Come mi accade spesso, in un caldo pomeriggio di fine giugno del 2025, nell’aprire me chiudere i siti nei giornali on line che sono pubblicati nell’area del Parco del Cilento Vallo di Diano e Alburni, mi imbatto su un articolo che tratta un argomento che mi sta molto a cuore … come affrontare la, oramai, cornica difficoltà dei piccoli comuni e frenare la decadenza demografica e, con essa, la scarsità di risorse e di idee per tentare di risalire la “china”.

Su InfoCilento trovo che nell’area degli Alburni “di fronte a una grave crisi demografica. Negli ultimi 23 anni, dal 2001 al 2024, la popolazione complessiva ha subito un calo del 20,34%”.
È il sindaco di Roscigno, Pino Palmieri, sottolinea che “la flessione demografica sia un chiaro segnale della mancanza di condizioni che possano indurre le persone, in particolare i giovani, a rimanere o a trasferirsi in queste aree” e viene sottolineata “l’inefficacia dell’attuale sistema di governo del territorio nella gestione delle aree interne”.

Di fronte a questo scenario, Palmieri si è espresso nuovamente con fermezza ribadendo la sua profonda convinzione che “lo strumento della fusione amministrativa rappresenti l’unica vera via percorribile”.
Palmieri riconosce che “la fusione tra comuni garantirebbe più risorse economiche per le spese correnti, la possibilità di alleggerire la pressione fiscale sui cittadini e una governance più efficiente con maggiore peso istituzionale”. L’appello del sindaco di Roscigno è di agire “con coraggio, visione e responsabilità”.
A stretto giro risponde Franco Latempa, sindaco di Sacco, che si dice “pronto giusto ed opportuno fare confronto su questioni, problemi ed opportunità territoriale. L’unica via per immaginare un futuro sia “affrontare insieme i problemi del nostro territorio e cercare soluzioni condivise”.

Certo, ci sarebbe una “perdita” di “visibilità”, una ferita dell’amor proprio, un dibattito acceso dalla fiammella del “meglio soli che male accompagnati”, una faticosa marcia di avvicinamento non per ridurre le distanze fisiche, ma quella culturali e sociali … e poi, c’è la questione del nome!
Ma come vogliamo definire il fatto che sono anni che Roscigno e Sacco sono separati da una frana i cui lavori di messa in sicurezza durano da anni! L’inerzia è sempre la conseguenza più eclatante quando non si ha forza “contrattuale” da far valere nei confronti della ditta e dell’ente che ha commissionato l’appalto …
Quando vivevo a Varese, mi colpivano sempre i comuni con due nomi, Jerago con Orago, Cavaria con Premezzo, Oggiana con S. Stefano, Curiglia con Monteviasco, Cadegliano con Viconago e, infine, dal 2013, con tre nomi: Maccagno con Pino e Veddasca. In giro nelle Province prealpine se ne trovano molti altri e non si deve pensare che a quelle latitudini i localismi sono meno virulenti che alle nostre.
Esistono degli incentivi per favorire la fusione tra comuni e la legge “prevede che il nuovo ente ottenga, per 10 anni, un contributo statale in più pari al 60% della somma di quelli di cui hanno diritto come enti autonomi”.
Ovviamente, non è solo una questione legata al “vil denaro”, è invece un vero e proprio cambio di passo nel modo di intendere il “bene” comune! Dopotutto, basta ricordare che, mai come in questo caso, “l’unione fa la forza” non è solo un modo di dire, perché arriva una “valanga” di denari freschi!
È altrettanto facile prevedere che alla nostra latitudine non se ne farà niente perché essere propositivi nel campo della gestione del potere è sempre un rischio che pochi o nessuno vuole! Lo “status quo” è il sale con cui dare un po’ di sapore alla quotidianità che senza idee né risorse per metterle in campo sono solo illusorie.
Inoltre, in tanti comuni, sono in arrivo risorse importanti che, se è vero che saranno gestite in modo “centralista” come quelle assegnate aree interne, è anche vero che nessun comune resterà a bocca asciutta e avrà il suo piccolo progetto finanziato per dimostrare che esiste, ancora un po’!
Ecco perché, se alle parole di Palmieri e Latempa seguiranno un confronto serrato con il coinvolgimento dei cittadini, residenti e non” dai due estremi borghi della Valle del Calore e degli Alburni potrebbe arriva un esempio che potrebbe essere seguito anche da altri comuni delle aree interne del Parco che si trovano a combattere lo spopolamento e che, per la verità, sono la stragrande maggioranza.