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    Percorso:Home»Cultura»Hemingway nel Cilento, la questione si riapre?
    Cultura

    Hemingway nel Cilento, la questione si riapre?

    Di Oreste Mottola10 Giugno 20158 Min Lettura1 VisiteNessun commento
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    Quando lo scrittore americano parlava con Ciccio Prota, Tanino ’uNdilliano di Scario, Peppe Vassallo di San Marco e Miniello di Agropoli. “Si era piantato qui come una di quelle torri guardiane, innalzate da don Pedro di Toledo per stroncare i raid dei corsari saraceni, quasi sentendosi per generosità il guardiano di Pioppi. Alto, segaligno, bruno come un’aringa del Baltico, pescatore e oracolo, le sue parole erano saggezza e memoria. Prendeva un pugno di sabbia, lo stringeva alla maniera di una clessidra, poi ne lasciava lentamente cadere i granelli, sciogliendo il responso sulla meteorologia del golfo. Mai presa una cantonata: il suo segreto satellite conosceva ’u niro, il nido dei venti, il corso delle onde, gli umori del cielo”. Il racconto bello, davvero hemingwayano, è di Aldo De Francesco, stampato su “Il Mattino” del 17 agosto 2004. Poi se il vecchio marinaio che per più di ottanta giorni insegue il pesce che gli squali gli mangeranno è Antonio Masarone, come dicono a Pioppi o Gregorio Fuentes, pescatore cubano, come si è sempre creduto diventa questione secondaria. Cominciamo dalle certezze: quand’era in Italia beveva vini veneti Hemingway. Amarone e poi Valpolicella. In una notte, durante la quale si dedicava furiosamente anche alla scrittura, ne faceva fuori sei bottiglie. E se nei suoi libri poi tro-viamo i risultati… “È un vino rosso cordiale come un fratello con cui si va d’accordo” , così il co-lonnello Cantwell, personaggio protagonista del romanzo “Di là dal fiume e tra gli alberi” fa il sommelier. Quei vini non si trovavano nell’Acciaroli degli anni Cinquanta e lo scrittore americano, se tanto da tanto, per questo se ne andò. Nel frattempo accumulò materiali per quel romanzo che stava meditando nella testa e non sappiamo se quella frase struggente: “L’uomo non è fatto per la sconfitta”, dice Santiago mentre si prepara a combattere contro gli squali, “si può uccidere un uomo ma non sconfiggerlo” l’abbia pensata durante il soggiorno cilentano oppure altrove. In queste parole c’è l’essenza della cilentanità. Il mare, a Pollica, dà ancora da vivere? In estate i 2700 abitanti i di-ventano trentamila e i venti quintali di rifiuti giornalieri, duecento, e un poco le sta cambiando i connotati. Nel porticciolo i pescherecci sono sempre di meno, messi in un angolo dai diportisti. Er-nest vi ritrovò davvero certe atmosfere e certi tipi umani? “Era un vecchio, che pescava da solo in una piccola barca nella corrente del golfo… Il vecchio era magro e secco, con profonde rughe sul collo… Tutto in lui era vecchio tranne gli occhi, e loro avevano lo stesso colore del mare ed erano vispi ed imbattuti”. Nelle prime pagine del suo bestseller “Il vecchio e il mare“, questo è il pescatore Santiago, un vec-chio cubano. Ma i cilentani sono sicuri che possa essere stato uno di loro. Masarone, per esempio. ”Il prossimo anno organizzeremo un dibattito pubblico su Hemingway. È giunto il momento di fare chiarezza” Le parole di Angelo Vassallo, sindaco di Acciaroli, si mischiano al suono cupo dei tuoni che rimbombano in mezzo al mare. Tempesta al largo. ”Non ci prende” , scommette il sindaco pe-scatore. E difatti, la nuvolaglia nera fila dritto verso sud, a debita distanza dalla terra delle “Cinque Vele”. Al contrario del fantasma di Ernest Hemingway, che si materializza all’improvviso, e torna a salire e a scendere gli scalini dell’albergo ”La scogliera”. Quell’albergo è ancora lì, a pochi metri dal mare. Ha cambiato gestione, ma tutto il resto è rimasto tale e quale a cinquant’anni fa. Tre piani, l’insegna giusto sopra l’ingresso, i grossi finestroni centrali dai quali si scorge un’ampia scala che si arrampica su per i pianerottoli. Papa, come affettuosamente si faceva chiamare Hemingway, avreb-be alloggiato al secondo piano, insieme alla quarta moglie, Mary, per una ventina di giorni. ”Vede l’ultima finestra a sinistra?”, dice il sindaco, allungando il braccio in direzione dell’albergo ”Quella è la stanza di Hemingway”. Peccato non poterla visitare. È occupata. Ma tutti dicono che anch’essa, a parte il letto e l’armadio, non è cambiata per niente. Papa il macho, il toreador, il soldato, l’inviato di guerra, Papa il beone è stato qui. La gente del posto ne parla senza che li sfiori l’ombra del dubbio. Eppure, parlano tutti per sentito dire, ormai. Chi lo ha, meglio ancora chi lo avrebbe conosciuto, è morto da anni. Tutti tranne uno. Gira in Vespa alla veneranda età di 85 anni ed è stufo di rispondere alle domande dei giornalisti. La prima intervista l’ha rilasciata ai giapponesi, verso la fine degli anni ’50 e, da allora, ripete ostinatamente la sua versione dei fatti, senza cambiarla di una virgola. ”Se ne stava tutto il