimonianza del patrimonio linguistico di un territorio. Occorre riflettere sull’importanza di avere un progetto di ricerca ad ampio respiro dedicato allo studio lessicografico delle parlate delle varie regioni, dei vari paesi, e che spesso differiscono da frazione a frazione, perfino. Occorre porsi l’ambizioso proposito di abbinare il rigore scientifico della disciplina etimologica al piacere della scoperta( e della riscoperta) delle parole.

    E dunque: ha ancora senso prestare importanza al dialetto, una lingua non nazionale, non deputata all’ufficialità, ed esclusa dagli usi istituzionali? Proprio adesso, in questo mondo globalizzato che mina l’identità linguistica, sia nazionale che locale, la difesa di tutte le parlate di uno Stato, che siano lingue ufficiali o dialetti, occorre custodire e salvaguardare le nostre parole, preziose testimoni di quel reticolo di conoscenze, di saggezza, di sapere, di espressività… di identità che nessun’altra lingua potrà mai veicolare, e che se si perde è persa per sempre, irrecuperabile insieme all’ inestimabile eredità lasciataci dai nostri antenati.

    I più strenui difensori del dialetto sono stati i più grandi fra i linguisti, come Tullio De Mauro. Linguista di fama internazionale che ha difeso il ruolo del dialetto, Tullio De Mauro, campano, è stato Ministro dell’Istruzione e intellettuale che ha offerto alla lingua italiana contributi linguistici importantissimi, e che chi scrive si onora di aver avuto come docente di Linguistica Generale alla Sapienza di Roma. Il professore Tullio De Mauro, che ha tracciato la storia linguistica degli italiani, che da analfabeti sono diventati padroni della comune lingua italiana, sottolineava che l’arretratezza non è rappresentata dalla persistenza del dialetto, che è un arricchimento della capacità comunicativa.

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