Di Domenico Nicoletti
L’ostacolo maggiore all’avvio di una nuova fase della storia del Mezzogiorno è la depressione, quel pessimismo sulle possibilità di fare e di cambiare che spinge gran parte degli attori di un possibile rinnovamento a scegliere la via della defezione anziché quella della cooperazione, dell’impegno attivo e costante, dell’investimento positivo sugli altri e sul futuro”, così scrive Franco Cassano (sociologo dell’Università di Bari) nel testo “Cento idee per lo sviluppo del Mezzogiorno.

E io aggiungerei, uniti ad un diffuso esercizio dello scaricare responsabilità , ruoli e funzioni ad altri senza guardare prima alle proprie responsabilità, in quanto un positivo sguardo al futuro è responsabilità di ognuno di noi (nessuno escluso) e della nostra volontà solidale di operare per il bene comune.
Scrive ancora Cassano: “per sollecitare il protagonismo dei meridionali senza negare la drammatica entità dei problemi, occorre vedere il Sud al centro di possibili nuove convenienze geo-politiche, economiche e culturali, come avamposto d’Italia in una potenziale nuova area dello sviluppo, quella del Mediterraneo.

È fuori discussione che questa prospettiva richieda tempi lunghi e debba scavalcare molti problemi, ma essa ha il pregio di individuare un punto cruciale, non soltanto simbolico, senza il quale ogni politica di rinascita del Mezzogiorno è monca ed è destinata a rimanere almeno in parte ineffettuale”.
È sul protagonismo degli abitanti di questa meravigliosa realtà che si è aperta una stagione nuova per il Cilento, il Vallo di Diano e gli Alburni con la nascita del Parco, realtà ormai riconosciuta a livello nazionale e internazionale.
Grazie al Parco il territorio si apre alle innovazioni e si prepara alle sfide del mercato globale con la sua identità ed un sempre maggiore orgoglio di appartenenza. Uomini e donne del territorio compreso nel perimetro dell’area protetta sono stati e sono i veri protagonisti di questo “rinascimento” e sempre più lo saranno se sapranno rompere l’isolamento e quella cultura della separatezza che li ha visti, troppo spesso, contrapporsi tra loro senza alcun beneficio per il territorio e la sua gente.
L’anno 2000 chiude la prima fase del percorso di crescita istituzionale del Parco e apre, con ampie prospettive e speranze per il futuro, alla fase 2 della sensibilizzazione, delle opportunità e dell’ottimismo basato su una programmazione (il Piano socio-economico) e una pianificazione organica mirata allo sviluppo sostenibile e duraturo del nostro territorio (il Piano del Parco), affiancata dalla più importante programmazione finanziaria che il territorio abbia mai conosciuto (progetto integrato).
Queste erano le responsabilità del Parco e con queste prospettive, presenta il bilancio più che lusinghiero delle proprie attività e responsabilità.
Completato il quadro istituzionale (statuto, regolamenti, struttura amministrativa e tecnica, giunta esecutiva) la programmazione 2000 approvata nel marzo dello stesso anno, è stata ampiamente realizzata.
Raddoppiata la capacità di spesa rispetto al 1999 (anno in cui il Parco ha speso più di ogni altro Parco italiano), sono state attivate più di 150 iniziative di investimenti, programmi e progetti che gettano le basi per quella infrastrutturazione necessaria allo sviluppo delle attività istituzionali dell’Ente.
In un processo innovativo come quello della costituzione (potremmo dire della creazione) dei Parchi in Italia, i quali fondano la loro attività su un profondo cambiamento culturale delle popolazioni interessate in termini di appropriazione, partecipazione ed identificazione nel riconoscimento di tale valore; gli interventi e le iniziative richiedono un approccio allo sviluppo assolutamente innovativo che vede la programmazione dal basso avere un ruolo determinante.
L’attuazione di tale strategia è compito arduo e impegnativo in un’area “marginale” del Mezzogiorno d’Italia che ha visto arrivare, da sempre , interventi a pioggia e privi di qualsiasi programmazione determinando, soprattutto nel settore ambientale, squilibri e danni di notevole portata.
A queste condizioni l’area del Parco aggiunge una pesante “eredità” circa l’”uso” del territorio e l’assenza assoluta di una coordinata azione di programmazione soprattutto nel campo delle risorse naturali e ambientali.
È necessaria, quindi, una inversione della generale tendenza comportamentale a partire dalla pubblica amministrazione, che deve superare quella cultura della separatezza e della contrapposizione, sviluppando sotto lo stesso “ombrello” una maggiore azione di sostegno e solidarietà reciproca per il bene collettivo, facendo sì che le tante debolezze diventino una sola forza.
Per inaugurare una sola filosofia dei rapporti uomo-ambiente è necessario recuperare il senso progettuale e la consapevolezza degli effetti delle nostre azioni e decisioni sul nostro presente, sul nostro futuro e su quello delle generazioni a venire.
È quindi legittimo affermare che ogni azione finalizzata alla conservazione e al corretto utilizzo delle risorse ambientali si carica la duplice valenza: quella economica e sociale, oltre che etica e culturale.
In tale ottica un’area protetta cessa di divenire un luogo in cui è limitata la libertà di azione per divenire, al contrario, un’area dove è possibile condurre azioni privilegiate, di innovazione e sviluppo a carattere scientifico, tecnologico, amministrativo, sociale e culturale.
L’assunzione responsabile di una comunità locale delle decisioni di tutela, rimanda ad una più ampia riflessione sul rapporto tra libertà individuale, comportamenti collettivi e scelte per il futuro.