Pensando al Cilento vengono in mente due immagini contrastanti: luoghi dalla disarmante e selvaggia bellezza e paesi fantasma abbandonati, stanchi e anche un po’ tristi. Il Cilento ispira un sentimento indefinito: l’attrazione verso una grande ricchezza culturale, archeologica e naturalistica si scontra con uno sconcertante isolamento geografico, economico e logistico.
I due volti del Cilento non sono facili da capire, per chi nel Cilento non c’è nato. Ed è questa caratteristica, la bellezza e l’asprezza unite insieme, ad attrarre e poi a respingere, in alterne fasi, i visitatori.
Se da un lato si assiste alla riscoperta e alla valorizzazione di antichi mestieri e tradizioni, dall’altro si avverte l’arretratezza organizzativa, sociale, infrastrutturale. Nello scorso secolo terra di agricoltori divenuti migranti per sopravvivere alla fame, oggi il Cilento è terra di laureati che emigrano in cerca di un lavoro migliore, o semplicemente di un lavoro.
Per chi resta la paura è quella di non farcela, e quindi di essere sempre più isolati, perché tra frane, strade chiuse a tempo indeterminato e costante perdita dei servizi primari, questa è un’altra cosa che si verifica nel Cilento: l’isolamento, che si traduce in solitudine. Una solitudine che, in tempi di globalizzazione, fa pensare all’arretratezza, o quanto meno fa sovente sentire arretrato chi è nato e vive da sempre nel Cilento.
Il turismo estivo riesce a portare una vitale boccata d’ossigeno, a far ristrutturare case abbandonate destinate a crollare, a ravvivare borghi dei paesi costieri e perfino delle aree interne, quelle zone montuose affascinanti e sfuggenti per le caratteristiche morfologiche uniche e di difficile classificazione, aree in cui il turismo arriva d’estate, almeno…
Almeno, il Cilento non muore e resiste fino alla successiva ‘stagione’, come i cilentani chiamano l’estate. Il turismo è necessario, fondamentale per il Cilento. Ma, pur riconoscendone l’importanza e la dignità, viene da domandarsi: il turismo è sufficiente per far restare, o tornare, i cilentani? per far crescere le future generazioni? per dare libertà, dignità e futuro ai giovani?
Per molte tipologie di lavoro nel Cilento ci sono poche o nessuna possibilità di impiego. Mancano le comodità, lì dove per comodità si intende la disponibilità, entro quindici minuti di macchina, di un alimentari, di una farmacia, di un medico o di una scuola. Tutto è raggruppato nei pochi ‘grandi’ centri del Cilento, che moltissimi studenti e lavoratori raggiungono con lunghi e tortuosi spostamenti quotidiani.
Negli ultimi anni lo smart working ha attirato nel Cilento molte persone che, affascinate dai luoghi splendidi, magari dopo avervi trascorso una magnifica vacanza estiva, hanno deciso di lasciare le grandi città e di acquistare casa in uno degli splendidi borghi cilentani, piccole bomboniere dove la vita è ancora a misura d’uomo, dove i rapporti umani hanno ancora valore, dove il cibo è sano e dove il costo della vita è ancora basso. Persone felicissime, che però devono affrontare le difficoltà che incontrano ogni giorno i cilentani.
Lontano dai centri più grandi, le vie sono spesso mulattiere da percorrere anche per la più piccola faccenda, come comprare il pane. Inoltre, soprattutto per chi lavora in smart working, il rischio dietro l’angolo è sempre l’assenza di rete internet. E bisogna poi mettere in conto ogni giorno chilometri su chilometri in territori impervi, soprattutto se è inverno e nevica.
Perché nel Cilento senza macchina non ci si muove.
Il Cilento è uno dei luoghi più belli e vivibili d’ Italia ma non ci sono posti di lavoro, servizi e infrastrutture sufficienti: si vive tra disagi inimmaginabili per chi viene dalle città. Eppure, chi ci vive non vorrebbe mai andarsene, chi per lavoro ha dovuto lasciarlo sogna di tornare, e chi lo scopre per la prima volta se ne innamora e spesso resta.