Nelle zone interne del Cilento, del Vallo di Diano e degli Alburni lo spopolamento non è una minaccia futura: è già qui.
Lo si legge nei numeri della popolazione in calo, nelle botteghe serrate, nelle imprese che fuggono e nei campi abbandonati.
Le piazze, un tempo cuore pulsante della vita comunitaria, restano silenziose anche nelle giornate di sole.
A questa ferita demografica si aggiunge un dato economico evidente: case e terreni valgono sempre meno.
Il mercato immobiliare è in caduta libera, con abitazioni invendute anche a prezzi molto bassi e terreni agricoli lasciati all’abbandono.
È un capitale economico che si erode insieme alla fiducia di chi resta.
Per troppo tempo, la parola “sviluppo” è stata usata per descrivere inaugurazioni isolate, fondi distribuiti a pioggia o cantieri avviati senza una strategia complessiva.
Ma lo sviluppo vero non è un gesto singolo: è la costruzione di un ecosistema duraturo, in cui economia, servizi, competenze e comunità si rafforzano a vicenda.
Il primo passo è guardare in profondità, senza illusioni.
Mappare le risorse — paesaggi, tradizioni, competenze locali, beni inutilizzati — e riconoscere le ferite aperte: collegamenti carenti, servizi sanitari ridotti, connettività insufficiente e immobili in disuso che si svalutano.
I paesi delle zone interne dei nostri territori possono iniziare la lotta allo spopolamento mettendo insieme cittadini, istituzioni, associazioni e tecnici per censire sentieri dimenticati, case vuote, terreni incolti e attività in difficoltà.
Occorre far lavorare le forze sane delle comunità facendo pianificazioni concrete attraverso: recupero dei percorsi naturalistici, riapertura di botteghe artigiane e creazione di uno sportello per chi vuole trasferirsi e lavorare da remoto.
Un piano così nasce solo quando la comunità partecipa, perché nessuna strategia calata dall’alto può funzionare senza radici locali.
Lo sviluppo non può essere un’estate affollata seguita da mesi di vuoto.
Serve un’economia che viva dodici mesi l’anno: marchi territoriali che certifichino i prodotti locali, mercati contadini che attraggano visitatori, pacchetti turistici integrati con escursioni, degustazioni e ospitalità.
Quando queste azioni sono coordinate, anche il valore di case e terreni può tornare a crescere.
Immobili oggi invenduti possono diventare B&B, abitazioni per smart worker o sedi di botteghe artigiane; terreni abbandonati possono tornare produttivi grazie a cooperative agricole e colture di nicchia.
È così che si genera occupazione duratura, legata alle risorse locali e capace di resistere alle mode passeggere.
Una strada nuova è inutile se resta scollegata dal resto del territorio.
Diventa sviluppo solo se integrata in un disegno più ampio: collegamenti diretti con aree turistiche, cartellonistica chiara, punti panoramici, parcheggi attrezzati e colonnine di ricarica elettrica.
Lo stesso vale per grandi opere come la futura stazione Alta Velocità del Vallo di Diano: senza un piano di trasporto locale efficiente, una rete di servizi e strade moderne e veloci che la connetta al maggior numero di centri abitati dei nostri territori, resterà un’infrastruttura isolata, incapace di incidere sul valore degli immobili e sull’economia.
Nessuna infrastruttura e nessun incentivo economico può produrre sviluppo duraturo senza forze umane formate e aggiornate.
Servono giovani e adulti con competenze moderne, capaci di usare il digitale, parlare lingue straniere, accogliere turisti e gestire imprese agricole innovative o laboratori artigianali di qualità.
Un territorio che investe in formazione continua — corsi di marketing turistico, agricoltura di precisione, e-commerce, energie rinnovabili — crea una base solida di professionalità locali.
È questo capitale umano che trasforma un progetto in realtà, che valorizza beni immobili e agricoli, che attrae e mantiene investitori e visitatori.
Chi sceglie di vivere in un borgo non lo fa solo per il paesaggio: lo fa per servizi efficienti, sicurezza e comunità accogliente.
Case a buon prezzo non bastano senza scuole, assistenza sanitaria, connessione veloce e spazi di socialità.
I Comuni delle zone interne devono iniziare collaborare per combattere lo spopolamento e offrire affitti agevolati a giovani coppie con l’impegno concreto di aprire un’attività.
Gli enti locali se agiscono isolatamente rischiano di disperdere solo risorse se non creano un vero piano congiunto per rimuovere gli ostacoli che impediscono di creare nuova occupazione e nuove imprese nelle zone interne.
Un brand unico, un calendario coordinato di eventi e una strategia di marketing condivisa possono invertire la tendenza e riportare valore anche al patrimonio immobiliare.
La comunicazione deve essere continua: raccontare il territorio con immagini, video, mappe interattive e storie di vita vera.
Solo così si attraggono nuovi residenti, turisti e investitori, restituendo valore a case e terreni oggi dimenticati.
Un piano articolato, vivo e che viene dalle vere esigenze del territorio può dare la rotta: mappatura e digitalizzazione del territorio, creazione di un marchio e di pacchetti turistici, potenziamento dei collegamenti, incentivi alla residenzialità, formazione professionale continua e apertura ai mercati provinciali, regionali e nazionali.
L’obiettivo non è solo fermare l’emorragia di abitanti, ma rilanciare il valore economico del territorio, trasformando immobili e terreni in risorse produttive e aumentando la competitività della comunità grazie a competenze aggiornate e a un’occupazione solida.
Sviluppare un territorio soggetto a spopolamento significa ridare respiro, competenze e valore alla comunità.
Infrastrutture, servizi, economia e formazione devono camminare insieme per creare vita, valore e occupazione duratura.
Il vero successo non sarà nelle sole statistiche, ma nel vedere di nuovo bambini giocare nelle piazze, campi coltivati con tecniche moderne, botteghe illuminate da artigiani formati e fieri del loro lavoro.
Perché lo sviluppo, quello autentico, si misura in tre parole: vita, valore e occupazione duratura.



