Da anni si parla di fusione tra piccoli comuni delle aree interne del Cilento, ma troppo spesso ci si limita a dichiarazioni, convegni e titoli sui giornali.
Intanto, la popolazione continua a diminuire, i servizi essenziali si riducono, le scuole chiudono e le risorse pubbliche si disperdono in mille rivoli e in progetti inutili che alimentano cattedrali nel deserto.
È evidente che bisogna cambiare registro: la fusione non può restare una parola vuota o una moda passeggera, ma deve diventare uno strumento strategico per invertire questa deriva e costruire un futuro possibile.
Serve una visione chiara e condivisa, fondata su dati reali e costruita insieme ai cittadini.
Una visione capace di valorizzare le identità locali e superare gli steccati del passato.
Ai sindaci è richiesto coraggio: non basta evitare il campanilismo, è tempo di proporre un progetto comune, con trasparenza e determinazione.
Un primo passo concreto è rafforzare le Unioni di Comuni già esistenti, sperimentando la gestione condivisa di servizi fondamentali come scuola, manutenzione strade, polizia municipale e anagrafe.
Dove la cooperazione tra enti è già realtà, il terreno è fertile per compiere un salto di qualità.
Le Unioni possono e devono diventare il trampolino verso una fusione vera e propria.
Ma per agire davvero, ogni Comune deve discutere seriamente la questione nei propri consigli comunali.
I sindaci dovrebbero convocare sedute congiunte, dando un segnale forte di collaborazione istituzionale.
In queste sedi va redatta una carta d’intenti politico-programmatica, contenente un cronoprogramma dettagliato con tappe definite, studi da avviare, atti amministrativi da compiere e scadenze precise.
Questo percorso deve essere credibile e ben strutturato.
Si può prevedere un primo incontro ufficiale in autunno per deliberare l’avvio, seguito dalla stesura di uno studio di fattibilità entro l’inverno.
In primavera, spazio alla consultazione pubblica; in estate, approvazioni definitive e, se previsto, il referendum.
L’obiettivo è concludere il processo in 12–18 mesi.
I benefici sono concreti.
La gestione associata ha già prodotto risparmi nella spesa pubblica, evitando duplicazioni.
La fusione consente inoltre di semplificare le strutture, ridurre i costi, attrarre più fondi e acquisire maggiore peso nei tavoli decisionali.
Molti comuni italiani hanno seguito questo percorso con successo: dopo anni di collaborazione, hanno scelto di fondersi per affrontare insieme le sfide future.
Il loro punto di forza è stato l’ascolto dei cittadini, la condivisione delle scelte e una visione proiettata nel lungo periodo.
Unendo le forze, i territori possono rispondere meglio allo spopolamento, alla marginalità e alla carenza di servizi.
Possono garantire sanità diffusa, scuola pubblica solida, mobilità più razionale e una voce unica nelle sedi decisionali.
Le istituzioni territoriali competenti considerano già le aree interne una priorità per gli interventi di riequilibrio, ma serve da parte dei Comuni una vera capacità di programmazione.
Non si può più aspettare.
Chi crede davvero nella fusione deve agire.
È il momento di riunire i consigli comunali, firmare un patto con obiettivi chiari e scadenze definite, incaricare uno studio di fattibilità e sottoscrivere un documento condiviso.
Un impegno pubblico, trasparente e verificabile.
I consigli comunali, riuniti insieme, possono rappresentare l’inizio concreto di una nuova fase.
Lì si può discutere apertamente, confrontarsi e redigere un documento che tracci un percorso serio e fattibile verso la fusione, con tempi certi e azioni misurabili.
Questo, se davvero si vuole costruire un futuro comune e non semplicemente riempire pagine di giornali.
Servono fatti, non chiacchiere.
È il tempo degli amministratori che credono sinceramente nella fusione come risposta concreta allo spopolamento.
È il momento di aprire un dialogo istituzionale autentico con i Comuni vicini, abbandonare le parole vuote e intraprendere i passaggi necessari per arrivare in pochi anni a una fusione consapevole e duratura.
L’alternativa è rimanere immobili, divisi e sempre più marginali.
Non si può continuare a parlare di fusioni senza agire.
È ora di dimostrare che la politica locale può ancora essere uno strumento di visione, responsabilità e futuro.
I piccoli comuni del Cilento interno meritano di più: meritano di essere protagonisti di un nuovo inizio.