giorno sulla darsena, in attesa dell’ arrivo di noi pescatori. – ribadisce per l’ennesima volta Zì Achille Di Matteo, occhi vispi e baffoni brizzolati e puntuti, il viso spaccato dagli schiaffi della salsedine – Quando ormeggiavamo, gettava via i sandali e s’infilava in acqua per vedere il pe-scato e sentire le nostre storie di mare. Poi tirava fuori un taccuino e si metteva a scrivere. Se ne stava tutto il giorno sulla darsena o davanti al bar del porticciolo con un bicchiere di qualcosa in mano. Non faceva che prendere appunti e bere e girare su e giù per la darsena.” Racconto convin-cente, in sintonia perfetta con l’immagine che di sé ci hanno lasciato Hemingway e quelli che l’han-no conosciuto, se non fosse che a conferma del passaggio dello scrittore ad Acciaroli non c’è uno straccio di prova. Né uno scritto, né una foto, né un accenno di Hemingway con chicchessia, negli anni successivi. Eppure, tra il novero di chi crede alla storia di Hemingway da queste parti si conta un nome al di sopra di ogni sospetto: Sean Hemingway, nipote dello scrittore, che nel luglio di tre anni fa, ripercorrendo le tappe italiane del nonno, puntò dritto sul Cilento, per visitare di persona il comune di Pollica-Acciaroli e, stavolta sì , lasciando un segno del suo passaggio: un libro di memo-rie di guerra del nonno con tanto di dedica a Zì Achille e firma in calce.”Acciaroli non ha bisogno di alcuna pubblicità”’, rispondeva due anni fa il sindaco Vassallo a Fernanda Pivano, icona italiana del-la Beat Generation nonché traduttrice di Hemingway in Italia, che dalle colonne di un quotidiano aveva decisamente negato la possibilità di un viaggio dello scrittore dell’ Illinois così in fondo allo stivale. Erano i giorni immediatamente successivi all’ultima iniziativa dell’amministrazione del cen-tro cilentano in onore del suo ospite più illustre: un cartello all’ ingresso del paese sul quale spicca-vano il volto barbuto dello scrittore e la scritta a caratteri cubitali ”Acciaroli, il paese di Hemim-gway”. ”Fu la volta che la Pivano andò in bestia – ricorda a distanza di tre anni Domenico Palladino, consigliere comunale con delega al Porto – Eppure, io continuo a credere ai miei concittadini e alle parole di Zì Achille. Perché dovrei dar retta alle dichiarazioni della Pivano? Ben venga un dibattito pubblico per chiarire una volta per tutte questa storià”. ”E se non sarà fatta chiarezza – aggiunge il sindaco – avremo almeno contribuito ad onorare la memoria di uno dei più grandi scrittori del XX secolo.” E dunque, Vassallo è già al lavoro ”Contiamo nella partecipazione dei massimi esperti ita-liani e stranieri sulla vita e l’opera di Hemingway. Crediamo di poter realizzare un vero e proprio evento culturale, di questo potete essere certi”. Intanto, l’orizzonte marino è di nuovo sereno. Un rosso tramonto attende Acciaroli, mentre un vecchio si piega a raccogliere le reti, e subito viene in mente quella storiella che, da queste parti, si tramandano di padre in figlio. La storia di un pescatore di Acciaroli di nome Masarone, detto il vecchio, che avrebbe ispirato il romanzo ”Il vecchio e il ma-re”. Peccato che il libro sia stato pubblicato nel 1952 e che proprio in quell’anno Hemingway abbia messo piede ad Acciaroli. ”Beh, non siamo proprio sicuri che fosse il ’52 – ribatte prontamente un giovane pescatore del posto – Forse Hemingway venne qui nel 51, o nel 50, o giù di lì ” Giusto, non fa poi una grande differenza. Insomma, aggrapparsi al territorio, a tutte le sue offerte per farle fruttare. E’ questo il senso di quest’ultima baruffa cilentana. “E intanto continuare a fare la guardia al paese, a costo di risultare impopolare”, spiega Vassallo. “Il traffico rischia di strozzare Acciarioli? Si chiude il centro stori-co, anche se ai commercianti non va bene. L’albergo di tradizione non è a posto e qualche turista si lamenta? Gli mando i controlli dell’Asl. Quando, ancora anni fa, sul lungomare circolava brutta gente, chiesi alle Poste di sapere quante lettere partivano da Pollica per le carceri italiane, perché c’era il rischio reale che certi parentati volessero piazzarsi qui. Beh, hanno sloggiato. Adesso, la sera, non gira più strana gente”. Al massimo, qualche cinghiale sulla battigia. Racconta ancora Al-do De Francesco: “Fiocinatore senza rivali, stanava polpi a profondità impossibili; nel lancio “du jaccio”, rete da pieno di cefali, era più esperto di un buttero. Durante l’inverno, in vasci e purtuni, nei “cunti” della gente, intenta a riempire vasetti di acciughe, si contendeva i primati marinari con i mitici pescatori cilentani: Ciccio Prota, Tanino ’u Ndilliano di Scario, ’u cullega Peppe Vassallo di San Marco, Miniello di Agropoli.Volti solcati da marosi, spugne di vento, gente che Hemingway interrogava ad Acciaroli, dicono, fortemente incuriosito dalla “morca”, otre di olio attaccato alla barca, da cui scorre una lenta scia per scrutare meglio i fondali”. Ecco, la questione Hemingway è chiusa.

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